National Geographic Italy - 08.2019

(nextflipdebug5) #1
Intorno al 3000 a.C.,
quando iniziò
la costruzione
di Stonehenge, la Gran
Bretagna era abitata da
contadini neolitici.
Un millennio dopo,
quando la costruzione
terminò, la popolazione
neolitica era stata
sostituita dai discendenti
degli Yamnaya, che forse
avevano portato la peste.

si trasmetteva da uomo a uomo. Si pensa che i
nomadi della steppa, avendo convissuto con la
malattia per secoli, avessero sviluppato l’immu-
nità o una certa resistenza, proprio come sarebbe
accaduto in seguito nel caso dei colonizzatori eu-
ropei delle Americhe con il vaiolo. E nello stesso
modo in cui il vaiolo, assieme ad altre malattie
introdotte dagli europei, decimò le popolazioni
native americane, la peste, introdotta dai primi
Yamnaya, potrebbe aver fatto strage nei popo-
losi insediamenti neolitici. Questo spiegherebbe
tanto il sorprendente collasso dei popoli neolitici
europei quanto la rapida difusione del Dna yam-
naya dalla Russia alla Gran Bretagna.
«Le epidemie di peste spianarono la strada
all’espansione yamnaya», aferma Morten Al-
lentoft, biologo evolutivo del Museo di storia
naturale della Danimarca che ha contribuito a
identiicare il Dna antico della peste.
Ma in questa teoria c’è un fattore importante
che resta irrisolto: la presenza della peste negli
scheletri neolitici è stata documentata solo di
recente, ma inora non è stato trovato nulla che
assomigliasse alle fosse comuni che in tempi più
recenti si lasciò dietro la cosiddetta peste nera.
Se davvero fu la peste a sterminare i contadini
neolitici d’Europa, ha lasciato pochissime tracce.


CHE SIANO STATI LORO a portare la peste oppure
no, quel che è certo è che gli Yamnaya hanno in-
trodotto nell’Europa dell’Età della pietra i cavalli
addomesticati, uno stile di vita dinamico basato
sui carri e armi e strumenti innovativi di metallo
che potrebbero aver anticipato l’inizio dell’Età
del bronzo europea.
E forse questo non è neanche stato il contri-
buto più signiicativo che questo popolo ha dato
allo sviluppo dell’Europa. Il loro arrivo nel con-
tinente coincide infatti con quella che i linguisti
chiamano la difusione iniziale delle lingue indo-
europee, una famiglia di centinaia di idiomi che
si sarebbero evoluti da un unico idioma protoin-
doeuropeo. Dove fosse parlato e da chi è un tema
che viene dibattuto da due secoli. Secondo una
teoria a introdurlo in Europa assieme all’agricol-
tura furono i contadini neolitici dell’Anatolia.
Un’altra teoria, proposta un secolo fa dallo stu-
dioso tedesco Gustaf Kossinna, sostiene che i pro-
toindoeuropei fossero un’antica stirpe germanica
del nord, la stessa che produsse il vasellame e le
asce della cultura della ceramica cordata. Kos-
sinna pensava che il carattere etnico dei popoli
del passato si potesse dedurre da ciò che avevano


lasciato. “Aree culturali archeologiche ben dei-
nite”, scriveva, “corrispondono indiscutibilmente
ad aree abitate da particolari popoli o tribù”.
La tribù germanica settentrionale dei protoin-
doeuropei, sosteneva Kossinna, si era espansa
dal suo territorio, arrivando a dominare un’area
che si estendeva quasi ino all’odierna Mosca. In
seguito la propaganda nazista usò questa argo-
mentazione per giustiicare sul piano intellet-
tuale l’invasione dell’Europa orientale da parte
della moderna “razza superiore” ariana.
Anche per questo, nei decenni successivi alla
ine della Seconda guerra mondiale, l’idea che le
trasformazioni culturali dell’antichità si potessero
spiegare con le migrazioni era vista male in certi
ambienti archeologici. E ancora oggi, quando i ge-
netisti tracciano frecce sulle mappe dell’Europa,
alcuni archeologi si sentono a disagio.
«Questo genere di sempliicazioni riconduce a
Kossinna», dice Heyd, che è tedesco. «Richiama

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