la Repubblica - 01.08.2019

(ff) #1
di Arianna Di Cori

Roma — La politica era stata la
grande assente, si era detto sei
giorni fa, all’inizio della campa-
gna portata avanti da Repubblica
sul McDonald’s alle Terme di Cara-
calla. E alla fine, dopo sei giorni di
indagini, polemiche, dichiarazio-
ni, scaricabarile, è stata proprio
una figura tecnica a decidere sul
futuro del fast food nel cuore ver-
de di Roma. Da oggi i cantieri nel
vivaio a ridosso del complesso ter-
male severiano saranno fermi. Un
provvedimento, in autotutela, fir-
mato dal direttore generale della
Direzione archeologia, belle arti e
paesaggio Gino Famiglietti, il gior-
no del suo pensionamento.
Un tecnico certo, anche se dietro
al suo atto si cela una decisione de-
cisamente politica. Cosa succede-

rà adesso è ancora avvolto nell’om-
bra. Dalla multinazionale del fast
food giunge solo il silenzio. Si può
ipotizzare un ricorso per danni,
un contenzioso tra privato e Stato
che si consumerà all’ombra delle
Mura Aureliane che cingono Ter-
me e vivaio. E chissà se anche sta-
volta saranno i giudici a sentenzia-
re su temi legati alla tutela, al de-
coro, alla vita stessa di Roma.
La sindaca Virginia Raggi ieri ha
ringraziato personalmente il lavo-
ro portato avanti dal nostro gior-
nale: «Con il Mibac siamo riusciti
a bloccare un vero e proprio scem-
pio ai danni della città. La campa-
gna di Repubblica ha acceso i riflet-
tori sulla questione che qualcuno
aveva voluto tenere nascosta. Ma
ha vinto Roma tutta». La notizia
del progetto aveva fatto cadere
dalle nuvole sindaca e ministro.
Gli enti preposti a rilasciare i per-

messi si erano trincerati dietro la
loro legittimità. Tutto regolare:
d’altronde non stava a funzionari
sindacare sulla pressione antropi-
ca generata da un progetto del ge-
nere in un’area fragile e preziosa,
non era compito di funzionari in-
caricati di verificare le carte.
Ora a rimetterci, più di tutti, saran-
no i proprietari del vivaio: il pro-
getto Mc – che avrebbe interessa-
to un’area di 10mila mq, con un ri-
storante di oltre 500mq, 250 posti
a sedere, un McDrive, 180 posti au-
to – avrebbe scongiurato, dicono,
la chiusura dell’attività stessa. Se
la politica – tutti, dal Municipio, al
Comune, alla Regione, fino alla So-
printendenza e al Mibac – fosse en-
trata prima a gamba tesa, ricono-
scendo l’unicum di quel delicatis-
simo luogo dove ritrovare la Ro-
ma sparita, quella degli alberi ad
alto fusto immersi tra le rovine,
forse si sarebbero potuti evitare i
danni, le lacrime, e le eventuali
cause giudiziarie. D’altronde, vin-
coli e piani paesistici a parte, è dal-
la fine dell’Ottocento che una
Commissione nazionale aveva in-
dividuato che l’area dovesse rima-
nere priva «di moderne costruzio-
ni, e lasciato unicamente a pubbli-
ci giardini, con cui verranno cir-
condati i ruderi degli antichi edifi-
zi scoperti o che si andranno di-
scoprendo».
La vicenda si conclude con un
grande punto interrogativo. Rima-
ne però una certezza. Il caso del
McDonald’s alle Terme di Caracal-
la accende i riflettori sul centro
della capitale d’Italia in balia di ne-
gozi di paccottiglia e junk food.
Un patrimonio Unesco privo però
di un piano che lo tuteli davvero.
Dove ci rimettono i piccoli impren-
ditori e vincono i giganti, gli unici
in grado di attendere anni per ot-
tenere permessi (le pratiche per il
ristorante nel vivaio sono iniziate
nel 2015) e, in caso di problemi,
con una squadra di avvocati pron-
ti a coprirgli le spalle. E, McDo-
nald’s a Caracalla o no, per loro sa-
rà sempre un successo.

