Il Sole 24 Ore - 01.09.2019

(Jacob Rumans) #1

Il Sole 24 Ore Domenica 1 Settembre 2019 9


Viaggio nell’immaginario industriale


di Giuseppe Lupo


I


n una vecchia foto in bianco e ne-
ro degli anni , si vede un uomo
a bordo di un carretto che transi-
ta sulla via Campi Flegrei, a Poz-
zuoli, all’altezza dello stabili-
mento Olivetti. È stata scattata
avendo alle spalle lo stabilimento, di
cui si scorgono qualche colonna,
tonda e sottile, la scritta Olivetti e la
tettoia della portineria di cui il sole
del tramonto proietta l’ombra verso
l’interno. Si tratta di un’immagine
irriproducibile oggi ma solo perché
i carretti sono spariti e sulla strada
transitano le automobili. La tettoia
e le colonne invece sono rimaste
uguali, con la stessa carica evocativa,
lo stesso bagaglio di suggestioni per
un’idea di moderno che non inten-
deva abbattere e sostituirsi alla tra-
dizione, ma completarsi entrando in
dialogo con essa.

Verso Sud
Il fatto che un industriale del Nord
avesse deciso di investire nel Mezzo-
giorno, in controtendenza rispetto ai
flussi migratori, può essere conside-
rato uno degli aspetti di eccezionali-
tà che contribuisce a elevare a mito
l’ex area industriale, conosciuta oggi
come Comprensorio Olivetti. Fino al
 era ancora attiva nella produ-
zione di strumenti per l’informatica
e la comunicazione, adesso invece
ospita il Cnr, alcune fra le maggiori
società della telefonia mobile (Voda-
fone, Tim, Wind) e i centri per la ri-
cerca medica delle malattie geneti-
che, finanziata da Telethon. Come
Olivetti credeva nel futuro - e ci cre-
deva pensando a un modello di fab-
brica che si assumesse le sue respon-
sabilità sul piano etico e dunque non
fosse soltanto un luogo di produzio-
ne, ma anche di studio e sperimenta-
zione dove gli operai potessero leg-
gere libri o giornali nell’annessa bi-
blioteca - analogamente, anche se
per altre vie, agiscono gli enti e le so-
cietà che vi hanno trovato asilo.
Agli occhi del visitatore non sfug-
ge un paradosso: ciò che sta al-
l’esterno del comprensorio ha subito
i naturali processi di trasformazio-
ne, dall’arredo urbano alla cartello-
nistica, dal fronte delle palazzine alla
pavimentazione di strade e marcia-
piedi. L’ex area industriale invece
non ha subito la benché minima va-
riazione. Alcuni uffici del centro di-
rezionale conservano addirittura le
scrivanie, le cassettiere, gli armadi,
le porte, i pavimenti, gli infissi. Tut-
to, qui, è soggetto ai vincoli della So-
printendenza. Questo luogo è nato
per essere all’avanguardia e tale ri-
mane, come se qualcosa di inossida-
bile continua a manifestare un van-
taggio rispetto ai tempi.
Via Campi Flegrei ha l’aspetto di
una passeggiata turistica. Ci sono
ville nascoste da alberi, palazzine
con fiori, alberghi dai larghi terrazzi

e portinerie accoglienti. La luce esti-
va, che taglia perpendicolare l'asfal-
to, sembra conciliare il bisogno di
ombra e quiete. È quasi impossibile
immaginare la presenza di una fab-
brica meccanica che negli anni 
produceva calcolatrici, eppure pro-
prio lungo questa strada, mimetiz-
zata dalle forme architettoniche che
la rendevano molto simile a una
struttura ricettiva, Adriano Olivetti
pronunciò il discorso di inaugura-
zione del nuovo insediamento e lo
fece nell’ampio piazzale interno del-
la fabbrica, davanti ad autorità poli-
tiche e maestranze, dirigenti, impie-
gati, operai. Era il  aprile del .

