20 Venerdì 23 Agosto 2019 Il Sole 24 Ore
Norme
Tributi
Omessi versamenti, niente reato
per chi prova l’assenza di risorse
MANCATI ADEMPIMENTI
La rilevanza penale
in materia di Iva è fissata
a mila euro
Per dimostrare gli illeciti
sufficiente la produzione
della dichiarazione
A cura di
Laura Ambrosi
Antonio Iorio
Omessi versamenti sempre con
rilevanza penale salvo il contri-
buente non sia in grado di dimo-
strare l’impossibilità di reperire le
risorse necessarie per eseguire il
puntuale pagamento delle somme
e il concreto personale impegno
in tal senso.
È questo, in estrema sintesi,
l’orientamento ormai consolidato
dei giudici di legittimità in tema di
omessi versamenti di imposte,
espresso anche nella sentenza nu-
mero del agosto scorso.
Si tratta di un tema particolar-
mente attuale in questo periodo di
dichiarazioni e versamenti, te-
nendo peraltro presente che solo
l’omesso versamento dell’Iva e
delle ritenute - al superamento di
determinate soglie - può costitui-
re reato, mentre le omissioni rela-
tive all’Irpef, all’Ires e all’Irap di-
chiarata non assumono alcuna ri-
levanza penale.
Omesso versamento di
ritenute
La scadenza dell’invio del (
ottobre ) segna la data di con-
sumazione del reato di omesso
versamento delle ritenute dell’an-
no precedente () se superiori
a mila euro.
È prevista così la reclusione da
sei mesi a due anni per chi non
versi entro questo termine le rite-
nute dovute sulla base della stessa
dichiarazione oppure risultanti
dalla certificazione rilasciata ai
sostituiti, per un ammontare su-
periore a mila euro per ciascun
periodo d’imposta.
Questa fattispecie ha subito
un’importante modifica nel corso
del .
In passato la rilevanza penale
era collegata all’omesso versa-
mento, sempre entro il termine
previsto per la presentazione della
dichiarazione annuale di sostituto
di imposta, delle ritenute risultan-
ti dalle certificazioni rilasciate ai
sostituiti.
Dal , invece, il delitto scatta
a prescindere dal fatto che le omis-
sioni risultino dalle certificazioni
rilasciate ai sostituiti, essendo
sufficiente che siano dovute in ba-
se alla dichiarazione.
In tale contesto, le Sezioni unite
della Corte di cassazione (senten-
za /) hanno chiarito che
per gli illeciti consumati fino al
ottobre per provare il reato di
omesso versamento delle ritenute
di acconto per importi superiori a
mila euro è necessario produr-
re le certificazioni rilasciate ai so-
stituiti non essendo sufficiente la
sola dichiarazione .
Per gli illeciti consumati suc-
cessivamente ( ottobre ),
per provare il reato è invece suffi-
ciente produrre anche la sola di-
chiarazione che riporta le rite-
nute non versate.
Reato omesso versamento Iva
La consumazione del delitto di
omesso versamento Iva se di im-
porto superiore a mila euro è
rappresentata dalla scadenza per
il pagamento dell’acconto Iva
(normalmente il dicembre).
L’articolo ter del Dlgs /
sanziona con la reclusione da sei
mesi a due anni, chiunque ometta
tale versamento.
I calcoli
Per esemplificare: se entro il
dicembre il contribuente
versa una somma parziale del de-
bito Iva così da scendere al di
sotto dei mila euro non com-
mette reato.
Così per un’omissione di
mila euro, versando entro il
prossimo dicembre la somma di
. euro si scende sotto la so-
glia penale e quindi il reato non è
commesso.
Quindi entro il dicembre di
ciascun anno occorre versare il
debito risultante dalla dichiara-
zione presentata per l’esercizio
precedente normalmente indicato
nel rigo VL e in tale valore, se-
condo la Corte di cassazione (sen-
tenza n. /), non devono
essere considerati gli eventuali
interessi dovuti.
Nel caso di pagamenti successi-
vi a tali scadenze si ottiene la non
punibilità solo ove il debito tribu-
tario venga completamente estin-
to prima dell’apertura del dibatti-
mento (sul punto si veda l’altro ar-
ticolo in pagina).
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In una festa rivolta ai clienti,
in cui vengono anche
presentati i prodotti aziendali,
sono deducibili come spesa di
rappresentanza i costi per
l’intrattenimento.
Luca De Stefani—a pag.
Contabilità
Test
di congruità
per le spese di
rappresentanza
Se l’impresa ha presentato istanza di
ammissione al concordato prima del-
la scadenza dell’omesso versamento
penalmente rilevante, il rappresen-
tante legale non è perseguibile. A nul-
la rileva, in tale contesto, che l’ammis-
sione formale al concordato sia avve-
nuta solo dopo detta scadenza di ver-
samento.
