La Stampa - 30.08.2019

(avery) #1
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In Piemonte come in Amazzonia

Si ripete il miracolo della “Victoria”

GIANCARLO SPADONI
SALUZZO (CUNEO)

È


incantato il giardi-
no botanico «Villa
Bricherasio» a Sa-
luzzo dove il fonda-
tore, Domenico
Montevecchi, da-
gli Anni ’70 colleziona parti-
colari specie di piante e fiori:
in quell’ettaro di collina dal

microclima speciale, si sono
raggruppati oltre 20 mila
esemplari di circa 2 mila spe-
cie, in gran parte rare, divise
in zona mediterranea e conti-
nentale. Camelie, azalee, ro-
se di 80 varietà, tre specie di
Palma brahea azzurra, due
di Yucca rostrata, due quali-
tà di albero dei Fazzoletti di
provenienza cinese, sambu-
chi, eucalypti, e così via.
A rendere famoso, anche
Oltreoceano, il Giardino di
Montevecchi, è la «Victoria

Amazonica», pianta acquati-
ca della famiglia delle ninfea-
cee, che qui, unico sito in Eu-
ropa, è coltivata e riprodotta
all’aperto. Scoperta nel Rio
delle Amazzoni nel 1801 dal
naturalista Tadeas Haenke,
poi dedicata alla Regina del
Regno Unito, ha foglie fino a
3 metri di diametro, con
struttura geometrica che ha
ispirato celebri architetti.
Il suo fiore rosa pallido si
apre al crepuscolo emergen-
do dall’acqua e tra luglio e
agosto è pronto a riprodursi.
Ma nelle anse del Rio delle
Amazzoni la germinazione
avviene con l’aiuto di insetti
assenti in Europa. Da qui il
miracolo realizzato da Dome-
nico Montevecchi, che in un
laghetto sotto casa in prima-
vera libera i semi, fatti arriva-

re la prima volta dal giardino
botanico Cocoa Beach in Flo-
rida, dopo averli mondati dal-
la copertura di adormina che
ne ha impedito la germina-
zione precoce.
Quando vicino alle grandi
foglie della Victoria dall’orlo
robusto spunta il fiore, bian-
co e poi rosa, Montevecchi,
da casa sua, di notte sente un
profumo che può espandersi
per oltre 300 metri, capisce
che è il momento dell’impolli-
nazione, ma impossibile con
i pronubi, insetti di altri conti-
nenti. Così passa all’azione,
scendendo in acqua a far le
veci degli stessi pronubi.
Quando al buio completo (so-
lo la luce della luna non inter-
ferisce) all’interno del fiore
bianco si apre la «camera nu-
ziale» e appare lo stimma, o

geneceo, con pennello steri-
lizzato recupera il polline dal-
le antere e lo introduce nello
stimma.
A quel punto la «camera nu-
ziale» si riscalda e si chiude, il
fiore diventa rosa e va sott’ac-
qua per non attirare insetti. Il
giorno dopo riemerge, a con-
fermare l’avvenuta impollina-
zione, poi torna per difesa
sott’acqua. Entro 8 settimane
i semi maturi riaffiorano av-
volti in una melassa, a disposi-
zione di uccelli e fauna ittica,
ma a una certa distanza dalla
pianta madre. In questo caso
è Montevecchi a raccogliere i
semi: in una speciale nurse-
rie riscaldata gli crea attorno
l’endormina che li fascia, per
conservarli fino alla primave-
ra successiva. —
c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

CLOROFILLA

Domenico Montevecchi

IL GIARDINO

PAOLO PEJRONE
ALBERTO FUSARI

N


el dubbio astener-
si? Quando si par-
la di grandi alberi
è sempre difficile
decidere.
La responsabili-
tà dell'ultima parola sul futuro
di alberi che hanno accompa-
gnato un giardino per una vita
e spesso per molto di più non è
facile eppure è in molti casi un
dovere al quale non possiamo
sottrarci.
Beate le generazioni che
non hanno dovuto affrontare
il problema: ogni scelta in que-
sti casi ha sempre il suo risvol-
to negativo e rischia di venire
fraintesa, il senso di colpa aleg-
gia e mormora nell'aria, gli in-
teressi cambiano continua-
mente i loro bilanciamenti. I
quattro enormi cedri di Villa
Giolitti a Cavour, nel torinese,
possono essere presi come

esempio, innanzitutto del
grande rispetto di una proprie-
tà che ama i suoi alberi, se ne è
presa e se ne prende cura e cer-
ca di ponderare al meglio l'ar-
dua ma inevitabile decisione.
Quella dei cedri, di Giolitti
e di Cavour è una storia antica
e ben consolidata: all'ingres-
so della casa ai piedi della Roc-
ca campeggia ancora il cedro
del Libano piantato (e se Dio
vuole non piantumato come
oggi è di moda) dallo stesso
Giolitti nel 1871 per la nascita
della figlia Enrichetta, a testi-
monianza dello speciale rap-
porto che lo statista ebbe con
il posto e con il giardino. Un
giardino oggi invecchiato, leg-
germente trascurato ed ele-
gantemente provinciale, con i
suoi vecchi muri sormontati
dalle lose, il rustico travestito
da capannina svizzera, il frut-
teto circondato dalle spalliere
delle viti.

