Internazionale - 01.11.2019

(Ron) #1

lungo termine dell’Iran in Libano è avere
Hezbollah al governo e non vedere diminu-
ita la sua influenza”, spiega Vakil.
Al contrario di quelle libanesi, che si
svolgono in un clima relativamente pacifico
(a eccezione degli attacchi commessi il 29
ottobre a Beirut da sostenitori di Hezbol-
lah), le proteste irachene sono state repres-
se e finora si contano circa 250 morti e più di
seimila feriti. Approfittando della vicinanza
con l’Iraq, l’Iran ha dato il suo sostegno alle
forze di sicurezza irachene, e le milizie scii-
te filoiraniane sono accusate di aver sparato
sui manifestanti. “Teheran è consapevole
che le mobilitazioni potrebbero mettere a
rischio la sopravvivenza del regime, per
questo ha reagito con violenza”, osserva Ali
Fathollah-Nejad.
La crescente instabilità nella regione
potrebbe anche far temere a Teheran uno
sconfinamento di questi movimenti in
Iran, considerato che molti iraniani condi-
vidono le stesse rivendicazioni sociali,
economiche e politiche del Libano e
dell’Iraq. Le manifestazioni del gennaio
2019 avevano già mostrato la frustrazione
delle classi popolari iraniane. Secondo Sa-
nam Vakil, però, “è poco probabile che le
proteste abbiano conseguenze in Iran, per-
ché il governo impiega varie strategie coer-
citive per gestire il dissenso e per creare
una repubblica della paura”. u fdl


In Libano e in Iraq la vita politica
è avvelenata da un sistema di
quote etniche e confessionali.
Ma superarlo non sarà facile

L


e proteste in Iraq e in Libano han-
no qualcosa di unico in comune.
Entrambi i paesi si basano su un
sistema non ufficiale di quote, che
stabilisce il modo in cui la democrazia fun-
ziona e i politici prendono il potere. È un si-
stema che mette l’accento sulle lealtà con-
fessionali o etniche piuttosto che sull’iden-
tità nazionale, imponendo la costruzione
di complicate alleanze. In Iraq il sistema
delle quote spartisce il potere fra i tre prin-
cipali gruppi di elettori: i musulmani sun-
niti, quelli sciiti e i curdi. In Libano il pote-
re è distribuito tra i musulmani sunniti e
sciiti e i cristiani. Questo significa che di
solito gli sciiti votano per gli sciiti, i sunniti
per i sunniti e così via. Anche se entrambi i
paesi sono considerati democratici, questo
sistema è il contrario della democrazia e
porta i partiti a polarizzarsi e a escludere
chi non fa parte del loro gruppo.
Il sistema delle quote in Iraq fu instau-
rato dopo l’invasione statunitense del
2003, che rovesciò il regime di Saddam
Hussein. Per evitare lotte confessionali tra
i politici, Washington decise di spartire le
posizioni più importanti nel nuovo parla-
mento iracheno fra i tre gruppi principali.
Da allora i politici sono selezionati sulla
base della loro etnia o religione invece che
in base al merito. Ma il sistema comporta
anche altri problemi, definendo quanto
potere dà ogni nomina alla persona incari-
cata, e quanto denaro può generare. Il ri-
sultato è che una manciata di individui di
ogni gruppo demografico monopolizza
ricchezze e privilegi.
In Libano una guerra civile lunga quin-
dici anni creò una situazione simile, con
una forte ostilità tra i vari gruppi. Quando
la guerra finì, si stabilì il sistema delle quo-
te, per fare in modo che tutti si sentissero
partecipi delle nuove strutture di potere.
In Iraq il sistema delle quote avrebbe

dovuto essere temporaneo, per preservare
la pace fino al radicamento di una vera de-
mocrazia. Invece è prosperato, insieme al
clientelismo e alla corruzione. Dopo tutto,
nessuno voleva rinunciare a quello che
aveva guadagnato. Oggi in Iraq le campa-
gne elettorali dei partiti sciiti spesso si ba-
sano sulla paura che i sunniti vogliano il ri-
torno di un regime autoritario (dato che
Saddam Hussein era sunnita), mentre per
i partiti sunniti gli sciiti vogliono aumenta-
re l’influenza iraniana sul paese.
Quando però la demagogia confessio-
nale si placa, e non ci sono nuove crisi a di-
strarre dalle proprie condizioni di vita, gli
iracheni si accorgono che neppure i vicini
sunniti, cristiani o sciiti possono permet-
tersi di comprare il pane, e capiscono di
avere in comune disoccupazione, servizi
inefficienti e politici corrotti. L’unità porta
alla consapevolezza di essere stati presi in
giro da un gioco politico divisivo. In Iraq
questa presa di coscienza c’è stata durante
il conflitto contro il gruppo Stato islamico,
quando sunniti e sciiti combattevano fian-
co a fianco un nemico comune. E nelle
proteste di questi giorni le lealtà confes-
sionali non sono entrate in gioco.

Buone intenzioni
In confronto ad altri paesi arabi, per certi
aspetti Iraq e Libano godono di una vera
democrazia e libertà di opinione. Ma re-
stano entrambi fragili, dato che il sistema
delle quote si alimenta creando ostilità tra
i diversi gruppi di elettori. Si può immagi-
nare che prima o poi questo sistema si
esaurirà, perché verranno meno le circo-
stanze che ne hanno imposto la creazione
e sarà evidente che un’organizzazione si-
mile non può governare un paese né di-
stribuire equamente la sua ricchezza.
In Libano e in Iraq le proteste andran-
no avanti. Ma bisogna capire come si può
cambiare questo velenoso sistema di quo-
te, soprattutto considerando che i manife-
stanti hanno a disposizione solo le loro
buone intenzioni per combattere la volon-
tà dei partiti al potere, che invece contano
sulle armi e sul sostegno straniero. u fdl

Le radici delle divisioni


Mustafa Habib, Niqash, Germania


L’opinione

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