statunitensi avevano creato una fantasia simile. Ho
cominciato questo articolo con un film e concludo ri-
cordandone un altro. La casa Russia è stato girato nel
- Tratto da un romanzo di John le Carré, ritraeva
persone comuni, “brave” persone che trovavano un
terreno comune pur lavorando al fianco di politici
malvagi e infidi esponenti dei servizi segreti. I prota-
gonisti, interpretati da Sean Connery e Michelle
Pfeiffer, s’innamorano. Il riavvicinamento post-guer-
ra fredda è rappresentato come una “pace calda”.
Il film è pieno di luoghi comuni, ma si occupa di
un tema serio. Durante la guerra fredda e le rivoluzio-
ni del 1989, una percezione diffusa suggeriva che “le
persone” erano buone e “il regime” era cattivo. Que-
sta versione popolarizzata della visione del mondo di
Jean-Jacques Rousseau consentiva una semplicistica
separazione delle vittime dai loro persecutori. Inco-
raggiava una solidarietà con gli oppressi che trascen-
deva le frontiere e i regimi. E consentiva alla gente di
cullare la speranza che, in un momento non precisato
del futuro, una volta caduto il corrotto sistema comu-
nista, la volonté générale avrebbe prevalso. E questo,
per definizione, sarebbe stato un bene. Le ingiustizie
storiche del novecento sarebbero state corrette.
L’espansione postcomunista dell’Unione europea
non si basava solo sull’aspirazione alla crescita eco-
nomica, era anche radicata in miti come questo.
Malgrado le banalità sul trionfo del liberalismo
nel 1989, questa narrazione non offre un modo parti-
colarmente liberale di vedere le cose. Concentra l’at-
tenzione su grandi collettività come le nazioni o i
popoli, invece che sugli individui e le loro conquiste.
In occidente, la semplificazione, l’ignoranza e il sen-
timentalismo politico hanno ceduto il posto a una
crescente consapevolezza della corruzione nelle so-
cietà comuniste. Gli europei dell’est si sono trovati ad
affrontare un rifiuto invece del riconoscimento che le
società postcomuniste sono complesse come ogni
altra comunità umana.
Il declino della fascinazione occidentale e il ritor-
no all’ovile dell’“altra Europa” sono stati seguiti da
nuove proposte politiche. Intellettuali che una volta
erano felici della caduta del comunismo ora propon-
gono che l’Unione europea diventi più piccola. Sug-
geriscono, per esempio, di formare una nuova unione
di dieci o dodici paesi in grado di competere con la
Cina e gli Stati Uniti. Purtroppo, questo è il genere di
argomentazione che tende ad alimentare i program-
mi populisti e può preparare il terreno per ulteriori
divisioni, se non per la disintegrazione dell’Unione.
I miti sono quello che sono: solo il tempo può dire
se sono importanti. Non possiamo sapere se le vec-
chie leggende saranno sostituite da nuovi miti sulla
differenza tra le due Europe. Però possiamo conti-
nuare a costruire un’Unione europea basata sulla
solidarietà condivisa e una migliore conoscenza di
sé, anche se dobbiamo affrontare sfide molto diverse
da quelle di venticinque anni fa. Se i populisti del vec-
chio mondo hanno ottenuto qualcosa, è aver costret-
to tutti ad aprire un autentico dibattito paneuropeo
su questo problema. u gc
si e in Francia respinsero la proposta di una costitu-
zione europea. Nei Paesi Bassi votò contro il 61 per
cento, in Francia il 55. Nell’Europa dell’est, la con-
temporaneità di questi due avvenimenti fu accolta
più con sorpresa che con comprensione.
La divisione in un’“Europa a due velocità” non
doveva necessariamente essere un motivo di ansia.
Al contrario, alcuni sottolineavano come, ora che il
ricordo della seconda guerra mondiale stava svanen-
do e non era più un forte fattore d’integrazione, l’Eu-
ropa dell’est poteva dare nuovo impeto all’integra-
zione europea. Dopotutto, era appena uscita dal
trauma del comunismo. Oggi possiamo constatare
che le previsioni di allora hanno avuto ben poco peso
sugli avvenimenti successivi.
Il declino del mito occidentale era inevitabile. Og-
gi le critiche mosse a Bruxelles dagli zelanti euroscet-
tici risuonano con particolare chiarezza, eppure mol-
ti europei centrorientali ricordano l’ingenuità degli
anni postcomunisti con vera nostalgia. Non è il rim-
pianto della giovinezza perduta, o l’entusiasmo di
“chi ha avuto fortuna”, non è una fantasticheria né
una folle illusione. È semplicemente che i quindici
anni tra il 1989 e l’ingresso dei paesi centrorientali
nell’Unione europea furono, malgrado tutto, un pe-
riodo eccezionale per la loro cultura politica. In un
contesto di pace, senza una minaccia diretta alla vita
e alla salute, senza la paura di interventi di eserciti
stranieri, su una questione c’era un accordo pratica-
mente universale: bisognava aderire alla Nato e
all’Unione europea.
I motivi per cui il mito postcomunista dell’occi-
dente in Polonia ha perso la sua forza non sono stati
ancora analizzati adeguatamente. Gli ideatori della
terza repubblica polacca volevano che diventassimo
occidentali. Tutto qui. A parte l’europeizzazione ac-
celerata, non avevano un piano per prepararci. Il pro-
cesso sembrava piuttosto suggerire una fuga dalla
comunità nazionale. Ma vale la pena di considerare
che è esistito un ampio consenso e che, malgrado il
suo disappunto su certe questioni, la coope razione si
è dimostrata possibile. Il mito dell’occidente può es-
sersi esaurito, ma il ricordo del mito rimane ed eclissa
gli stereotipi polacchi sulla ribellione, la guerra inte-
stina e cose del genere.
I
miti postcomunisti sono in declino da en-
trambi i lati dell’ex cortina di ferro. Già da
qualche anno sentiamo dichiarazioni occi-
dentali secondo le quali i popoli dei paesi del
gruppo di Visegrád sono “diversi da noi”. Le
lezioni politiche che ne sono state tratte com-
prendono proposte per un’Europa a due velocità, idee
per creare un’eurozona chiusa, e perfino la teoria di
un’Europa “più piccola”. Ci si potrebbe quindi inter-
rogare sulla scomparsa dell’altra metà del mito post-
comunista: il mito dell’est. Non solo l’occidente, ma
anche l’Europa centrorientale è stata mitizzata. Men-
tre le menti degli europei orientali traboccavano di
riferimenti alla cultura pop che contribuivano a crea-
re il mito dell’occidente, gli europei dell’ovest e gli
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