National Geographic Italy - 11.2019

(Tina Meador) #1

GIORDANIA


EROINA


ANTI-BARRIERE


Dopo essere stata
per dieci anni la voce
più importante
dell’accessibilità in
Giordania, Aya Aghaby
è morta lo scorso
agosto a 28 anni.
Costretta su una sedia
a rotelle dopo un
incidente d’auto in cui
aveva riportato una
lesione al midollo
spinale, Aghaby era
riuscita a studiare
a Berkeley, in California,
un ateneo da sempre
attento ai diritti
dei disabili, e aveva
scoperto che si può
essere indipendenti
anche su una sedia
a rotelle. In un paese
in cui molti luoghi sono
difficili da visitare
se si è disabili – come
il Tempio di Ercole ad
Amman, dove era stata
fotografata a maggio –
Aghabi era diventata
consulente alla
mobilità e aveva
lanciato il sito
Accessible Jordan.
Grazie al suo impegno,
oggi i suoi connazionali
e i turisti disabili
dispongono di guide
online per visitare
i luoghi più suggestivi
e le mete culturali
più importanti
della Giordania.


in materia, le donne ereditano la metà di quello che spetta agli uomini e
metterla in discussione signiica andare contro l’establishment religioso.
«Il punto su cui neppure noi donne siamo tutte d’accordo è la concezione
della famiglia», aferma Hamida. «Loro ne hanno una visione patriarcale».
Con “loro” Hamida si riferisce a persone come Halima Maalej, conserva-
trice religiosa e attivista che, pur appoggiando la maggior parte delle riforme,
è contraria all’eguaglianza dei diritti ereditari. «Perché dovremmo cambiare
le fondamenta della nostra società e le sue tradizioni?», è la sua obiezione.
Sostenitrice del partito Ennahdha, Maalej ricorda le diicoltà incontrate
durante i regimi laici di Bourguiba e Ben Ali. Ha lottato molto per trovare una
scuola che l’ammettesse con il velo, prima di essere accettata in un istituto
cattolico. «In pratica eravamo ridotte al silenzio».
Oggi lei e le sue amiche velate vogliono essere ascoltate. È convinta che la
parità di diritti ereditari violi la sharia, la legge islamica. L’islamismo non
è però un fronte monolitico e anche tra le sostenitrici di un partito come
Ennahdha esistono posizioni diverse. Meherzia Labidi è una parlamentare
di Ennahdha ed ex vicepresidente dell’assemblea legislativa nazionale.
Come Maalej anche Labidi indossa l’hijab e ricorda la repressione religiosa
che le negava una voce prima della rivoluzione, ma le ainità iniscono qui.
Labidi crede che le donne tunisine debbano confrontarsi di più tra di loro.
«In Tunisia, e nel mondo arabo più in generale, dobbiamo trovare una voce
di compromesso tra estremiste laiche ed estremiste religiose».
Labidi è orgogliosa dei progressi delle donne tunisine e del fatto che nel
dibattito su questioni cruciali, come quella della successione, la Tunisia sia
ancora una volta d’esempio per il resto del mondo arabo.
«Dovunque la democrazia faccia progressi anche le donne conquistano
diritti, perché si può parlare e agire. Ma nei luoghi privi di democrazia i
cambiamenti a favore delle donne, quando ci sono, sono imposti dall’alto, da
chiunque rappresenti l’autorità», aferma Labidi. «Proprio per questo motivo
le riforme non sono sentite dalla gente. Noi qui stiamo cercando di fare una
cosa molto diicile: penetrare nel tessuto sociale del paese».
Secondo Labidi, «il patrimonio universale» del femminismo può unire le
donne che occupano posizioni distanti nell’ambito dell’attivismo militante
come Hamida e Maalej. Ma questo signiica anche non avere donne occiden-
tali che parlino per loro. «Dicono che noi dovremmo avere più libertà, eppure
non ci è consentito dichiarare ciò che vogliamo. È questa la libertà? È questo
il femminismo?», aggiunge Labidi, che manda un messaggio alle femministe
occidentali: «Vi prego, smettete di parlare a nome nostro e per noi».
Anche la regista candidata all’Oscar Nadine Labaki crede fortemente nella
necessità che le donne raccontino le proprie storie. I tre ilm che ha diretto


  • a partire dal primo, Caramel, del 2007, uno sguardo sulla vita di cinque
    donne libanesi ambientato in un salone di bellezza di Beirut - esplorano temi
    universali come il patriarcato e la povertà. Labaki spiega che Caramel è nato
    da una sua «ossessione personale» e dalla volontà di mettere a confronto gli
    stereotipi secondo cui le donne libanesi «sono sottomesse, non riescono a
    esprimere la propria personalità, sono a disagio con il proprio corpo, sono
    dominate dagli uomini», con la realtà molto più complessa delle donne forti
    che la circondano, a partire dalle sue famigliari.
    Nel ilm Cafarnao, candidato all’Oscar nel 2018, la regista ha rivolto lo
    sguardo sui bambini di strada. Nato nel 2013, il progetto era in parte ispirato
    all’immagine di Alan Kurdi, il bimbo siriano trovato morto annegato su una
    spiaggia turca dopo la fuga della sua famiglia dalla guerra in Siria.
    «Mi sono chiesta che cosa avrebbe detto quel bambino se avesse potuto


La fotografa Lynn
Johnson ha vinto il
premio Eliza Scidmore
nel 2019. Rania
Abouzeid ha ottenuto
la Nieman fellowship
e ha pubblicato il libro
No Turning Back:
Life, Loss, and Hope
in Wartime Syria.


44 NATIONAL GEOGRAPHIC ITALIA

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