Le Scienze - 11.2019

(Tina Sui) #1

Intervista


12 Le Scienze 6 15 novembre 2019


Studiare la Terra

fino in fondo

“R


icorda di guardare in alto alle stelle, e non ai tuoi
piedi». Preso alla lettera, il celebre monito dell’a-
strofisico Stephen Hawking – coniato per esorta-
re le persone a non lasciarsi abbattere dagli innumerevoli ostacoli
che affollano la nostra esistenza – riflette una delle aspirazioni più
antiche del genere umano e il suo paradosso. Nell’ultimo mezzo
secolo le agenzie spaziali hanno portato l’uomo sulla Luna e i suoi
veicoli su Marte, piazzato stazioni spaziali nell’orbita della Terra e
spedito sonde al di fuori del sistema solare. Eppure, di quello che
si trova al di sotto dei nostri piedi sappiamo ancora relativamente
poco, e in buona parte solo tramite metodi indiretti.
Per colmare questa lacuna, nel 1968 nasceva negli Stati Uniti
il Deep Sea Drilling Project (DSDP), un ambizioso programma di
perforazioni oceaniche che nei decenni successivi sarebbe stato
adottato da un consorzio internazionale di istituti impegnati nel-
lo studio della geologia marina. L’attuale fase, denominata Inter-
national Ocean Discovery Program (IODP), è iniziata nel 2013 e
si concluderà nel 2023. Di recente è iniziata la pianificazione del
programma successivo. Abbiamo chiesto a Elisabetta Erba, pre-
sidente della commissione IODP-Italia di tracciare un bilancio su
passato, presente e futuro dell’esplorazione oceanica profonda.


Da quali presupposti è nato il programma di perforazioni oceaniche?
Nasce dall’esigenza degli Stati Uniti di riaffermare la propria
egemonia, non solo militare ed economica ma anche tecnica e
scientifica, sull’Unione Sovietica. Non è un caso che il progenito-
re del DSDP, cioè il progetto MoHole, sia stato avviato nel 1961, lo
stesso anno del volo nello spazio di Jurij Gagarin. Per rimediare
allo smacco spaziale serviva un traguardo eclatante: gli Stati Uniti
sarebbero stati il primo paese a perforare la crosta terrestre fino a
raggiungere il mantello.


E ci riuscirono?
No, il progetto fu presto abbandonato. L’impresa rimane tutto-
ra incompiuta: attualmente, la perforazione più profonda supera
di poco i 12 chilometri. Non è nemmeno un terzo dello spessore
della crosta terrestre. In compenso, l’avvio del MoHole e la dispo-
nibilità di nuove tecnologie posero le basi di un programma di
ricerca dedicato esclusivamente alla caratterizzazione dei fondi
oceanici. Per 15 anni la nave di perforazione Glomar Challenger
del DSDP girò ininterrottamente per i sette mari. Nei primi tempi i
ricercatori a bordo erano esclusivamente statunitensi, con alcune
eccezioni: la prima scienziata straniera fu Maria Bianca Cita, una
micropaleontologa italiana.


Quali risultati ottennero?
Molteplici. Non dobbiamo dimenticare che all’epoca i fondi
oceanici erano quasi del tutto inesplorati. Il risultato più eclatante
rimane la scoperta delle dorsali e delle fosse oceaniche: solo nei
primi due anni di attività, le crociere della Glomar Challenger
resero possibile la formulazione della teoria della tettonica delle
placche. In tempi più recenti un’altra scoperta straordinaria, av-
venuta però nel corso della successiva fase internazionale, riguar-
da la cosiddetta biosfera profonda.

Ci può spiegare meglio?
Sono comunità microbiche che sopravvivono in condizioni
ambientali estreme a migliaia di metri di profondità, presso sor-
genti idrotermali o nei sedimenti più profondi: un esempio plausi- Cortesia Arito Sakaguchi & IODP/TAMU (JOIDES Resolution); cortesia Erba (

Erba


)


Un bilancio su passato, presente
e futuro degli ambiziosi progetti
di esplorazione oceanica profonda
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