la Repubblica - 03.08.2019

(Brent) #1
ROMA — «Sono 25 anni che la cre-
scita in Italia è molto inferiore a
quella del resto dell’area euro, la
produttività non aumenta, la di-
soccupazione specialmente giova-
nile è a livelli inaccettabili. E ci si
interroga disperatamente su cosa
fare e quale sia il male oscuro che
mina da dentro questo Paese. Be-
ne, le cause sono tante ma ne met-
terei una al primo posto: il crollo
demografico». Detto da Carlo Cot-
tarelli, mister spending review,
già dirigente del Fondo Moneta-
rio, oggi a capo dell’Osservatorio
sui conti pubblici italiani, sorpren-
de un po’. Altro che debito pubbli-
co o manovre finanziarie azzarda-
te: il problema all’origine di tutto
è che non si fanno più figli «e que-
sto scava un fossato in cui l’Italia
sta precipitando».
Ma non è un fenomeno
condiviso con tutto il mondo
industrializzato?
«No, da noi il crollo è più forte. In
Svezia quasi non esiste perché
hanno investito molto per la
natalità, in Francia il calo delle
nascite è stato minore, in
Germania era forte ma ora il
numero medio di figli per donna è
in recupero. Ovunque il problema
è meno sentito che in Italia, tranne
che in Giappone, altro Paese che
sta invecchiando e in cui guarda
caso la crescita è ferma da anni e il
debito pubblico galoppa».
Da economista, qual è
tecnicamente il meccanismo
deleterio?
«Meno giovani e più anziani
significa meno persone che
entrano nel mercato del lavoro.
Mancano i più giovani, ideativi,
brillanti, e così già crolla la
produttività. E la stessa
produttività riceve un colpo
ulteriore se pensiamo che chi ha
figli è portato a fare meno vacanze,
più straordinari, a impegnarsi di
più per dare un futuro migliore ai
figli stessi. La caduta del tasso di
fecondità è cominciata all’inizio
degli anni ‘70: in 15 anni il tasso
scese da 2,5 figli per donna a 1,4 e
poi non si è più ripreso, anzi è sceso
ancora nei decenni successivi.
Oggi se ne vedono i risultati».
Tutto questo è esasperato al
Sud, come ha denunciato lo
Svimez?
«Purtroppo sì, proprio la crisi
demografica è più accentuata nel
Mezzogiorno, già vessato da
maggior corruzione, inefficienze,
calo della produttività. Bisogna
assolutamente intervenire subito.
Oltretutto il Mezzogiorno si sta
ampliando fino a comprendere
addirittura le Marche dove il
modello industriale è in crisi sotto i
colpi della concorrenza orientale».
Quali interventi in concreto
propone per invertire la
tendenza?

«Il rimedio sarebbe spendere soldi
pubblici per incentivi e welfare per
la natalità. Ma ne servono tanti,
non interventi improvvisati. La
Svezia spende per questa voce il
doppio dell’Italia rispetto al Pil ma
se lo può permettere perché non
ha evasione fiscale e il debito
pubblico è basso: spende lo 0,6%
del Pil per interessi, noi sei volte
tanto. Ma quello che è più
importante è ripristinare un clima
di fiducia, di speranza nel futuro,
di ottimismo».
Il “modello dopoguerra” di cui
parla il maître-à-penser della
sociologia Giuseppe De Rita. Lei è
stato premier in pectore l’anno
scorso, da cosa sarebbe partito
per tradurre in fatti quest’ideale?
«Alla base deve esserci la ripresa
del cammino di crescita, da
perseguire con un disegno lucido,
articolato e coerente di riforme in
grado di riavviare la macchina
arrugginita del Paese. Anche a
costo zero. Da quanti anni si sente
parlare di burocrazia soffocante?
Chiunque voglia intraprendere
una pur semplicissima attività
potrà raccontarvi un “defatigante
iter” fra carte bollate, uffici
pubblici inefficienti e
disorganizzati, trappole legislative
di norme confuse, intricate e
contraddittorie. Eppure c’è ormai
una vera letteratura di studi che
indicano una serie di revisioni e
semplificazioni che con un
minimo di buon senso si possono
applicare».
L’attuale governo sembra
puntare sulla riduzione delle
tasse, sfidando i mercati. E’ una
via sensata?
«Per riavviare la crescita ridurre le
tasse con interventi razionali e
mirati è utile. Il cuneo fiscale ad
esempio riduce la competitività
del lavoro e la capacità di
esportare. Ma ci sono rischi, per un
Paese dove il debito è così alto, se il
taglio delle tasse si finanzia in
deficit, ossia prendendo a prestito
altri soldi. Questo sembra che si
intenda fare. L’unico modo per
tagliare le tasse in modo credibile e
duraturo è risparmiare sulla spesa
mentre il governo la sta
aumentando. Un altro sistema
sarebbe ridurre l’evasione fiscale,
piaga storica del Paese, ma qui
occorre tempo».
Altra strategia in voga è quella
degli interventi assistenziali. C’è
qualche speranza che così si
restituisca energia al Paese?
«Non è curando i sintomi che si
guarisce. L’aumento della povertà
assoluta in Italia richiedeva un
intervento, anche se diversi aspetti
del reddito di cittadinanza sono
discutibili. Ma aumentare la spesa
per pensioni è stato un errore.
Ancora una volta si dà priorità agli
anziani a scapito dei giovani.