Un secolo d’età
In questo momento due gigan-
tesche lagerstroemie sono in
fiore: le cortecce contorte e sfo-
gliate denunciano l'abbondan-
te secolo d'età. Un filare di vec-
chie ortensie, con i bordi in
convallaria come era uso, por-
ta al bosco di tassi e vicino ad
essi crescono i «nostri quat-
tro», purtroppo a ridosso di
una strada vicinale.
La loro maestosità è il segno
di un scelta a suo tempo intelli-
gentissima: il venir piantati
con le radici tra le rocce della
Rocca di Cavour, in terre leg-
germente acide, è la migliore
garanzia possibile di salute e
longevità. I cedri, sia quelli
dell'Atlante (Cedrus atlantica)
sia del Libano (Cedrus libani) e
perché no anche quelli dell'Hi-
malaya (Cedrus deodara), dete-
stano le terre umide: un buon
drenaggio è il requisito indi-
spensabile per alberi con radici

ben ancorate e stabili. Con gli
anni i grandi vecchi sono diven-
tati ingombranti ed inevitabil-
mente un po' pericolosi: i venti
e le nevicate, specie quelle pe-
santi di fine inverno, li scuoto-
no e li sconquassano ed è capita-
to, come da repertorio, che
qualche ramo sia caduto a terra
senza danni per fortuna.
Che fare dunque? Rimanda-
re non è consigliabile, abbat-
terli neanche a parlarne per-
ché in fondo ci pare che siano
piante sane e potrebbero, tra
un piccolo incidente e l'altro,
andare avanti ancora molto
tempo. In questi casi la condan-
na a morte dovrebbe sempre
essere l'estrema ratio, quando
proprio non sia possibile fare
altrimenti: ci vorrebbe un Bec-
caria della botanica, qualcuno
che ci convinca finalmente ad
abolire la pena di morte per i
grandi alberi, che sono un be-
ne di tutti, non soltanto di chi li

«possiede», ma anche di chi ci
vive intorno. Anzi, molto spes-
so di più.
In questo caso poi l'abbatti-
mento di alcuni sì altri no non
è una strada percorribile: es-
sendo stati piantati troppo vici-
ni, come un tempo si usava, i
quattro si sostengono uno con
l'altro quasi fossero una fami-
gliola di elefanti.
Potarli dunque? I risultati
non sono mai molto gradevoli,
è una forma di spersonalizza-
zione dell'albero, quasi un tra-
dimento che facciamo alla no-
stra stessa missione di crescer-
li e custodirli. L'uomo padrone
che doma e soprattutto si met-
te al sicuro, l'albero che è la vit-
tima, sacrificato per quieto vi-
vere e buon vicinato. In questi
ultimi decenni quella delle
messe in sicurezza è ormai
una moda: non c'è conifera tra
il Saluzzese e il Pinerolese che
non sia stata potata con relati-

va perdita di bellezza e di forza
dei grandi alberi.

Costi elevati
Per non parlare poi dei costi ele-
vati che questa strada compor-
ta: a suon di imbraghi, tiranti e
scadenzatissimi controlli la vita
di chi cura i propri alberi non è
né facile né serena né indolore.
Il dubbio dunque rimane:
forse è questa l'unica via, biso-
gna chiudersi il naso e potare,
con la morte nel cuore. Quan-
do una famiglia ci convive per
generazioni gli alberi diventa-
no una presenza quotidiana,
portano con sé un indiscutibi-
le carica affettiva, entrano a
far parte di quei rapporti che
superano la simpatia e l'antipa-
tia, quasi come capita con i pa-
renti (anzi meglio!). Prendersi
il giusto tempo per ponderare,
all'occorrenza, è già una prima
forma di rispetto. —
c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

Un maestoso esemplare di cedro del Libano

FABRIZIO GIORDANO

ALAMY

I QUATTRO MAESTOSI ESEMPLARI DI VILLA GIOLITTI A CAVOUR, NEL TORINESE

Quei vecchi cedri che paiono una famiglia di elefanti


30 LASTAMPAVENERDÌ 30 AGOSTO 2019
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