La recensione
Ricucire i fili strappati
tra due generazioni
Tutta la settimana
Musica, poesia
e provincia
Su Robinson
c’è Paolo Conte
di Simonetta Fiori
S
uccede a un certo punto del
cammino: non ci si volta più
indietro, si smette di scrutare i
giganti con cui ci si è confrontati
per una vita, per guardare solo in
avanti, verso chi un posto nella
storia fatica a trovarselo. Che
mondo lasciamo ai nostri figli, ai
tanti soldati di una guerra invisibile
condannati a eterna precarietà? Un
mondo alla fine del mondo? Non è
un bell’affare. Il merito del nuovo
libro di Concita De Gregorio, I n
tempo di guerra, è proprio questo:
dare voce a una leva dimenticata, i
trentenni del nuovo secolo, i nati
nell’Italia ubriaca degli Ottanta che
oggi sono espulsi dal lavoro, da una
vita affettiva stabile, da un
radicamento territoriale, talvolta
perfino dalla verità sentimentale
della propria lingua. È insieme a
loro che bisogna guardare il film
girato dalle generazioni
precedenti. Lo spettacolo può
risultare sconfortante, ma forse
siamo ancora in tempo per
riscriverne il finale. Marco Senese,
il protagonista del libro, è la sintesi
dei tanti trentenni che ogni giorno
scrivono a Concita nella sua
rubrica. Per raccontarle la loro
guerra quotidiana, quella che ci
ostiniamo a non vedere, la lotta per
ottenere un posto nella storia
famigliare: in quell’album dove i
predecessori un posto bene o male
sono riusciti a conquistarselo. E la
lettera, la forma epistolare, è la
struttura narrativa che sorregge il
racconto, un incrocio di mail tra i
vari personaggi che rappresentano
le generazioni dell’ultimo mezzo
secolo. Un nonno funzionario del
Pci, l’altro nonno professore,
accomunati entrambi nella fede
nel progresso. I genitori
sessantottini - i veri dissipatori
dell’eredità - passati dall’ortodossia
della rivoluzione a quella dei
testimoni di Geova. E poi i figli, a cui
sono state sottratte le chiavi per
aprire il mondo. Al centro di questo
scambio c’è l’autrice, che non ha
formule certe da somministrare ma
una personalissima costellazione
di luci capaci di rendere meno
oscuro il cammino. Il gioco del
mondo di Cortázar e il talento
invisibile di Carol Rama. La
profezia di Alex Langer e
l’imprevedibilità di Osvaldo
Lamborghini, il poeta argentino
che di sé diceva: «Non sono un
grande lettore ma un magnifico
sottolineatore» (epitaffio che
merita il giallo dell’evidenziatore!).
E ancora Roberto Bolaño e il
trentesimo anno di Ingeborg
Bachmann. A mettere insieme
materiali e stili diversi provvede la
scrittura di Concita De Gregorio
che ti prende per mano e ti
conduce fino alla fine della storia
senza mai farti perdere il filo della
speranza.
È
Paolo Conte il protagonista del
numero di Robinson, in edicola
per tutta la settimana a 50 centesi-
mi, che in una lunga e appassionan-
te intervista si confessa a Dario Olive-
ro. E parla di musica, certamente,
ma anche di provincia, di tribunali e
di poesia.
L’altra bella intervista che trovere-
te sulle pagine del nostro supple-
mento culturale è quella a Woody Al-
len in occasione dei quarant’anni
del film che lo ha fatto conoscere al
mondo: Manhattan, dichiarazione
d’amore alla sua città che oggi il regi-
sta, a 83 anni, torna a raccontare
con Un giorno di pioggia a New York,
nelle sale in Italia dal 28 novembre.
Mentre nelle pagine dell’arte Fran-
cesca Cappelletti ha visto per noi la
grande retrospettiva dedicata a Wil-
liam Blake, alla Tate Britain di Lon-
dra: visionario, epico, unico, in tre-
cento opere ripercorriamo il suo
mondo incantato. Di mostra in mo-
stra, in occasione dei trent’anni dal-
la morte di Samuel Beckett, il 22 di-
cembre del 1989, alla Galerie Galli-
mard di Parigi sono esposti tutti i ri-
tratti del grande autore irlandese
realizzati negli anni da Tullio Perico-
li: ce li racconta Francesco Bonami.
Naturalmente non mancheranno
le recensioni dei libri in uscita e le
classifiche dei più letti della settima-
na. Scrivono per noi, tra gli altri, su
questo numero Natalia Aspesi, Gian-
carlo De Cataldo e Stefano Massini,
che recensisce l’ultimo romanzo del-
lo scrittore indiano Amitav Gosh
che per primo parlò della nostra
“grande cecità”. Infine, lo Strapar-
lando è con il fotografo Lorenzo Ca-
pellini, in mostra in questi giorni a
Roma con i suoi scatti dedicati alla
caduta del Muro di Berlino.
ILLUSTRAZIONE DI AGOSTINO IACURCI
. Martedì,^12 novembre^2019 Cultura pagina^31