la Repubblica - 09.11.2019

(Brent) #1

I dubbi sui Mittal-bond della Lega


E tra Salvini e Di Maio ora è rissa


La legge vieta ai


partiti di detenere


titoli di società private


Scambio di accuse tra i


leader, che minacciano


di arrivare in tribunale


di Filippo Ceccarelli

kLa tangente Enimont
Il tesoriere leghista Alessandro
Patelli prese 200 milioni di lire
dal gruppo Gardini- Ferruzzi

di Giuliano Foschini

Se ci fosse stato bisogno di una di-
mostrazione, eccola: tra la Lega e
i 5 Stelle è finita malissimo. In tri-
bunale, precisamente. E l’ogget-
to dello scandalo è stata la crisi
dell’Ilva di Taranto, o meglio l’in-
vestimento che la Lega di Matteo
Salvini aveva fatto sui bond di Ar-
celormittal, la multinazionale
dell’acciaio con la quale oggi il go-
verno è in guerra perché vuole la-
sciare l’Ilva.
Giovedì il sottosegretario allo
Sviluppo economico, Stefano
Buffagni - seguito a ruota da mol-
ti deputati 5 Stelle - aveva attacca-
to: «La Lega ha investito 300mila
euro in bond di ArcelorMittal.
Spero che arrivati a questo punto
pensino ai lavoratori e non ai sol-
di che hanno investito». Ieri mat-
tina Salvini ha risposto: «Querelo
chi dice che abbiamo bond» se-
guito a ruota dall’ex ministro e te-
soriere della Lega, Giulio Cente-
mero: «I bond Arcelor sono stati
venduti a gennaio del 2015». A di-
stanza di poche ore il Movimento
ha però rilanciato. Prima con il ca-
pogruppo alla Camera, Leonar-
do Donno: «Bene le querele: final-
mente Salvini verrà in tribunale a
spiegare cose oscure» e poi diret-
tamente con il ministro degli
Esteri, Luigi Di Maio: «Come era
quella storia? Sovranità e poi i le-
ghisti vanno a comprare i titoli
delle multinazionali che minac-
ciano lo Stato di voler mettere in
mezzo ad una strada migliaia di
lavoratori?».
Repubblica è in grado di mette-

re in ordine le cose. La Lega - co-
me hanno documentato Giovan-
ni Tizian e Stefano Vergine sull’E-
spresso e nel Libro nero della Le-
ga- nel 2013, quando Salvini di-
venta segretario, ha nel portafo-
glio 300mila euro di bond di Ar-
celor Mittal. Gli investimenti tota-
li sono per 1,2 milioni (ci sono an-
che poste su Mediobanca e sugli
spagnoli di Gas Natural) e lì ri-
mangono per almeno due anni.

Eppure, non potrebbero: una leg-
ge sul finanziamento dei partiti
del 2012 vieta infatti di scommet-
tere in borsa se non su titoli di sta-
to italiani o dei paesi europei. Per-
ché, quindi, la Lega tiene in pan-
cia il bond di Arcelor almeno fino
al 2015, quando Centemero lo di-
smette? Tra l’altro la dismissione
avviene nel periodo peggiore per
le casse della Lega, nonostante i
bilanci del Carroccio raccontino

di maggiori entrate (tra cui ap-
punto la dismissione dei titoli,
probabilmente, anche se non vie-
ne indicato esplicitamente) e mi-
nori spese. Tizian e Vergine con-
tano che il patrimonio netto le-
ghista alla fine del 2014 valeva
13,1 milioni e un anno dopo, assai
a sorpresa stando ai numeri, si di-
mezza: la Lega in un anno perde
cinquecentomila euro al mese.
Tornando al tema Arcelor, Re -
pubblica ha ricostruito anche i
rapporti tra il partito e l’azienda.
Sin dal principio i dirigenti della
multinazionale dell’acciaio han-
no trovato, infatti, in Salvini e nei
suoi uomini anche di governo la
sponda migliore per cercare di
fermare le spinte anti azienda
dei 5 Stelle. È la Lega a firmare un
ordine del giorno per evitare che
già un anno fa fosse tolto, come
effettivamente non accadde, lo
scudo penale. La vicenda più stra-
na accadde però a giugno, quan-
do nel governo giallo-verde spun-
tò – per paura che la Corte Costi-
tuzionale cassasse la norma - l’i-
potesi della cancellazione dello
scudo penale. Gli uffici legislativi
del Mise e gli uomini di Arcelor
avevano trovato una sorta di ac-
cordo. Ma poi improvvisamente
da Londra arrivò la bomba: «Se
salta la norma noi andiamo via».
«Chi e che partita si sta giocan-
do?» chiese Di Maio, allora mini-
stro allo Sviluppo economico ai
suoi. Che gli rivelarono un parti-
colare: pochi giorni prima l’ex
sottosegretario leghista Edoardo
Rixi aveva avuto un lungo incon-
tro con gli uomini di Arcelor.

