Cultura
provocazioni
Salviamo
la Gioconda
Per i visitatori vedere tra la folla il capolavoro di Leonardo al Louvre
resta un’esperienza frustrante. E se si esponesse anche una sua copia?
di Francesco Bonami
uando andai a Mo-
sca per la prima vol-
ta, la cosa che m’in-
teressava di più era
visitare il mauso-
leo di Lenin nella
Piazza Rossa. Pen-
savo fosse compli-
cato, che avrei trovato la fila e avrei
dovuto aspettare parecchio. In real-
tà non c’era nessuno. A parte un po’
di controlli di sicurezza, la visita si ri-
velò indolore e velocissima. Mi sor-
prese la rapidità con cui fui obbliga-
to a procedere nella sala dove il cor-
po imbalsamato di Lenin era espo-
sto e la distanza che c’era dalla sal-
ma. Militari armati di mitra indicava-
no minacciosamente di non fermar-
si neanche un attimo. La visita non
doveva assecondare la curiosità
morbosa. Mi è tornato in mente il
corpo di Lenin pensando alla Gio-
conda e ai problemi sempre più seri
che il Louvre sta affrontando a cau-
sa dell’eccessivo successo del qua-
dro: 30 mila visitatori al giorno.
Può un’opera d’arte diventare un
cadavere? Direi proprio di sì. C’è
una soglia oltre la quale il successo
si trasforma in morte. Che la Monna
Lisa passi di moda, come è accaduto
a Lenin, forse è difficile. Sicuramen-
te, se continuerà a crescere la diffi-
coltà di vederla e di goderne, con la
conseguente frustrazione dello spet-
tatore, è possibile che, prima o poi,
la gente perda il desiderio di affron-
tare l’odissea necessaria per trovar-
si davanti all’opera d’arte più famo-
sa del mondo. Ma anche il museo
stesso rischia di diventare vittima
del successo del suo capolavoro. Il
Louvre è chiaramente Gioconda di-
pendente. Se per qualche imprevi-
sto gli dovesse venire a mancare, il
museo entrerebbe in crisi di astinen-
za e le sue finanze collasserebbero.
Sarebbe un disastro. Questo pone
grossi interrogativi sulla salute cul-
turale del museo stesso, che, di fat-
to, ha permesso la marginalizzazio-
ne del resto della sua collezione,
consentendo che la Monna Lisa di-
ventasse un mostro come Alien, cre-
sciuto dentro il proprio stesso orga-
nismo. Non credo che il processo sia
irreversibile, anche se le contromos-
se da prendere rischierebbero di es-
sere dolorose da un punto di vista
economico e anche impopolari. Qua-
li potrebbero essere? Non certo chia-
mare in causa l’esercito come al
mausoleo di Lenin. Sicuramente dra-
stico sarebbe proibire foto e selfie.
Soluzione, questa, che, in un primo
momento, potrebbe provocare una
sommossa da parte di molti visitato-
ri. Ma, con il tempo, questa draconia-
na misura si trasformerebbe in una
cura di disintossicazione, aiutando
lo spettatore a riscoprire il gusto e
l’immenso piacere di guardare solo
con i propri occhi un’opera d’arte.
Nel museo di Berlino dove è esposta
la famosa testa egiziana di Nefertiti,
le foto sono proibite e l’atmosfera è
serena, la visita intensa e profonda.
Un altro sistema per diradare la
folla è quello di legare la visita della
Gioconda a un orario preciso come
accade con l’Ultima cena a Milano. E
di imporre, magari, un prezzo del bi-
glietto più punitivo. L’arte dovrebbe
essere certo alla portata di tutti, ma
quando “tutti” diventano “troppi”
bisogna pure correre ai ripari. C’è
chi propone di costruire un padiglio-
ne dedicato solo alla Gioconda, in
modo da gestire le folle autonoma-
mente dal resto del museo. Ma que-
sto potrebbe mostrare troppo radi-
calmente quanto poco interesse ci
sia ormai per un’arte che non abbia
lo status di una rockstar. Il Louvre si
ritroverebbe svuotato dell’80 per
cento dei visitatori. In ogni caso,
qualcosa toccherà inventarsi. Sicu-
ramente per offrire a tutti un’espe-
rienza migliore, ma anche per dare
respiro al dipinto stesso, diventato
un fenomeno da circo. Un tempo ci
fu chi propose di costruire una finta
Venezia a Porto Marghera dove spe-
dire branchi di turisti meno sofisti-
cati. Un’idea molto divertente che
potrebbe essere applicata anche al-
la Monna Lisa, ma anche cultural-
mente razzista. Chi siamo noi per
stabilire chi merita un’esperienza
autentica e chi un’esperienza taroc-
ca? Si potrebbe fare come sui menù
dei ristoranti che mettono l’asteri-
sco accanto ai cibi surgelati. Lo spet-
tatore sarebbe costretto a scegliere
se pagare il prezzo del biglietto e
mettersi in fila per quella vera o
spendere meno e andare a guardare
più rapidamente una copia.
Ma il fascino del dipinto sta nella
sua originalità, non nel suo abba-
stanza insipido soggetto. Anche se
qualche storico dell’arte buontem-
pone ha suggerito che quella al Lou-
vre sia già una copia e che l’origina-
le sarebbe scomparso per sempre
nel 1911, quando fu rubato. Tesi mol-
to improbabile che non vogliamo re-
suscitare in questo momento.
L’arte non è adatta allo star sy-
stem o al culto di massa. Se obbliga-
re Jovanotti a tenere un concerto in
un teatrino per musica da camera sa-
rebbe un controsenso, ha altrettan-
to poco senso obbligare un dipinto
di pochi centimetri quadrati ad esse-
re mostrato davanti a una folla da
stadio tutti i giorni. La Monna Lisa è
protetta da qualsiasi pericolo fisico,
ma questo non è sufficiente. Va pro-
tetta anche la dignità di un capolavo-
ro. Se ci siamo abituati alla canniba-
lizzazione, anche giusta, che il mer-
chandising fa delle immagini di alcu-
ne opere famose, non dovremmo as-
suefarci al fatto di veder trasforma-
re i capolavori dell’arte in mummie
vittime di un’attenzione morbosa.
Sarebbe come pretendere che Jova-
notti acconsentisse dopo ogni con-
certo ad essere baciato da 30 mila
persone, una dopo l’altra, anche so-
lo per una frazione di secondo. Sa-
rebbe umiliante oltre che poco igie-
nico e pericoloso. Il successo, a diffe-
renza del potere, logora chiaramen-
te proprio chi ce l’ha e come il Lou-
vre non riesce e non può farne più a
meno.
Q
ELLIOTT VERDIER/THE NEW YORK TIMES
kCome una rockstar
La folla dei visitatori nella sala del
Louvre che ospita la Monna Lisa
. Martedì,^12 novembre^2019 pagina^29