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104 Le Scienze 6 15 novembre 2019
Un gelo mortale (o vitale)
Gli androidi e loro fratelli
Da nemico letale ad agente terapeutico, i volti del freddo
Un bilancio della robotica e le prospettive per il futuro
«Immagino siate sorpresi di trovarmi qui!». Gli scala-
tori avevano tutti i motivi per sorprendersi. La sera pri-
ma Lincoln Hall era stato abbandonato dagli sherpa vi-
cino alla vetta dell’Everest. Perso il controllo di sé, non
rispondendo più agli stimoli, col respiro sempre più lie-
ve, era chiaro che sarebbe stato impossibile riportarlo
al campo. Così aveva passato la notte a 8600 metri di
quota. A digiuno. Senza ossigeno. A -25°C. Ma la mat-
tina dopo lo ritrovarono «non solo sveglio, ma nella po-
stura della meditazione. Era confuso ma presente, e riu-
sciva a camminare. Salutò gli alpinisti» con quella frase.
Come fece a sopravvivere? Nessuno lo sa, ma forse una
fortunata serie di circostanze gli permise di entrare in
torpore, una sorta di ibernazione come quella di cui
sono capaci alcuni animali. È insomma uno di quella
manciata di casi noti «nei quali il freddo sembra improv-
visamente e inaspettatamente risparmiare le sue vittime
e proteggerle».
Quella di Lincoln non è che una delle storie con cui
Matteo Cerri, giovane neurofisiologo e membro del To-
pical Team Hibernation dell’Agenzia spaziale europea,
punteggia la sua trattazione, scorrevole e godibile, dei
tre volti del freddo. C’è il freddo nemico e a volte killer,
dal generale inverno che decima gli eserciti in Russia al-
la piccola fiammiferaia, passando per pesci con l’anti-
gelo, reni vitrificati, e uomini sconvolti da qualche deci-
mo di febbre. E c’è il freddo come cura, con l’ipotermia
terapeutica nelle sale operatorie e in terapia intensiva,
per rallentare il metabolismo e salvare organi delicati co-
me il cervello. Ma anche, prima delle tecnologie odier-
ne, con «la scoperta dell’acqua fredda» per realizzare
un’ipotermia ante litteram.
C’è infine il freddo come speranza: si può realizzare ne-
gli esseri umani qualcosa di simile all’ibernazione? Sa-
ranno possibili i voli interstellari di astronauti ibernati im-
maginati da tanta fantascienza? L’idea è utopistica, ma
c’è già chi paga per essere crioconservato dopo la mor-
te, sperando che tecnologie future lo riportino in vita. Ol-
tre la vita c’è speranza, per costoro. Grazie al freddo.
Giovanni Sabato
«Otto domande su noi e loro». Così recita il sottotitolo,
dove «loro» sono i robot che abbiamo costruito. Alcuni li
conosciamo piuttosto bene, perché vivono tra di noi da
tempo, sotto forma di macchine che fanno alcuni lavori
al posto nostro. Altri, come iCub, sono diventati star del-
la ricerca mondiale. Sotto diversi aspetti hanno plasma-
to il nostro mondo, insinuando anche paure per una lo-
ro fantascientifica rivolta contro gli esseri umani.
Dello sviluppo della robotica come un campo ben de-
finito, di enorme applicazione e di grande impatto sul-
la società è stato protagonista Roberto Cingolani, fino a
quest’estate direttore scientifico dell’Istituto italiano di
tecnologia (IIT), che ha creato iCub, che ha aperto la
strada ai plantoidi, che ha dato il là allo sviluppo della
pelle artificiale, solo per citare alcuni risultati che nella
sua breve esistenza, non priva di qualche polemica più
di stampo politico, l’IIT ha raggiunto. È quindi una sorta
di bilancio questo volume guidato dalle domande della
giornalista Caterina Visco. Come se fosse l’ultima intervi-
sta a un avventuriero prima di un nuovo viaggio.
Innanzitutto c’è da chiarire che cosa si intenda per «al-
tra specie», un termine che Cingolani usa scusandosi
con i biologi. Si tratta di qualcosa che è uscito dai labo-
ratori e che non ha un corrispettivo in natura. Se un ro-
bot umanoide si ispira a noi per aspetto e funzioni, e se
un plantoide imita comportamenti delle piante, un robot
come il centauro dell’IIT non ha un corrispettivo «natu-
rale». Quando nelle prime pagine un piccolo visitatore
lo scorge per la prima volta, «vede l’artefatto di una co-
sa che non esiste in natura e capisce che questa è una
nuova specie e ne rimane affascinato».
Una alterità che, previsione dell’autore, porterà pre-
sto sulla strada dello sviluppo di robot che avranno tan-
ti corpi separati, ma una sola mente condivisa in cloud,
capace di imparare dalle esperienze di ogni elemen-
to collegato. La strada futura però non è unica, è anzi
transdisciplinare e variabile per sua stessa natura, per-
ché segue la varietà delle esigenze di una società sem-
pre più complessa ed esigente.
Marco Boscolo
La cura del freddo
di Matteo Cerri
Einaudi, Torino, 2019,
pp. 164 (euro 13,00)
L’altra specie
di Roberto Cingolani
il Mulino, Bologna, 2019,
pp. 170 (euro 14,00)