È questo il più recente orienta-
mento espresso dalla Suprema Corte
(da ultimo sentenza depositata
ieri) al cui interno non sono tuttavia
mancate interpretazioni opposte
La questione, in estrema sintesi,
attiene le ipotesi in cui l’impresa pre-
senti istanza di ammissione al con-
cordato preventivo e ottenga formale
ammissione a tale procedura in data
antecedente ovvero successivamente
alla scadenza penalmente rilevante
( ottobre per le ritenute e dicem-
bre per l’Iva) e non provveda al paga-
mento delle predette imposte.
Secondo alcune pronunce della
Cassazione penale (/,
/), l’ammissione al con-
cordato preventivo in data antece-
dente alla scadenza del versamento
non esclude la sussistenza del reato
tributario consumatosi comunque a
seguito dell’omesso versamento del-
l’imposta dovuta.
Altre sentenze anche recentissime
(/ e /) hanno, in-
vece, ritenuto non penalmente rile-
vante l’omesso versamento solo a con-
dizione che la scadenza del pagamento
fosse successiva alla formale ammis-
sione dell’impresa al concordato da
parte del giudice, non essendo suffi-
ciente quindi la data di presentazione
della relativa domanda dell’impresa.
Più recentemente, e la sentenza di
ieri è l’ulteriore conferma, la mede-
sima sezione penale della Suprema
Corte ha invece ritenuto che non sia-
no configurabili questi delitti non
solo nell’ipotesi in cui l’ammissione
al concordato preventivo sia antece-
dente all’omesso versamento, ma
anche se detta omissione sia succes-
siva alla semplice presentazione del-
la domanda, con formale ammissio-
ne solo successivamente.
In queste ipotesi è stata rilevata la
sussistenza della scriminante conte-
nuta nell’articolo codice penale:
l’imprenditore avrebbe agito, o me-
glio avrebbe omesso di agire, nel-
l’adempimento di un dovere rappre-
sentato dall’impossibilità di eseguire
pagamenti una volta formulata
l’istanza di ammissione al concordato
nei confronti di specifici creditori.
È irrilevante secondo la Suprema
corte - nella sentenza depositata ieri
- che il momento della scadenza del
debito tributario sia maturato ante-
riormente alla formale delibera di
ammissione al concordato, in quanto
la decorrenza degli effetti va collocata,
in virtù della sua efficacia retroattiva,
non alla data dell’adozione del prov-
vedimento formale di ammissione
ma a quella di presentazione della re-
lativa domanda.
Ne consegue che, in applicazione
della generale moratoria dei debiti di
impresa per tutta la durata della pro-
cedura, anche i pagamenti eseguiti
successivamente a questo adempi-
mento, ma prima del decreto di aper-
tura della procedura, sono inefficaci
Una volta intervenuto il provvedi-
mento di ammissione, conclude la
Cassazione, anche le pregresse con-
dotte omissive cessano di avere rile-
vanza penale (ove mai l’avessero avu-
te). Si tratta, infatti, di comportamenti
non considerabili contra ius in quanto
legittimati dall’avvenuta ammissione
alla procedura concorsuale.
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L’istanza di ammissione
va però presentata entro
la scadenza del versamento
La riforma della legge
fallimentare ha imposto
all’imprenditore un obbligo
organizzativo volto a
scongiurare il rischio di
possibili crisi future.
Riccardo Borsari—a pag.
Imprese
Dalla cattiva
organizzazione
i rischi per
l’amministratore
Per onorare il debito
l’amministratore deve anche
esporsi personalmente
I delitti omissivi hanno natura di re-
ato istantaneo e si perfezionano alla
scadenza del termine previsto.
Sotto il profilo dell’elemento sog-
gettivo non occorre il fine di evasio-
ne poiché sono punibili per dolo ge-
nerico, ossia per la consapevolezza
di non versare all’erario le imposte
dichiarate e dovute alle previste sca-
denze. Spesso, l’omissione è la con-
seguenza di una crisi di liquidità del-
l’azienda. Secondo la Suprema cor-
te, il dolo generico per la commissio-
ne del reato non può escludersi solo
perché l’impresa abbia attraversato
una fase critica ed abbia destinato le
proprie risorse finanziarie alla chiu-
sura di debiti ritenuti urgenti (ban-
che, Cassazione /, dipen-
denti, Cassazione /). Può
escludersi la responsabilità, invece,
solo dimostrando l’assoluta impos-
sibilità di adempiere al pagamento
del dovuto e a tal fine occorre prova-
re la non imputabilità all’imprendi-
tore della crisi economica e di non
aver fronteggiare la crisi attraverso
altre misure. In altre parole, occorre
dimostrare che non sia stato altri-
menti possibile per il contribuente
reperire le risorse necessarie per
consentirgli il corretto e puntuale
pagamento delle somme dovute (tra
le ultime, Cassazione /).