Una nuova libertà
Due giorni dopo in Italia si sarebbe
celebrato il decimo anniversario del-
la Resistenza e il discorso di Olivetti,
che sarebbe entrato nel libro Città
dell’uomo (, ripubblicato nel
 dalle Edizioni di Comunità) con
il titolo «Ai lavoratori di Pozzuoli»,
indicava in modo del tutto originale
una nozione di libertà, autorizzava
cioè a ipotizzare che il lavoro intorno
alle macchine fosse non un fine, ma
uno strumento attraverso cui attua-
re un cambio di civiltà. Un paio di
frasi fecero e fanno ancora oggi di-
scutere. Una aveva il piglio di una
provocazione («Può l’industria ave-
re dei fini? Si trovano questi nell’or-
dine dei profitti?»). L’altra manife-
stava un’enfasi retorica, ma era an-
ch’essa la didascalia di una visione
profetica: «Di fronte al golfo più sin-
golare del mondo, questa fabbrica si
è elevata, nell’idea dell’architetto, in
rispetto della bellezza dei luoghi e
affinché la bellezza fosse di conforto
nel lavoro di ogni giorno. La fabbrica
fu quindi concepita alla misura del-
l’uomo, perché questi trovasse nel
suo ordinato posto di lavoro uno
strumento di riscatto e non un con-
gegno di sofferenza».
Alcune di queste parole sono ri-
portate sulla lapide in marmo del
giardino, di fronte al laghetto artifi-
ciale intorno a cui trovano una con-
solidata armonia alberi, aiuole, pan-
chine, tettoie, vialetti, vetrate. Siamo
nettamente agli antipodi di qualsiasi
immagine di industria comunemen-
te intesa, perfino rispetto alla strut-
tura di vetro che lo stesso Olivetti
aveva commissionato agli architetti
Luigi Figini e Gino Pollini, a Ivrea,
alla fine degli anni , e che pure
aveva suscitato meraviglia.
Luigi Cosenza, il progettista di
Pozzuoli, si era formato a Napoli, ma
non aveva perso i contatti con gli
ambienti del razionalismo milanese,
soprattutto con Piero Bottoni e Mar-
cello Nizzoli. Non faticò a compren-
dere le istanze utopiche dell’inge-
gner Adriano probabilmente perché
entrambi, pur appartenendo a geo-
grafie lontane, erano accomunati da
un paradigma morale: gli uomini
che sperimentano il bello non pos-

sono non conoscere ciò che è buono.
In effetti, nel pensare alla fabbrica
a ridosso del golfo, Cosenza andò ol-
tre la filosofia dei vetri che ispirò
l’edificio di Ivrea. Si spinse in un ge-
sto che doveva evocare - e lo si com-
prende dalle parole di Adriano - un
procedimento evangelico: riscatto
anziché sofferenza. Un popolo inte-
ro, varcando la portineria, aspettava
di attraversare una specie di Mar
Rosso, chiedeva il passaporto per
entrare in una cornice di civiltà per
la quale occorreva qualcosa di più vi-
sionario degli utensili e della tuta
blu. E questo qualcosa Cosenza lo
trovò nell’idea di una fabbrica im-
mersa nel verde, visibile da qualsiasi
barca nello specchio d’acqua del gol-
fo, a mezza costa tra il litorale e il
promontorio di roccia sulfurea che
guarda le isole di Ischia e Procida.
Il giorno dell’inaugurazione, fra i
tanti testimoni presenti, c’era Ottie-
ro Ottieri che avrebbe trasformato la
cronaca dei fatti in narrazione lette-
raria. Era stato lui a rivolgersi all’in-
gegnere Adriano dopo aver letto La
condizione operaia di Simone Weil,
nella traduzione che Franco Fortini
allestì per le Edizioni di Comunità,
nel . Quel libro cambiò la sua vi-
ta fino al punto da trasferirsi a Poz-
zuoli per tutto il tempo in cui sele-
zionare il personale. Era stato Oli-
vetti a indirizzarlo verso questo deli-
cato incarico e Ottieri avrebbe
raccontato quest’esperienza in uno
dei libri più significativi degli anni
del boom: Donnarumma all’assalto,
che Bompiani stampò nel , un
anno prima che Olivetti morisse.
Antonio Donnarumma, colui che
presta il cognome al titolo, non pote-
va essere presente alla cerimonia
d’inaugurazione perché non era sta-
to assunto, malgrado avesse tentato
in ogni strada, in un duello faccia
faccia con un nemico immaginario a
cui dare l’assalto. Non era la fabbrica
a manifestare ostilità nei suoi con-
fronti, ma i criteri di assunzione
troppo sofisticati, fuori dalla sua
portata umana e culturale fino al
punto da essere considerati, da Don-
narumma e da altri aspiranti operai,
una scommessa con il destino che si
ammantava di un cifrario biblico: gli
assunti sarebbero stati i beati, i non
assunti i dannati. Qui stava l’ennesi-
mo paradosso di questa fabbrica che
Ottiero definiva tra le più belle d’Eu-
ropa: quello di essere un luogo an-
tropologicamente vietato, pur es-
sendo nato dall’esigenza di soddi-
sfare la vocazione al lavoro di una
plebe infinita che non voleva emi-
grare. Molti degli operai che preme-
vano per entrare, come Donnarum-
ma, non ce la fecero. Rimasero nella
schiera dei dannati e dovettero sce-
gliere tra la disoccupazione o il viag-
gio verso le nebbie del Nord Italia.
La fabbrica rimase nei loro ricordi
come un miraggio.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Inaugurata nel , con un profetico discorso di Adriano, una tra le «fabbriche più belle d’Europa» nelle parole


di un testimone come Ottiero Ottieri, la Olivetti di Pozzuoli fu un «miraggio» di riscossa e dignità per il Sud


