Panorama - 30.10.2019

(coco) #1
32 Panorama | 30 ottobre 2019

l campo da cui proviene si trovava a
Raqqa, ex capitale dello Stato islami-
co in Siria. Era finito lì dopo essersi
consegnato ai curdi. E il suo nome, in
un aggiornatissimo elenco dei foreign
fighters in mano alla Procura naziona-
le antimafia, è il numero 141.
Samir Bougana, cittadinanza italiana
e marocchina, 25 anni appena, radica-
lizzatosi nella moschea di Bielefeld, in
Germania, dove si era trasferito con la
moglie turca e i suoi figli, dopo quattro
anni al fronte con il nome di batta-
glia Abu Abdullah, consapevole che
qualsiasi prigione nel nostro Paese
fosse migliore di quella in cui avrebbe
dovuto passare chissà quanto tempo
ancora, aveva finalmente annunciato
ai magistrati che avrebbe collaborato
con la giustizia e raccontato il mondo
jihadista dall’interno. E, per questo, è stato subito
fatto rientrare in Italia. Aveva detto di essersi pen-
tito della scelta di andare a combattere in Siria e
ha riempito qualche verbale. Poi, però, si è pentito
essersi pentito. E si è rimangiato tutto, supportato
dai familiari che vivono in provincia di Brescia e che
ora farfugliano strane storie condite di racconti da
spy story e di 007 che avrebbero incastrato «il povero
ragazzo». Tra gli investigatori c’è chi sospetta che i
tentacoli del Califfato siano arrivati fin nel carcere
di Brescia per dissuadere dal parlare il loro uomo.
D’altra parte, nella lista dei 141 ci sono 11 com-
battenti che risultano aver fatto rientro in Italia.
Quattro di loro sono detenuti. Di altri 18 si sa, segnala
l’Antiterrorismo, che hanno abbandonato il teatro di
guerra. Il dato inquietante che emerge dalle ultime
comunicazioni del pool antiterrorismo guidato da
Federico Cafiero de Raho è, però, un altro: «Il ripie-
gamento sul nostro territorio di combattenti partiti
da altri Paesi, tenuto conto delle modalità di fuga
dallo scenario siro-iracheno».
Maurizio Romanelli, ex vice di De Raho che da
agosto è tornato in Procura a Milano, e il sostituto
procuratore Diana De Martino, sono ancora più
espliciti: «Non è da sottovalutare l’ipotesi che al-
cuni o molti di tali soggetti decidano di giungere o
transitare per l’Italia attraverso le rotte migratorie».
E a sostenere le valutazioni degli esperti ci sono
preoccupanti segnalazioni dell’Europol - soprattutto
per la Tunisia - su foreign fighters che abbandonano i

conflitti e giungono sulle coste italiane con i barchini.
«La pericolosità del fenomeno», scrivono i magistrati
dell’Antiterrorismo, «oltre che nei numeri, risiede nel
profilo stesso dei reduci, portatori di una significativa
esperienza nella guerriglia, addestrati all’uso di armi
ed esplosivi e di solito capaci di veicolare con grande
efficacia i messaggi di propaganda».
In questo caso il campo di battaglia si sposta sul
web. Gli analisti giudicano «emblematico» l’arresto
all’Aquila del cittadino egiziano Issam Shalabi, che
con la sua utenza telefonica italiana era in un gruppo
WhatsApp di militanti islamisti e comunicava di
«essere disponibile a combattere». È stato espulso
un anno fa. Ma non è escluso che abbia rimesso
piede in Italia. E sempre sul web agiva un estremista
macedone, Agim Miftarov: sul suo profilo Facebook
non nascondeva iconografia dei gruppi terroristici
islamici. C’è invece chi sul web si addestrava come
Abdel Salem Napulsi. Dall’analisi dei dati nei suoi
dispositivi elettronici è emerso che aveva anche
svolto una frenetica attività di ricerca per il noleggio
di camion o pick up su cui montare armi da guerra.
Gli investigatori lo chiamano «jihadismo da tastiera».
E, da quanto emerge in alcune inchieste, gli ex com-
battenti sono i primi a propagandare la possibilità di
colpire con qualsiasi mezzo: «Se non hai un’arma,
hai un camion, una macchina o un coltello».

Era dichiaratamente intenzionato a passa-
re all’azione, per esempio, un cittadino somalo,
Ibrahim Omar Mohsim, noto come Anas Khalil, e
ritenuto affiliato allo Stato islamico. Lo hanno arre-
stato a Bari. Le sue attività di propaganda contro il
Vaticano e la sua rete di contatti sono finiti in una
cartellina che i magistrati del pool antiterrorismo
stanno studiando. «Un ulteriore problema è che
assieme ai combattenti», segnalano dalla squadra di
de Raho, «rientrano donne e bambini con un vissu-
to estremamente traumatico e violento e permeati
dall’ideologia jihadista».
«In Siria» fa eco Francesco Marone dell’Istituto
per gli studi di politica internazionale «queste per-
sone sono state finora sotto la custodia delle forze
a maggioranza curda, in prigioni oppure in campi
profughi». Come ad Ain Issa, un tempo roccaforte
dell’Isis poi conquistata appunto dai curdi. Qualche
giorno fa il campo è stato ripreso da mercenari jiha-
disti che hanno liberato i combattenti del Califfato
e dato alle fiamme la struttura.
Dopo l’intervento turco in molti hanno lasciato

I


di Fabio Amendolara

141
I foreign fighters
censiti
dall’Antiterrorismo
di cui 11 hanno
fatto ritorno
in Italia e quattro
Getty Images sono in carcere.
Free download pdf