Per una corretta e prudenziale
condotta, ai fini dell’omesso versa-
mento Iva, il contribuente dovrebbe
accantonare l’Iva incassata sulle fat-
ture (Cassazione /) e, per
il delitto di omesso versamento di
ritenute, dovrebbe ripartire le risor-
se disponibili eventualmente ero-
gando anche compensi ridotti a di-
pendenti e professionisti. Occorre
quindi assumere tutti gli accorgi-
menti necessari per far fronte al pa-
gamento anche mediante un’espo-
sizione personale dell’amministra-
tore/imprenditore. Da evidenziare
che i reati non sono punibili se, pri-
ma della dichiarazione di apertura
del dibattimento di primo grado, il
debito tributario, comprese sanzio-
ni e interessi, sia estinto mediante
integrale pagamento del dovuto, an-
che attraverso conciliazione, ade-
sione o ravvedimento operoso.
A tal fine, quindi, il reato non è
punibile se il contribuente:
a) corrisponde le somme dovute con
ravvedimento operoso;
b) esegue il pagamento a seguito
dell’avviso bonario delle Entrate;
c) esegue il pagamento dopo la rice-
zione della cartella da parte di Equi-
talia/Entrate-Riscossione.
In caso di rateazione , ai fini della
non punibilità del reato occorre co-
munque l’integrale pagamento en-
tro la dichiarazione di apertura del
dibattimento di primo grado.
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Più facile non dichiarare il reddito di fabbricati per i canoni
non riscossi, ma nessuna agevolazione per gli affitti di
fabbricati non abitativi. L’articolo -quinquies del decreto
legge /, convertito nella legge /, dispone che per
i contratti stipulati a decorrere dal i canoni di locazio-
ne non percepiti relativi a immobili abitativi possono non
essere dichiarati se la mancata percezione è provata dal-
l’intimazione di sfratto per morosità o dall’ingiunzione di
pagamento; la norma attuale dispone che è necessario
attendere il provvedimento di convalida dello sfratto.
L’articolo del Tuir prevede che il reddito dei fabbrica-
ti vada dichiarato indipendentemente dalla percezione;
in particolare, per i contratti di locazione dei fabbricati la
base imponibile è rappresentata dai canoni risultanti nel
contratto ridotti del % (% per Venezia e isole e % per
quelli di interesse storico ed artistico). Quindi il dato lette-
rale fa riferimento ai canoni risultanti in contratto. Ma è
frequente l’ipotesi in cui l’inquilino non rispetti il contratto
e non paghi i canoni. Questa fattispecie è regolata dal citato
articolo del Tuir in base al quale i redditi derivanti dai
contratti di locazione di immobili ad uso abita-
tivo non concorrono a formare la base imponi-
bile dal momento di conclusione del procedi-
mento giurisdizionale di convalida; in sostan-
za occorre l’intervento del giudice. Ottenuto il
provvedimento, certamente in un momento
successivo all’inizio della morosità dell’inqui-
lino, i canoni contrattuali non riscossi sono
esenti da Irpef ma probabilmente in parte già
tassati; ad esempio se in presenza di canoni
non riscossi nel , il giudice convalida lo
sfratto in settembre , il proprietario ha già pagato l’Ir-
pef sui predetti canoni. La norma prevede che il proprieta-
rio usufruisca di un credito di imposta pari all’Irpef assolta
(con l’aliquota marginale). Il decreto Crescita semplifica
la procedura e dispone che è sufficiente l’intimazione di
sfratto o l’ingiunzione di pagamento; sono azioni che può
compiere direttamente il proprietario senza la procedura
di convalida che invece non dipende da lui.
La nuova norma prevede anche l’ipotesi che successi-
vamente l’inquilino paghi i canoni ed in questo caso il pro-
prietario deve assolvere l’Irpef con la procedura della tas-
sazione separata (aliquota Irpef calcolata sulla media del
reddito complessivo netto del biennio precedente all’anno
di riscossione degli affitti arretrati).
Siccome questa nuova norma entra in vigore per i con-
tratti stipulati dal ° gennaio (a nostro parere anche
prorogati dopo il primo quadriennio), la norma prevede
che per i canoni non percepiti nei periodi d’imposta prece-
denti al , accertati nell’ambito di un procedimento di
sfratto e già assoggettati a tassazione, è confermata l’attri-
buzione di un credito d’imposta pari all’imposta pagata.
