La Stampa - 01.11.2019

(Barry) #1
FEDERICO CAPURSO
ROMA

C


on chi gli è vicino,
Luigi Di Maio parla
al passato delle futu-
re elezioni in Emilia
Romagna e in Calabria, come
se nulla potesse cambiare ri-
spetto a quel suo «no» a un’al-
leanza strutturale con il Pd. O
almeno, «così sarà fino a
quando Conte non deciderà
di esporsi davvero», è il ragio-
namento del leader M5S,
stanco di incassare colpi da
tutti i lati. Se però il premier
fosse in prima linea in campa-
gna elettorale, trascinando
dietro di sé gli altri leader di
governo, da vero cardine di
questa maggioranza, «allora
si potrà tornare a ragionare
di patti civici». Ed è un pensie-
ro, questo, che il capo politico
del Movimento non sembra
intenzionato a smussare.
Nemmeno di fronte alle pres-
sioni del suo gruppo parla-
mentare che si agita contro di
lui, tra chi come il deputato
Giorgio Trizzino si dice pron-
to a raccogliere le firme per
chiedere un congresso e dilui-
re i poteri del capo, e chi inve-
ce è in procinto di lasciare il
gruppo, come i senatori Ugo
Grassi e Elena Fattori.
Di Maio non crede all’im-
provvisa necessità avvertita
dal segretario Pd, Nicola Zin-
garetti, e dal suo capo delega-
zione, Dario Franceschini, di
costruire con i Cinque stelle
un progetto politico in cui ci
sia spazio per la crescita di en-
trambi. È convinto, al contra-
rio, che la reale volontà dei di-
rigenti dem sia quella di «tra-
sformare il Movimento in un
partito del 2 per cento» e di re-
legarlo in un angolo della coa-
lizione di governo. «Non pos-
siamo lasciare che ci facciano
diventare quello che fu il Nuo-
vo centrodestra di Alfano per
i governi di Renzi prima e di
Gentiloni poi», è lo spaurac-
chio intorno al quale ragiona-
no ai piani alti del partito. Ec-
co perché, sventolando i risul-
tati del disastro umbro, Di Ma-
io ha imposto il suo «no» a fu-
ture alleanze con il Pd in Emi-
lia Romagna e Calabria. Una
decisione presa dopo aver
consultato Beppe Grillo e
aver ricevuto il placet del fon-
datore. Ma con la convinzio-
ne – questa tutta personale -
di poter «riposizionare politi-
camente il M5s», lontano sia
dalla Lega che dal Pd.
Il rischio che Di Maio possa
minare il progetto di un’al-
leanza di più ampio respiro
con i dem è percepita chiara-
mente dal gruppo parlamen-
tare. Il presidente della Came-
ra, Roberto Fico, da tempo
uno dei principali terminali
del pensiero di Grillo, mette
in chiaro che «le questioni na-
zionali sono diverse da quelle
territoriali», e dunque si può
anche evitare di correre insie-
me alle prossime regionali,
ma «resta la necessità di conti-
nuare l’esperienza di governo
con il Pd». E il deputato Luigi
Gallo è ancora più netto: «È ir-

responsabile azzerare la stra-
da indicata da Grillo, che è
quella di continuare il dialo-
go con il centrosinistra».
Le spinte all’interno del Mo-
vimento, in aperto contrasto
con Di Maio, sono sempre più
forti. E anche sulla Calabria
c’è chi chiede con forza di ri-
provarci con il Pd convergen-
do – come in Umbria – su un ci-
vico, l’imprenditore Pippo
Callipo, ex presidente della
Confindustria calabrese. «Ma
Di Maio - si lamenta un parla-
mentare calabrese - ha prima
deciso che non ci saremmo al-
leati con il Pd, e poi il giorno
dopo ci ha chiesto che ne pen-
savamo». —
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RETROSCENA


ANSA


TACCUINO


La metamorfosi


grillina


e i malumori


della base


MARCELLO SORGI


Dopo il tracollo in Umbria la leadership di Di Maio è in discussione

I timori del capo grillino dopo le elezioni in Umbria. La fronda si allarga: altri due senatori pronti a lasciare il Movimento

Di Maio: “Il Pd vuole portarci al 2%”


POLITICA


U


no strano para-
dosso accompa-
gna le contorsio-
ni interne del Mo-
vimento 5 stelle, dopo la
sconfitta in Umbria che ha
ridato voce ai dissidenti in-
terni e mentre Di Maio con-
duce sulla legge di stabilità
la sua battaglia solitaria,
contro il Pd, contro Renzi e
ovviamente contro Conte,
il cui governo procede in
uno stato di cronica soffe-
renza, ma senza rischi reali
di crisi, per timore di elezio-
ni anticipate che i grillini
pagherebbero molto care.
I dissidenti, che tra l’al-
tro tengono bloccata da
settimane l’elezione del
nuovo capogruppo alla Ca-
mera, chiedono da tempo
la testa di Di Maio, che
nell’ultimo anno e mezzo,
dopo la lunga serie di scon-
fitte collezionate in tutte le
competizioni elettorali,
dalle regionali alle Euro-
pee, tenute fin qui, e l’inca-
pacità dimostrata finirà di
costruire una strategia al-
ternativa per fermare il de-
clino. E per ottenere un
cambio di leadership, invo-
cano anche un nuovo statu-
to interno del M5S, in prati-
ca la trasformazione in un
partito che possa eleggere
al congresso il nuovo lea-
der, magari alla fine di una
competizione tra diversi
candidati, e non vederselo
imporre dall’alto, dal duo
Grillo-Casaleggio, per poi
poterlo ratificare solo con
il voto della piattaforma
Rousseau.
Ora, è tutto da vedere
che questa possa davvero
essere la strada per affron-
tare la crisi del Movimen-
to, passato dal 32 per cen-
to delle politiche del 2018
al 7 del voto in Umbria.
Perché gli elettori grillini
che lo hanno abbandona-
to lo hanno fatto, con mol-
te probabilità, perché ai lo-
ro occhi l’esperienza al go-
verno lo ha portato a un’ec-
cessiva omologazione al
resto del sistema politico,
e all’abbandono, o al tradi-
mento, in nome dei neces-
sari compromessi connes-
si alla responsabilità di gui-
dare il Paese, di molte del-
le battaglie storiche delle
origini e dei tempi del «vaf-
fa». Questi elettori pigri o
disamorati, che si sono al-
lontanati dalle urne per le
delusioni degli ultimi me-
si, reclamano meno e non
più omologazione ai parti-
ti tradizionali, e si augura-
no che la medicina per la
malattia pentastellata arri-
vi ancora una volta dall’al-
to, com’è sempre accadu-
to. E sia Grillo, dopo i suoi
espliciti dissensi con Di
Maio, se lo ritiene necessa-
rio a tirar fuori un coniglio
dal suo cilindro. —
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