Il futuro e la bellezza sotto il sole di Napoli


PERCORSO IN DIECI TAPPE


. Olivetti Pozzuoli


Fabbrica ideale.
Sopra lo scatto
iconico di Fulvio
Rotier,
un’immagine
ormai impossibile
da replicare;
al centro operai
e impiegati
consultano libri
e giornali nella
biblioteca dello
stabilimento;
sotto nella foto
di Barbara Jodice
una panoramica
dell’impianto
costruito
su disegno
dell’architetto
Luigi Cosenza

COURTESY, ASSOCIAZIONE ARCHIVIO STORICO OLIVETTI, IVREA – ITALY

L’autore.
Giuseppe Lupo,
scrittore
e docente
di Letteratura
italiana
alla Cattolica,
è tra i massimi
studiosi della
Letteratura
industriale.
Tra i suoi libri
sull’argomento:
il romanzo Gli anni
del nostro incanto
(Marsilio 2017 -
Premio Viareggio
Rèpaci), i saggi
La letteratura
al tempo
di Adriano Olivetti
(Edizioni di
Comunità 2016),
l’antologia
Fabbrica
di carta. I libri che
raccontano l’Italia
industriale
(con G. Bigatti,
Laterza 2013).

I LUOGHI


Pirelli Settimo Torinese
Dove la vecchia fabbrica è stata
sostituita dal nuovo corpo,
progettato da Renzo Piano,
chiamato la “fabbrica dei ciliegi”


Autogrill Villoresi Ovest
Progettato dall’architetto Angelo
Bianchetti e inaugurato nel 1958,
secondo le forme di un
immaginario lunare


Stabilimento Cornigliano
Sede dell’acciaieria Italsider la cui
comunicazione fu affidata
all’artista Eugenio Carmi, che
dirigeva l’omonimo periodico
aziendale


Alfa Romeo Arese
Il luogo in cui aveva sede una delle
più importanti aziende
automobilistiche italiane e dove
oggi c’è uno dei più grandi centri
commerciali d’Europa


Bassetti Rescaldina
La fabbrica tessile che negli anni
Sessanta sperimentò un tipo di
organizzazione diventata oggetto
di studio da parte di alcuni
sociologi


Sesto San Giovanni
La città definita “la Stalingrado
d’Italia” osservata attraverso
alcuni suoi simboli, come il
Villaggio Falck e il carroponte
Breda


Stabilimento Ilva Bagnoli
L’area in cui aveva sede l’azienda
siderurgica dove comincia e
finisce la letteratura industriale


Olivetti Pozzuoli
Una delle fabbriche di maggiore
armonia tra architettura e
paesaggio, progettata
dall’architetto Luigi Cosenza ed
entrata in funzione nel 1955


Anic Pisticci (Mt)
Dove sorsero gli insediamenti
chimici ed Enrico Mattei fece
costruire una pista per aerei

d
Mondadori Segrate
Il palazzo sede del più importante
gruppo editoriale italiano,
realizzata dall’architetto Oscar
Niemeyer, come simbolo
dell’industria editoriale

BARBARA JODICE

ColombiC&E

Valore quota al 30 di giugno 2019
Titolo Fondo Codice ISIN Valore quota Valore del NAV
“Credem Venture Capital II” IT0005325235 49.283,871 25.479.761,
Si informa che i successivi aggiornamenti saranno pubblicati, da martedì a sabato, nella
sezione Fondi Chiusi Immobiliari e Mobiliari su Il Sole24Ore a partire dal 3 settembre 2019.
Credem Private Equity SGR SpA (ex art. 2497 bis c.c.) da parte di Credito Emiliano SpA • Capitale Sociale euro 2.400.000 i.v. • Iscritta all’Albo dei gestori di GEFIA al N.55 • - Gruppo Bancario “Credito Emiliano - Credem” • Società soggetta ad attività di direzione e coordinamento
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