National Geographic Italy - 11.2019

(Tina Meador) #1

B O C H R A B E L H A J
HAMIDA
A V V O C A T A
E PARLAMENTARE,
TUNISIA


Noi attiviste
temevamo
che la
rivoluzione
riportasse
indietro
le donne, ma
è accaduto
esattamente
il contrario.


il parto in clinica con l’assistenza medica anziché il tradizionale parto in
casa. Questo è un esempio, spiega, di femminismo che agisce all’interno
di una cultura e si avvale anche del sostegno degli uomini per cambiare.
La popolazione del Malawi, in gran parte rurale, è profondamente
conservatrice, aferma Banda, e per quanto in alcune comunità sia in
vigore un sistema di discendenza matrilineare e le donne partecipino alla
scelta di un capo uomo, «in questo paese i capi locali sono per tre quarti
uomini e maschilisti», aggiunge. «Non potete immaginare quanto! L’85
per cento del nostro popolo vive in comunità rurali, e quindi è soggetto
alla loro autorità. Per conquistare diritti è necessario coinvolgere i capi e
trasformarli in sostenitori della causa, ed è questo che ho fatto».
Le organizzazioni internazionali peccano di «ingenuità», sostiene
ancora Banda, «quando vengono in Africa sperando di risolvere i nostri
problemi. Possono rimanere qui anche vent’anni e ottenere comunque
scarsi risultati, perché alcune delle questioni che vogliono afrontare
sono troppo profondamente radicate nella tradizione». Per cambiare una
cultura è necessario agire dall’interno.
Kachindamoto, la cui giurisdizione si estende su 551 villaggi e 1,1 mi-
lioni di persone, si considera «una custode della cultura». Eppure, da
quando è diventata capo nel 2003, si è adoperata per cambiare alcune
pratiche tribali, tra cui il rito d’iniziazione che obbligava le ragazze che
entravano nella pubertà a perdere la verginità con degli estranei.
Kachindamoto ha dovuto superare le resistenze, accompagnate a volte
da minacce di morte, non solo di sottocapi e autorità dei villaggi su cui
governa, ma anche di altri capi suoi pari. La sua famiglia è preoccupata
per la sua sicurezza. Alcuni capi anziani l’hanno contrastata, racconta,
sostenendo che «questa cultura ci è stata trasmessa perché la rispettas-
simo. Chi sei tu per cambiarla?». A queste obiezioni lei rispondeva: «Siete
liberi di non intervenire nella vostra area, ma nella mia la situazione
cambierà, che vi piaccia o meno».
Anche suo padre, da capo, aveva tentato di proibire il rito d’iniziazione;
lei c’è riuscita grazie anche alla paura dell’Hiv/Aids in un paese in cui un
adulto su 11, di età compresa tra i 15 e i 49 anni, ha contratto l’infezione.
Kachindamoto ha vietato i matrimoni precoci, rimandando a scuola
le bambine, molto prima del 2015, anno in cui il Malawi ha approvato la
legge che innalza da 15 a 18 anni l’età legale per sposarsi. Nel 2017 anche
la Costituzione è stata emendata in conformità con la nuova legge. Poi-
ché all’inizio la gente non voleva neppure ascoltarla, Kachindamoto ha
escogitato uno stratagemma brillante: ha formato un gruppo musicale
itinerante per lanciare il proprio messaggio contro il matrimonio infan-
tile e i riti d’iniziazione. Da allora ha imposto leggi locali contro queste
pratiche nella propria giurisdizione, esautorando pubblicamente i capi
uomini che continuavano a tollerarle perché il gesto fungesse da esempio
per la comunità. Allo stesso tempo ha promosso all’incirca 200 donne in
posizioni di autorità.
I matrimoni precoci sono collegati alla povertà, così Kachindamoto
cerca di combattere entrambi. Sa che nella sua regione basata sull’agricol-
tura le tasse scolastiche sono uno tra i principali ostacoli che impediscono
alle bambine di proseguire gli studi. «Parlo con i direttori delle scuole per
convincerli a non mandare via le bambine che non pagano, perché se lo
fanno i genitori le fanno sposare subito».
La sua voce non è l’unica impegnata nel cambiamento del paesaggio
culturale del Malawi. Attraverso la Mwanza Traditional Authority del

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