Panorama - 30.10.2019

(coco) #1

98 Panorama | 30 ottobre 2019


IL GRILLO PARLANTE


Ma lo chef Rubio, di grazia, quand’è che fa lo
chef? L’ha mai fatto? Lo sa fare? Perché non
dimostra le sue doti dietro i fornelli, ammesso
che ne sia capace? Perché, invece, continua a mettere
in forno soltanto dichiarazioni violente? Perché non fa altro
che friggere polemiche politiche e rosolare gli zebedei altrui,
con polemiche oggettivamente inaccettabili? Il personaggio è
incredibile: si chiama, in realtà, Gabriele Rubini e nella sua vita
non ha mai aperto un ristorante, né una trattoria, neppure un’o-
steria. Niente di niente. Mai provato cosa vuol dire preparare
una pastasciutta al sugo da servire ai clienti. Però è bravissimo a
servire la polemica del giorno: appena
vede uno spazio, ci si butta e attacca.
Contro Salvini, contro la Lega, contro
i poliziotti uccisi a Trieste, contro Isra-
ele, contro Selvaggia Lucarelli, contro
chiunque possa dargli, a contrasto, un
minimo di visibilità. Lui è fatto così: un
vero e proprio cuoco d’artificio.


Insopportabile, come tutti i cuo-
chi d’artificio. Che sono sempre di
più. E sempre più urticanti. Ma sì, di-
ciamolo: non se ne può più di questi
spadellatori mediatici che si ergono a
nuovi maître à penser, guru del pensie-
ro, filosofi della politica, sociologi, psicologi, ideologi, moralisti,
soloni, intellettuali, punti di riferimento dell’etica e della società.
Ormai incapaci di stare in cucina perché sono troppo abituati
a stare in cattedra: si sentono in dovere di darci lezioni su ogni
cosa, in virtù del fatto che nella loro vita sono riusciti a impiat-
tare due uova come si deve o un risotto particolare. Ammesso
che l’abbiano fatto davvero e non siano passati direttamente,
come nel caso di Chef Rubio, dal campo di rugby alla popolarità
mediatica. Senza mai fare davvero la prova del cuoco.


Lo diciamo con l’amaro in bocca, nonostante la gran
quantità di leccornie che passano sotto i nostri occhi nei vari
programmi tv, colpevoli fra l’altro proprio di aver creato questi
mostri sacri del pensiero culinario. Anzi, forse lo diciamo con
l’amaro in bocca proprio per quello: non se ne può più dei fi-
losofia del pentolone, dell’ermeneutica alla cipolla di Tropea,


soffritto presocratico con spruzzata di Heidegger al mirtillo rosa.
Non se ne può più di cuochi che si sentono intellettuali, che si
comportano da intellettuali, che vengono considerati intellet-
tuali. Che usano la popolarità regalata loro dai programmi tv
per ergersi a guide politiche e spirituali. E spargono sentenze
in ogni dove, anziché spargere, come dovrebbero, soltanto il
cacio sui maccheroni.

Non se ne può più di quelli del bollito/non bollito come
filosofia di vita. Non se ne può più del Vate del raviolo. Non se
ne può più della cucina che si trasforma in «filosofia concet-
tuale». Non se ne può più dell’estetica dei fornelli, del «dovere
dell’etica che obbliga noi chef a trasmettere valori». Non se
ne può più degli chef che salgono in cattedra ad Harvard,
che vengono indicati come «più importanti ideologi italiani»
(Massimo Bottura, copyright Vittorio
Sgarbi), che si sentono parte «di un
gruppo di scienziati che guardano al
cibo da un nuovo punto di vista» (He-
ston Blumenthal). Non se ne può più
degli gnocchi molecolari, dell’azoto
liquido in tavola, del menù Autoritrat-
to che trasforma in un’opera d’arte
il pomodoro essiccato con rugiada
di aceto di riso (Quique Dacosta).
Non se ne può più di questi «percorsi
sensoriali» che dicono di volerti far
provare emozioni, salvo poi scoprire
che l’emozione principale è quando
arriva il conto.

«Dio fece il cibo, il diavolo i cuochi», disse James Joyce.
Eppure non aveva ancora conosciuto la sferificazione delle
fragole e la frantumazione dei marroni, due pratiche su cui
i nuovi guru si sono invece assai esercitati negli ultimi tem-
pi, prima trasformando la loro esperienza ai fornelli in una
missione magico-esoterica e poi esondando in tutti i campi
della vita con la prosopopea di chi pensa di avere in mano
sempre la ricetta giusta. Ma non è così. La vita è diversa
dalla tempura di verdure miste e dal gambero viola in zuppa
di grano saraceno. Magari questi cuochi d’artificio hanno
davvero la ricetta giusta per estasiare il nostro palato: ma
allora lo dimostrino dedicando un po’ di più di tempo al loro
ristorante e un po’ di meno ai social e alla Tv. Ci guadagne-
remmo tutti. A cominciare dal nostro stomaco I
© RIPRODUZIONE RISERVATA

di Mario
Giordano

ABBASSO


I CUOCHI


D’ARTIFICIO!
Chef Rubio e compagni...
È ormai insopportabile
l’esaltazione della cucina
come filosofia ed etica. E no,
dentro una «tempura»
non c’è lo spirito del tempo.
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