yak e abbiamo preparato lo tsuai. Dal pun-
to di vista alimentare, i nomadi kazachi
sono quasi del tutto autosufficienti: d’esta-
te preparano formaggi, burro e yogurt con
il latte delle capre e delle pecore, mentre
per mangiare carne macellano cavalli e
pecore. Poi ogni tre mesi, in coincidenza
dei cambi di stagione, smontano la loro
iurta e si spostano.
Più che un trasloco il loro sembra un
esodo di massa: quattro cammelli traspor-
tavano i bagagli di tutta la famiglia e dietro
di loro si muovevano in gruppo tutti gli
animali domestici. La vita dei nomadi è
minimalista e allo stesso tempo grandio-
sa. A giudicare dalla quantità di animali
che ho visto sulle strade della zona, erava-
mo in pieno periodo di spostamenti.
Qualche giorno fa, mi avevano pro-
messo che con altri nomadi kazachi sa-
remmo saliti, a cavallo, su una montagna
per vedere un ghiacciaio. Arrivato il fati-
dico giorno, però, mi dicono che non sa-
remmo più andati perché i cavalli si erano
fermati a fondo valle a pascolare. In que-
sta parte di mondo tutto ruota intorno ai
cavalli e al tempo. Ho cominciato a invi-
diare il modo in cui questi popoli riescono
a vivere in armonia con la natura. Alla fi-
ne non sono riuscita a incontrare i falco-
nieri, anche se era il vero obiettivo che mi
aveva spinto fin qui. Mi è stato spiegato
che in questo periodo non cacciano. A ri-
pensarci, però, non mi è dispiaciuto più di
tanto.
Calarsi in questa realtà
Distesa sull’erba sento dissolvere tutte le
mie ansie. Mi accorgo di aver perso la co-
gnizione del tempo: non so che giorno o
che ora sia. Se non sai andare a cavallo, qui
puoi andare a piedi fino a dove riesci. Sono
stupita di essere riuscita a calarmi così
tanto in questa realtà. Per vivere in questi
spazi non serve sfidare la natura, basta an-
dare al suo stesso ritmo.
Grazie all’esperienza insieme ai noma-
di kazachi, anche la mia percezione del
mondo è diventata simile alla loro. Duran-
te il mio soggiorno nella iurta sono venute
spesso persone in visita. Si fermavano a
mangiare con la famiglia scambiando
qualche chiacchiera e poi ritornavano a
casa. La naturalezza con cui venivano ac-
colti nella iurta sembrava indicare che
fossero parenti o amici stretti, ma in realtà
alcune volte erano anche persone di pas-
saggio. Per i kazachi invitare qualcuno a
pranzo è un gesto naturale, ma implica
molta fiducia nell’altro. Si potrebbe quasi
pensare che tra i nomadi non ci siano ma-
lintenzionati. In questa vasta distesa di
territorio l’incontro con altre persone è
qualcosa di estremamente prezioso. Trat-
tando bene un ospite che dà informazioni
nuove si può restare a parlare per ore. Mi
sono seduta a tavola con tutta la famiglia,
ho dato una mano con il trasloco e ho gio-
cato con i bambini correndo in mezzo alle
greggi. Quando ripercorro le tappe di que-
sto mio viaggio, mi rendo conto che la vita
quotidiana dei nomadi kazachi mi è rima-
sta impressa nella mente più di ogni altra
cosa. Per loro forse è una routine, ma per
me sono stati giorni densi di avvenimenti
e sorprese.
Il ricordo di questo periodo mi scalda il
cuore. Mi sono appena accorta che il sole
è già alto in cielo. Farò in modo di non di-
menticare ciò che ho realizzato grazie ai
nomadi kazachi. E spero che anche chi
leggerà queste mie parole possa sentire il
calore che questi luoghi mi hanno tra-
smesso. u mz
Le praterie della Mongolia e sullo sfondo la catena dell’Altaj