Pensiamo a cos’è accaduto alla
spesa per la pubblica istruzione,
specialmente per l’università dove
siamo la maglia nera del
continente con un budget dello
0,3% del Pil contro una media
europea dello 0,7. Da commissario,
l’unico settore in cui
raccomandavo di non fare tagli era
l’istruzione e la ricerca, discorso
strettamente collegato con quello
iniziale dei freni alla crescita».
Fra le cause del degrado, i
populisti insistono nell’indicare
l’euro. Cosa gli risponde?
«Che l’avvio della moneta unica è
stato caratterizzato da misure
diametralmente opposte a quelle
previste, come l’aumento degli
stipendi pubblici del secondo
governo Berlusconi che trascinò al
rialzo anche i costi del settore
privato e provocò una perdita di
competitività. Abbiamo
continuato per anni ad avere
un’inflazione più alta della
Germania, nostro concorrente per
l’export. Tra il 1999 e il 2009, le
esportazioni sono cresciute zero in
volumi mentre quelle tedesche
aumentavano di quasi il 70%. Non
era un destino che finisse così,
come gli anti-euro sostengono, è
che la transizione è stata gestita
male. Per fortuna le vendite
all’estero ora sono in recupero. E’ la
strada giusta: basare la rinnovata
capacità di crescere sulle
esportazioni facendo valere la
forza del marchio Italia».
Guardando alle traversie della
Germania, economia basata
quant’altre mai sull’export, non
le viene qualche dubbio?
«Senta, se guardiamo il tasso di
crescita tedesca degli ultimi
vent’anni e lo compariamo con il
nostro, le assicuro che ci metterei
la firma».
©RIPRODUZIONE RISERVATA

Silvio
berlusconi
pREMIER TRA
IL 2001 E IL 2006

Il crollo demografico


è la prima causa della


mancata crescita


In altri Paesi come


Francia e Svezia


hanno investito per


contrastarlo


Che fare per il Paese/


Cottarelli “Contro

debito e sfiducia

servono più figli”

kCarlo Cottarelli, 65 anni,
è stato commissario alla
revisione della spesa
pubblica e poi dirigente
al Fondo Monetario. Oggi
è a capo dell’Osservatorio
sui conti pubblici italiani

di Eugenio Occorsio

Interventi razionali


per tagliare le tasse


sono utili, ma è un


rischio farlo in deficit


L’unico modo


credibile è ridurre


spesa e evasione


eMMANUEL
macron
pRESIDENTE
fRANCESE

Istat
Male la produzione
industriale

A giugno la produzione
industriale torna negativa.
Rispetto a maggio il calo è
dello 0,2%; nel confronto con
un anno fa la contrazione sale
dell’1,2%. Inoltre è quasi tutto
svanito il recupero messo a
segno il mese prima
confermando una
stagnazione conclamata nel
corso del 2019 (-0,7% il dato
gennaio-giugno). A guidare il
calo dell’attività è il settore
auto (-17,7%), in negativo
anche i beni di consumo,
specialmente quelli durevoli,
come mobili, motocicli o
gioielli. Guardando ai singoli
comparti, spicca in positivo la
farmaceutica (+6%) e la
produzione di energia
(+2,4%)

Primo piano Il futuro oltre la crisi


giovanni Tria
MINISTRO DEL
TESORO IN
CARICA

La transizione tra


lira e euro e stata mal


gestita. Ad esempio


l’aumento degli


stipendi nel pubblico


colpì la competitività


del nostro sistema


f


g


. Sabato, 3 agosto 2019^ pagina^9

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