la Repubblica - 01.08.2019

(ff) #1
Di fronte all’urgenza di una riflessione sullo
stato di salute della lingua italiana, molti
indicano una serie di fattori come cause
principali della crescente difficoltà degli
studenti italiani a possedere pienamente la
propria lingua madre. Alcuni rimandano
alla condizione problematica della scuola
italiana.
«Ma prof, a che serve imparare parole
nuove? Chi me le chiederà? E l’uso della
punteggiatura? Se sbaglio a usare una
virgola, il senso lo si capisce lo stesso!»,
ribadisce stizzito l’alunno di una quarta
liceo di fronte al mio ennesimo tentativo di
correzione in classe di un elaborato. Credo
che il mio alunno abbia colto il segno e
spostato il focus su un altro fattore, esterno
alla scuola e più decisivo. A che serve
imparare l’italiano se la realtà da pensare,
esprimere linguisticamente e poi
comunicare è una realtà circoscritta al suo
portato più sterile e ordinario, e quindi
perfettamente leggibile con codici e registri
più elementari e più immediati? Ecco, credo
che il vero problema sia nelle motivazioni e
nel contesto che sostengono l’impegno
linguistico.
La decadenza delle competenze in lingua
italiana segnala più la decadenza degli
assetti civili della nostra società, e meno una
responsabilità unica della scuola.
Provocatoriamente, a che serve imparare
l’italiano se lo spazio del dibattito pubblico è
mortificato dalla continua ostensione di
modelli comunicativi sciatti, inclini alla
violenza verbale o all’offesa personale?
Credo che ogni discorso sulla scuola sia
sempre un discorso monco se non chiama a
sé il contributo della società, l’azione della
cultura e della politica, la responsabilità

dell’economia e dei mass-media. Tutto
infatti, in questa dimensione corale, si tiene,
si rimanda e si influenza. E credo che ci sia
una sottile correlazione fra la caduta
d’autorevolezza della scuola e i bassi indici
di diffusione dei giornali, fra i colpevoli
disinvestimenti nel campo dell’istruzione e
la progressiva disaffezione per le urne
elettorali.
Credo che si debba partire dal generare
nuova forza attrattiva verso la lingua,
garantendole prassi, modelli e spazi perché i
nostri ragazzi possano praticarla senza
accomodamenti né distorsioni. Tocca a noi
tutti, docenti, intellettuali, giornalisti,
professionisti della parola, mostrare questa
vitale grammatica ai nostri ragazzi e
impegnare la politica e la società affinché ne
riconoscano l’insostituibile valore. Si tratta
di indicare loro che esiste un mondo
vastissimo di alternative ermeneutiche, che
esiste un “al di là” oltre questa geografia
dell’ovvietà e dell’opacità, che esistono
territori del pensabile e del dicibile non
imbrigliati a riduttive e abbruttenti logiche
consumistiche o pubblicitarie, retoriche o
manipolatorie che siano, che possedere la
lingua è possedere più pienamente se stessi.
E, soprattutto, che ciò che è predicabile sulla
realtà in termini di verità, valori, ipotesi,
inferenze, relazioni, interpretazioni e
desideri è infinitamente più grande, più
trasparente, più pertinente e più appagante
della realtà stessa da cui prendono spunto, e
che l’uso preciso e consapevole della parola
misura lo spazio della nostra libertà critica,
della nostra legittimazione civile e della
nostra emancipazione spirituale.
Mario Giustizia


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I danni della Tav,
questi sconosciuti

Roberto Nenzi

Quando ero a Bruxelles ho
lavorato sulle Reti
trans-europee (strade,
ferrovie e canali navigabili),
ambizioso progetto della
Commissione per collegare le
reti di trasporto della Ue. Il
principale ostacolo era, ed è, il
mettere allo stesso tavolo
operatori infrastrutturali e
ministeri di Paesi diversi. Mi
occupavo di reti autostradali.
La Tav Torino-Lione fa parte
del corridoio di trasporto a
sud delle Alpi. L’attuale
Torino-Lione passa adesso per
il Traforo del Frejus, che è del
1980, e da quella data i treni
sono cambiati, e non c’è
collegamento fra l’Alta
velocità italiana e quella
francese (ma neanche con
quella svizzera o tedesca,
mentre il Belgio già ce l’ha). E
lasciamo perdere le
argomentazioni
ambientaliste. Quale danno la
Tav permanentemente crei
all’economia e al Pil italiani
nessuno l’ha mai detto. Forse
bisogna guardare verso
orizzonti molti più lunghi di

quelli cui gli italiani (non tutti)
sono abituati.

Fiorello mi piace
però basta spot

Vincenzo Paolucci

Visto che sui grandi problemi
che affliggono l’Italia in
questo momento non vedo
spiragli di sereno , parliamo
di sciocchezze. Con tutto
l’affetto e l’ammirazione per
Fiorello mi chiedo come sia
possibile sopportare che sui
canali Rai , diverse volte al
giorno , vadano in onda spot
dedicati a un programma di
Fiorello che andrà in onda su
Rai Play. Quando? A
novembre! Bravi, ma basta!

