NOVEMBRE 2019
di squadre di pallone che vincono i mondiali, attiviste politiche che cambiano
il linguaggio e sono elette al Congresso USA, scienziate, combattenti contro
l’ISIS, sorelle di vittime di violenza di Stato che pretendono e a volte ottengono
giustizia, le nuove Antigone.
Siamo naturalmente al punto in cui il lavoro femminile, anche quello di
battaglia, è volontario, o se va bene pagato anche dieci volte meno dello stesso
lavoro fatto nello stesso luogo e con le stesse responsabilità da un uomo. Anche
qui: so di cosa parlo. Siamo in un paese che timidamente ha abbracciato il
#MeToo, la denuncia di abusi sessuali come metodo nel mondo del lavoro, ed è
stato feroce con chi lo ha fatto. Non solo - ma anche - perché siamo in un paese
che condivide quel metodo in modo molto profondo, lo trova in fondo eicace e
praticabile: certamente la maggior parte degli uomini ma pure le donne, molte
donne. Che poi innamorarsi del professore, del capuicio, del regista pigmalione
della giovane promessa può succedere, no? Quante celebratissime attrici hanno
sposato un produttore, dalle dive del cinema del passato a oggi, e quante hanno
sposato l’autista? Ce ne sono, ma meno. E il contrario? Quanti giovani attori hanno
sposato la produttrice? Nessuno. Posso sbagliare, magari l’eccezione esiste e non
la trovo. Forse dipende dal fatto che non trovo produttrici. Pochissime, rarità, e
molto concentrate sul lavoro. Non si registrano toy boy nelle loro vite.
E comunque: quando la diferenza d’età è a fattore inverso non si chiamano
toy girl ma nuove idanzate, giovani mogli.
Controcorrente, ancora, vorrei dire della violenza. La quale si esercita con
terriicante normalità. Donne smembrate, fatte a pezzi, buttate nel cassonetto,
uccise, umiliate, svilite; ma tu cosa ne sai, non sei buona a niente. Ecco: su questo
vorrei ripetere qualcosa che scrivo da vent’anni. Dovremmo essere tutte perfet-
tamente in grado, ormai - se non in condizioni di miseria estrema, schiavitù,
indigenza economica e culturale - di riconoscere la minaccia quando si presenta.
L’unico modo per cambiare un idanzato violento è cambiare idanzato. È detto,
noto, manifesto. Il vero grandissimo problema è che molte non riconoscono il
pericolo. Il mainstream, il pensiero dominante, non le mette in condizione di
vederlo. È normale che lui pretenda. Devi essere paziente. È così che vanno le
cose. Quando lo riconoscono, succede sovente, alla ine lo accettano. Lo soppor-
tano, non si sentono in grado di afrontarlo. Non sanno dove rivolgersi, a chi. Non
immaginano via d’uscita e hanno ragione.
La via d’uscita sarebbe una cultura corale, difusa, capillare di condanna
della soprafazione: a partire dalla scuola, come accade in altri paesi d’Europa.
Dalla formazione nei primi anni di vita. Dal modo in cui i genitori trattano i igli
maschi e le iglie femmine.
C’è un governo, c’è stato in questi anni, che abbia messo al primo posto delle
priorità formative l’uguaglianza? Non direi proprio, né a destra né a sinistra né al
centro. E d’altra parte anche in politica le donne che fanno strada sono spesso, in
Italia, quelle che “appartengono” a qualcuno. Anche fosse solo per obbedienza di
corrente. E quindi sì: la soggezione, l’asservimento, rendono. La libertà costa. A
volte costa moltissimo, persino la vita, e non conviene. Fino a che non si sovverte
questo ordine simbolico - questo stato dei fatti strutturale - ogni discorso sulla
violenza di genere sarà ineicace. Servono azioni, investimenti, non parole.
Inine, proprio a questo proposito: sulla militanza femminista del nuovo
millennio la mia personale e senz’altro discutibile opinione è che i gesti contino
più dei proclami e dei manifesti. Servono entrambi, non c’è dubbio. Bello anche
poter aderire a un appello, se convince, ma non ho ancora visto raccolte di irme
far altro che confermare gli opposti schieramenti e raforzarli. A questa altezza
Dovremmo essere
tutte in grado
di riconoscere
la minaccia quando
si presenta. L’unico
modo per cambiare
un fidanzato violento
è cambiare fidanzato.
In questo numero realizzato
da sole donne abbiamo af-
fidato l’editoriale a Concita
De Gregorio, che si descrive
come «Giornalista, scrittrice,
persona curiosa, difettosa e
ostinata nella gentilezza».
Le immagini che illustrano
l’editoriale sono tratte da
The Consequences, una do-
cumentazione sul femmini-
cidio in Italia realizzata dalla
fotoreporter Stefania Prandi,
specializzata in tematiche di
genere, sociali e ambientali,
che sarà in mostra alla Qua-
dreria di Bologna dal 14 no-
vembre.
NATIONAL GEOGRAPHIC ITALIA