Fin qui tutto bene, ma i contribuenti si aspettavano che
il legislatore risolvesse anche la medesima situazione che
si può creare per gli affitti di fabbricati non abitativi (nego-
zi, opifici e così via). La norma continua a non considerarli
e quindi i proprietari devono provvedere a dichiarare il
reddito corrispondete ai canoni di affitto previsti nel con-
tratto, anche se non riscossi, fino alla sua risoluzione.
In questi casi i proprietari in sede di stipula del contratto
dovrebbero prevedere la clausola risolutiva espressa ai
sensi dell’articolo del Codice civile (vedi anche Corte
di cassazione /). In questo modo il proprietario
può far valere la risoluzione e quindi l’inesistenza del con-
tratto per effetto del mancato pagamento del canone e
quindi cessa l’obbligo della dichiarazione del reddito.
—Gian Paolo Tosoni
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FISCO E IMMOBILI
SETTORE RESIDENZIALE
L’intimazione di sfratto
permette di non dichiarare
canoni non riscossi
Non occorre
più attendere
il provvedi-
mento di
convalida
da parte
del giudice
QUOTIDIANO DEL FISCO
Un tema rilevante per chi si occupa di Pmi innovative è
rappresentato dalla trasfusione di quanto previsto a li-
vello comunitario all’interno del decreto in-
terministeriale del luglio scorso, che non
risulta sempre essere di facile lettura. La que-
stione emerge in particolare con riferimento
al regolamento comunitario /, più
volte richiamato nel corpus del citato decreto
interministeriale. Di questi richiami, uno in
particolare appare di difficile interpretazio-
ne (e quindi applicazione): ci riferiamo alla
lettera d) del terzo comma dell’articolo
(Soggetti interessati) in cui si cita il paragrafo dell’arti-
colo del regolamento prima richiamato.
—Stefano Mazzocchi
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Il testo integrale dell’articolo su:
quotidianofisco.ilsole24ore.com
PMI INNOVATIVE
Vincolo del 70%
da calcolare all’inizio
QdF
I PUNTI CHIAVE
1. Omesso versamento iva
(articolo 10 ter Dlgs 74/00)
È punito con la reclusione da 6
mesi a 2 anni, chiunque non versi
l'Iva, dovuta in base alla
dichiarazione annuale, entro il
termine per il versamento
dell'acconto relativo al periodo
d'imposta successivo per
importi superiori a 250mila per
ciascun periodo di imposta.
Secondo la Cassazione il
contribuente è tenuto ad
accantonare l'imposta incassata
dai propri clienti e poi versarla
alle previste scadenze all’erario
2. Omesso versamento ritenute
(articolo 10 bis Dlgs 74/2000)
La versione iniziale del citato art.
10 bis (precedente alle modifiche
introdotte con il Dlgs 158/15)
prevedeva la reclusione da 6
mesi a 2 anni per chiunque non
avesse versato, entro il termine
previsto per la presentazione
della dichiarazione annuale di
sostituto di imposta, le ritenute
risultanti dalle certificazioni
rilasciate ai sostituiti, per un
ammontare superiore a 50mila
euro per ciascun periodo. Dal 22
ottobre 2015 per la commissione
del reato occorre l'omesso
versamento di somme superiori
a 150mila euro ma non sono più
necessarie le certificazioni, ma è
sufficiente l'indicazione nel
modello 770
3. Non punibilità (articolo 13
Dlgs 74/2000)
Dal 22 ottobre 2015, i reati di
omesso versamento (Iva e
ritenute) non sono punibili se,
prima della dichiarazione di
apertura del dibattimento di
primo grado, il debito tributario,
comprese sanzioni e interessi, è
estinto con l'integrale
pagamento del dovuto, anche
attraverso conciliazione,
adesione o ravvedimento
operoso. Se prima della
dichiarazione di apertura del
dibattimento, il debito è in fase
di rateizzazione, è dato un
termine di 3 mesi per il
pagamento del residuo ed il
giudice ha la facoltà di concedere
una proroga di ulteriori 3 mesi
4. La crisi di liquidità
Secondo la Cassazione la crisi di
liquidità può essere causa di non
punibilità per gli omessi
versamenti a condizione che sia
provata la non imputabilità al
contribuente della crisi
economica che improvvisamente
ha investito l'impresa. Occorre
anche la prova che detta crisi
non potesse essere
adeguatamente fronteggiata
con altri rimedi, come ad
esempio il reperimento di risorse
economiche necessarie per il
corretto adempimento delle
obbligazioni tributarie anche
attingendo al patrimonio
personale dell'imprenditore
IN TRIBUNALE
È possibile pagare tutto prima
dell’avvio del dibattimento in aula
L’ULTIMA SENTENZA
Il concordato salva il rappresentante legale