Mostrare i muscoli
a danno dei poveri

Gabriele Riegler

Un esponente politico tedesco
si è chiesto perché il ministro
Salvini faccia tanta resistenza
a far sbarcare i naufraghi
quando alla fine lo sbarco
puntualmente si realizza.

Domanda retorica: paga poco
elettoralmente una
conclusione sulla base di
accordi in ambito europeo, cui
spesso il governo italiano ha
disertato le relative riunioni,
mentre dare l’impressione che
siano i muscoli ad ottenere lo
stesso risultato ha notevole
effetto sul suo elettorato.
Peccato che ciò accada sulla
pelle di poveri disgraziati.

Se il salario a 9 euro
è un salasso

Fabio Baldrati

Con la debolezza dei servizi
numerose famiglie con
componenti bisognosi sono
costrette al mantenimento in
regola di una badante.
Famiglie normali, non ricche.
Hanno idea, i 5 Stelle, dei
sacrifici che devono patire?
Una spoliazione economica.
Con questa trovata del
“salario minimo” portato a 9
euro (all’ora) i costi in alcuni
casi potrebbero raddoppiare.
Sarà un’autostrada aperta al
lavoro nero. Bella mossa,
amici con le stelle. Ci
rimetterete un’altra vagonata
di voti.

CAPOREDATTORI CENTRALE: Valentina Desalvo (responsabile)
Stefania Aloia Alessio Balbi, Andrea Iannuzzi, (vicario)
Laura PerticiGEDI
Gruppo Editoriale S.p.A.PRESIDENTE ONORARIO:
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CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE
PRESIDENTE:Marco De Benedetti
VICE PRESIDENTI: Monica MondardiniJohn Elkann,
AMMINISTRATORE DELEGATO:Laura Cioli
CONSIGLIERI: Giacaranda Maria Caracciolo di Agar Brugiavini,
Melito Falck, Elena Ciallie, Alberto Clò,

Rodolfo De Benedetti, Francesco Dini, Silvia Merlo, Elisabetta
Oliveri, Luca Paravicini Crespi, Carlo Perrone, Michael Zaoui
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E SISTEMI INFORMATICI:Pierangelo Calegari
RELAZIONI ESTERNE:Stefano Mignanego
RISORSE UMANE: Roberto Moro

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del 18-12-2018

La tiratura de “la Repubblica”
di mercoledì 31 luglio 2019è stata di 217.048 copie
Codice ISSN online 2499-0817

«E


ro alla prima occupazione
post laurea. Una collega da
poco era stata promossa e rimase
incinta. Il dirigente andò fuori di sé.
Registrai nella mia mente questa
frase: “Anche le contadine della
Sardegna conoscono i più
elementari metodi
anticoncezionali”. Giurai che me ne
sarei andata. Entrai in una società
di consulenza internazionale.
Lavoravo anche 12 ore al giorno. Mi
dicevano brava. Ero l’unica donna,
oltre alla segretaria. Il capo arrivava
dallo studio di un noto professore
universitario: lì erano nate relazioni
tra uomini e donne, ma quando
finivano si creava un clima
negativo, quindi le donne erano un
problema. Io ero un’eccezione.
C’era da prendere una decisione
importante e ognuno doveva dire la
sua, al mio turno disse, con gli occhi
bassi: “Le donne possono stare
zitte”. Giurai nuovamente che me
ne sarei andata. Dopo qualche
anno, costituii uno studio con un
collega più anziano. Per anni
lavorai sodo, ma la mia quota fissa
di utili era sempre la stessa, avrei
pagato a vita la differenza di età.
Producevo meriti che non
arrivavano a me. La strategia era
riempirmi di lavoro perché “tu sei
brava”, “tu sei esperta”.
Quando fui vicina ai 40 rimasi
incinta. Con il mio compagno
decidemmo di non dire nulla fino a
dopo il terzo mese. Ad un pranzo di
lavoro, il dirigente di un’azienda
cliente notò, sotto al tailleur, che le

mie tette erano più sode. Qualche
battuta tra uomini sulle mie tette
decretò l’inizio dell’inferno.
Aspettò che non ci fosse nessuno in
studio e mi disse in malo modo
“Perché non mi hai detto che sei
incinta?”. Sentii frasi del tipo “vado
dall’avvocato” e “mi stai causando
un danno”. Lanciò un mazzo di
chiavi per strada e bestemmiò.
Bisognava nasconderlo ai clienti:
nessuno doveva vedere il pancione.
Una situazione così surreale da non
riuscire neppure a raccontarla.
Dopo la nascita, mi disse che
dovevo girare allo studio
l’indennità di maternità pagata
dalla cassa di previdenza, che per
due mesi non ero andata in ufficio
(pur lavorando da casa) e lui ne
aveva avuto un “danno
psicologico”. La gravidanza mi
verrà fatta pagare per sempre,
perché il passato è cancellato e il
futuro da mamma è un handicap.
Questa mia storia ne racchiude
tante altre. La donna viene
spremuta fino a che non decide di
avere un figlio e poi lasciata alla sua
sorte. Pari opportunità, quote rosa:
belle parole, ma nei fatti meno che
gocce nell’oceano».

Come possiamo dare


più forza all’italiano


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. Giovedì, 1 agosto 2019 Commenti pagina^23

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