Dopo la denuncia di “Repubblica”


Il Mibac blocca il fast food


alle Terme romane


di Enrico Franceschini

londra — Buon compleanno, Her-
man Melville! Ricorre oggi il bicen-
tenario della nascita dell’autore di
Moby Dick, uno dei capolavori del-
la letteratura mondiale ma anche,
come sostiene qualcuno, “il più
grande romanzo mai letto”: per-
ché non tutti sono arrivati in fondo
alle sue 650 pagine, sebbene tutti
sappiano che parla di una balena
bianca.
La difficoltà nel catalogare un li-
bro che da un lato è «la più bella
storia di mare di tutti i tempi», se-
condo D. H. Lawrence, dall’altro
una complessa allegoria della con-
dizione umana, una parabola
sull’America, una riflessione scien-
tifica, filosofica e religiosa su veri-
tà e giustizia, si rispecchia nella
sorte toccata all’opera stessa: all’i-
nizio un totale fallimento dal pun-
to di vista commerciale, appena
3200 copie stampate alla morte di
Melville nel 1891, riscoperta soltan-
to a partire dal 1919 (in italiano la
prima traduzione è di Cesare Pave-
se nel 1930), paradossalmente nel
primo centenario della nascita del-
lo scrittore. Il quale subì un desti-
no analogo, conducendo un’esi-
stenza difficile, travagliata da tra-
gedie familiari, ben lontano da fa-
ma e ricchezza, mantenendosi con
il modesto salario di ispettore do-
ganale nel porto di New York, la cit-
tà in cui nacque e morì, pratica-
mente dimenticato.
Ma è da un viaggio a Londra che
trasse l’ispirazione per il romanzo
con cui viene identificato: nel 1849
prese una stanza in affitto affaccia-
ta al Tamigi nei pressi di Charing
Cross, passando il tempo a bussare
alla porta degli editori e a ubriacar-
si nei pub. La casa dove Melville
abitava esiste ancora, identificata
da una targa blu che lo rammenta.
Facendovi ritorno a tarda sera,
malfermo sulle gambe per l’alcol,

confidò nei suoi diari, credeva di
essere inseguito da un fantasma a
forma di balena: la scintilla di Mo-
by Dick. Poi giunsero altre visioni:
un capodoglio spiaggiato sulla co-
sta dell’Inghilterra (il cui schele-
tro è tuttora conservato in un mu-
seo del Norfolk); un altro che attac-
cava baleniere al largo del Sudafri-
ca; e un libro uscito in quei giorni
che lesse febbrilmente, il Franken-
stein di Mary Shelley, la cui trama
di perversione e ambizione conta-
giò la sua. C
on il titolo originale The Whale
(La balena), il romanzo apparve
prima in Gran Bretagna e successi-
vamente negli Stati Uniti. Senza
tuttavia riscuotere, su nessuna del-
le sponde dell’Atlantico, l’incredi-
bile successo che avrebbe conqui-
stato postumo.
Dopo edizioni in tutte le lingue,
trasposizioni cinematografiche,
teatrali e televisive, riduzioni per
le scuole, oggi molti mettono Mel-
ville sullo stesso piano di Shake-
speare, Cervantes, Tolstoj. Per cita-
re tre dei suoi fan, Moby Dick è il li-
bro preferito di Barack Obama,
Patti Smith, Bob Dylan.
«Va celebrato» osserva sul Guar-
dian lo scrittore Philip Hoare, auto-
re di Leviatano e uno dei più gran-
di esperti in materia, «perché è un
romanzo sovversivo, anticonven-
zionale, profetico»: la genesi della
lotta dell’uomo contro la natura.
Il suo celebre incipit, «Chiama-
temi Ismaele», ha un sapore quasi
biblico: non per nulla si dice che in
quest’opera c’è tutto. Naturalmen-
te Herman Melville è anche altro:
basti ricordare Bartleby lo scriva-
no e il suo proverbiale «preferisco
di no». Ma chiunque ha incontrato
almeno una volta nella vita una ba-
lena, com’è capitato a chi scrive
queste righe, non può fare a meno
di pensare con un brivido a questo
poema in prosa: «Laggiù soffia!
Laggiù soffia! La gobba come una
montagna di neve! È Moby Dick!».

Due secoli fa nasceva l’autore di “Moby Dick”


Buon compleanno


Mister Melville


kLa campagna di “Repubblica”
Sopra, una pagina di Repubblica
dedicata al cantiere del fast food
accanto alle Terme di Caracalla
A sinistra il San Francesco
di Caravaggio custodito a Roma,
a Palazzo Barberini: doveva essere
prestato al Giappone per una
mostra itinerante. In basso,
il ministro Alberto Bonisoli; nella
foto grande, il cantiere a Caracalla

ILLUSTRAZIONE DI ROCKWELL KENT

RIVISTA ITALIANA DI GEOPOLITICA


. Giovedì, 1 agosto 2019 Cultura pagina^29

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