La storia


I soldi spericolati


dal “pirla” Patelli


ai 49 milioni


di Bossi & C.


kLa laurea albanese
Per la laurea di Renzo Bossi
all’Università Kristal di Tirana
la Lega spese 77mila euro

kI 49 milioni di euro
L’ex tesoriere Francesco Belsito
al centro del caso dei 49 milioni
di euro di rimborsi elettorali

Si vorrebbe essere precisi, al limite
anche pedanti, ma la storia della
Lega, ormai il più vecchio partito
politico in Italia, è buffa e al tempo
stesso desolante nelle sue
vertiginose e anche spudorate
trasformazioni.
E però. Se mai esiste una linea di
continuità che tenga insieme la
stagione degli esordi lumbàrd,
quella fantasy della Padania e,
senza dimenticare i vari impicci e
sbandamenti, l’odierno sovranismo
del Capitano, beh, la lieta novella
dell’investimento di 300 mila euri
proprio alla società che vuole
tagliare la corda da Taranto risuona
come la conferma che tra i soldi e
quel mondo non c’è proprio
speranza, che sarebbe un modo
rassegnato per dire che al peggio
non c’è mai fine.
All’inizio, 1993, fu uno steccone di
200 milioni di lire graziosamente
elargito dal gruppo
Gardini-Ferruzzi. Venne fuori in
piene Mani pulite. Dapprima Bossi
lo giustificò con una storia di buste
transitate in cassetti e smarrite, poi
s’inventò un “trappolone” dei
servizi segreti, quindi un capro
espiatorio, nella persona del
baffuto ex idraulico Patelli che con
occhi da cane bastonato affidò agli
annali della cronaca la seguente
sentenza: «Sono stato un pirla».
A ripensarci oggi, tutto sommato fu
almeno un segno di rispetto. Il
primo e l’ultimo, però. Perché
queste faccende si dimenticano in
fretta e così, già alla metà degli anni
90 a via Bellerio partirono con razzi

e astronavi per il trip
indipendentista. Oltre che
abbastanza assurdo, questo era
megalomane e quindi costosissimo.
Siccome la Padania era, o meglio
doveva sembrare una nazione a sé
stante, si trattava semplicemente di
duplicare tutto ciò che già esisteva,
dalle previsioni del tempo ai
francobolli, dai riti nuziali alle
associazioni cinofile.
Tutto questo non era gratis. Ma poi,
a capriccio del Grande Capo, si
aggiunsero un quotidiano, un
settimanale, una radio, una tv, una
casa discografica, una sede del
Parlamento (in affitto e presto
morosa), una del governo Sole (un
palazzetto acquistato a Venezia),
un certo numero di gazebi. E poi le
camicie verdi, i matrimoni celtici, le
Miss Padane, gli orsetti padani, la
scuola Bosina della signora

Manuela (Bossi), l’acquisto del sacro
pratone di Pontida, la coreografia
dell’ampolla con elicotteri e
catamarani, il Nerone Express e
altre stravaganze compresi i
piccioni rituali durante il rito di
sversamento dell’acqua santa del
Po nella laguna.
Mentre alcuni geniacci leghisti si
lanciavano nel Bingo, in un empito
di euforia imprenditoriale fu dato
l’avvio ai supermarket Made in
Padania, un disastro, e poi alla
costruzione in Slovenia di un
enorme villagio turistico, lo Skipper
Resort, o “il Paradiso di Bossi”, che
non cominciò nemmeno, ma i soldi
persi furono tanti. E a questo punto
la vera catastrofe, la banca padana
Eurocredinord, perché con le
banche non si scherza, come
ebbero modo di rendersi conto
Calderoli e Giorgetti.

Quando la Lega tornò al governo
con Berlusconi, quest’ultimo, che
due conti se li è sempre saputi fare,
non sapeva dove mettersi le mani
nei pochi capelli faticosamente
ricresciutigli. Ma il peggio, come si
diceva, era solo in attesa. Gli diede il
benvenuto un tipo facondo e
rotondetto che si chiamava Belsito,
per sua stessa definizione «il
tesoriere più pazzo del mondo».
Dopo il coccolone, Bossi era out.
Assistito da personaggi a loro modo
fantastici, “l’Ammiraglio” e “lo
Shampato”, Belsito investì da par
suo: movimenti valutari a Cipro,
diamanti in Tanzania. Nel
frattempo aprì una cartellina che
riguardava Bossi e i suoi cari e
l’intitolò “The family”. Dentro
c’erano spesucce di ogni genere, dai
dentisti alle lauree albanesi del
Trota, un altro che sin dalla più
tenera età non fu mai frugale
(nemmeno il fratello Riccardone, se
è per questo).
Allora arrivò Maroni, il barbaro
sognante, il purificatore, e tutti
quanti a sollevare le ramazze, segno
che bisognava far pulizia. Tempo
un paio d’anni, e venne fuori che i
leghisti di “Prima il Nord” avevano
inguattato 49 milioni di
finanziamento pubblico. Tempo un
altro paio d’anni, e rivenne fuori
che i leghisti di “prima gli italiani”
avevano sì buscato dal palazzinaro
Parnasi per lo stadio della Roma,
ma oltre a investire su
Arcelor-Taranto erano anche
andati a bussare a quattrini a
Mosca.

Primo piano La questione industriale


Stefano Cavicchi/LaPresse

I personaggi


kA Firenze
Matteo Salvini, 46 anni, ieri nel capoluogo toscano ©RIPRODUZIONE RISERVATA

pagina. 6 Sabato,9 novembre 2019

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