National Geographic Italy - 11.2019

(Tina Meador) #1

della vita proverei anche un’altra strada. Fare di più, dire di meno. Avere chiaro


il mondo che vorremmo e comportarsi come se fossimo già lì. Vivere come se


tutto attorno il resto fosse già cambiato. Anche nel proprio piccolo ambito, anche
nella riunione scolastica, o sportiva, o di condominio. Silenziosamente, ma fer-


mamente, agire nella direzione della meta come se fossimo già a destinazione.
Per esempio parlare sempre con sincerità, e non avere paura neppure di dire “non


so”, e dubitare, e prendersi il tempo che serve per capire, e chiedere consiglio, e
ascoltare. Poi fare come ci sembra giusto, sempre, e pazienza se non fa like sui


social. Anzi, vi dirò. A volte è persino meglio. Perché la reputazione e la popolarità
si costruiscono nel recinto del pensiero dominante, ed è fatale - inevitabile - essere


impopolari quando si scarta di lato, quando si esce dal perimetro già segnato
per chi dice e chi dissente.


Le grandi donne che hanno cambiato il mondo sono state spesso molto sole.

Le celebriamo oggi, ma i loro contemporanei le hanno rese invisibili. È così an-
cora oggi. Le irregolari sono quelle che non si curano del coro e vanno avanti in


direzione ostinata e contraria. Spesso in silenzio, senza celebrazioni. Sono tante.
Per la prima volta da molti anni sono anche in grado di riconoscersi e tenersi,


da lontano, per mano. La grande novità sulla scena mondiale mi pare questa: la
fine della solitudine. La consonanza, l’ammirazione reciproca, la possibilità di


sentirsi risuonare in chi, dall’altra parte del mondo, a casa sua, cammina lo stesso
cammino. Non c’è verso che non sia questa, la rivoluzione. Quando accadrà sarà


perché ha finito di accadere. Succederà un giorno, e sarà la fine di un processo


lungo anni, mesi, giorni. Questi giorni. Che lo vogliate o no, che lo sappiate o no,
come dice Megan Rapinoe, la capitana della nazionale di calcio USA coi capelli


viola. Stiamo tutti andando lì. j


NOVEMBRE 2019


Giovanna Ferrari, madre di
Giulia Galiotto - uccisa a 30
anni dal marito Marco Manzini
l’11 febbraio 2009 - sul suo
letto di casa in provincia di
Moena. Ha conservato i
vestiti della figlia e ogni tanto
ne indossa uno.

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