la Repubblica - 28.10.2019

(Ben Green) #1

Il terrorismo vivrà


in rete e nelle tante


enclave salafite


del pianeta. Il pericolo


saranno i lupi solitari


pronti a colpire anche


senza ordini


ROMA — «Al Baghdadi era un’icona,
un ologramma, un personaggio più
virtuale che reale ma la sua fine san-
cisce la morte dello Stato islamico.
Adesso si può finalmente pensare
alla ricostruzione di quella parte
del Vicino Oriente», sostiene l’isla-
mologo Gilles Kepel, direttore della
cattedra Moyen-Orient Méditerran-
ée all’École Normale Supérieure di
Parigi, in Italia per presentare il suo
ultimo saggio Uscire dal caos (Raf-
faello Cortina). «Come Osama Bin
Laden, anche lui è stato individuato
grazie ai servizi segreti locali, tur-
chi stavolta, che hanno scelto il mo-
mento più opportuno per offrirlo
agli americani».
Lo scorso marzo, a Baghuz l’Isis
ha perso la sua ultima roccaforte.
Quanto era ancora importante Al
Baghdadi per l’organizzazione?
«Con la sua autorità incarnava una
promessa di salvazione. Chi s’era
rifugiato a Baghuz non aveva
nessuna speranza di vincere
militarmente, ma grazie ad Al
Baghdadi credeva che prima o poi
Allah l’avrebbe salvato. Lo stesso vale
per le migliaia di suoi uomini
sconfitti che hanno trovato rifugio
nei villaggi sunniti in Siria e in Iraq,
così come per i molti jihadisti che
affollano le prigioni francesi. La
morte dell’autoproclamato califfo è
anche la fine dell’organizzazione
carismatica che capeggiava. Si apre
adesso l’era del dopo-Isis e, per noi, la
grande sfida consiste nel capire
come si prefigura il futuro della
jihad».
Era ricercato da più di cinque
anni. Perché l’esercito più potente
del mondo ha impiegato tanto
tempo per trovarlo?
«Al Baghdadi era nella regione di
Idlib, l’unica ancora nelle mani della
rivolta siriana, il che significa che i
servizi segreti turchi non potevano
non conoscere il suo nascondiglio.
Tutto fa pensare che la sua morte sia
stata orchestrata ad hoc. Dopo lo
scandalo suscitato per aver
sguinzagliato soldataglie jihadiste
contro i curdi, Ankara s’è voluta
rifare una verginità geopolitica
offrendo la testa di Al Baghdadi a
Trump. Il quale può oggi vantarsi di
una grande vittoria antiterrorista
cercando di far dimenticare che
militarmente gli Stati Uniti si sono
quasi del tutto ritirati dalla regione,

lasciando soltanto pochi soldati
vicino ai pozzi petroliferi nel
nord-est della Siria».
Ci saranno attentati per
vendicarlo?
«Il rischio esiste, tanto più che oggi
per compiere un attentato non è più
necessario un ordine proveniente
dall’alto. In Europa non ci sono più
attacchi coordinati dagli uomini
dello Stato islamico, bensì da parte di
individui che vivono in quartieri
salafiti, che ascoltano nella loro
moschea prediche contro i valori
occidentali, che trascorrono molto
tempo su internet. Per le forze di
sicurezza questi lupi solitari possono
diventare un nemico ben più difficile
da combattere che
un’organizzazione più strutturata.
Dopo la scomparsa di Al Baghdadi il
terrorismo sopravviverà in rete e
nella miriadi di enclave salafite del
pianeta».
Il fatto che si nascondesse a Idlib
può diventare un’ulteriore

giustificazione della pesante
offensiva militare del regime di
Damasco contro quella regione?
«Le truppe del presidente Bashar al
Assad potranno riconquistare Idlib
solo con l’assenso di Putin. Per via
delle esitazioni americane e della
totale assenza dell’Europa, solo la
Russia è in grado di decidere del
destino della Siria».
Può la morte di Al Baghdadi
generare un segnale di rinascita?
«Per uscire dal caos, c’è un solo
modo: ricostruire. E la fine dello
Stato islamico è un elemento
essenziale per la ricostruzione. Ma
bisognerà ovviare a un altro
problema e cioè la latitanza
dell’Europa. Gli Stati Uniti se ne
vanno e per riedificare Aleppo,
Mosul, Raqqa e le centinaia di altre
città e villaggi distrutti sarà
necessario che russi ed europei si
mettano d’accordo. Con un Pil pari a
quello della Spagna, Mosca non ha i
mezzi per investire nella regione».

L’intervista


Gilles Kepel “Al Baghdadi


era solo un ologramma


Lo Stato islamico è finito”


di Pietro del Re

islamologo
Gilles kepel,
64 anni, esperto
di medio oriente

Finisce nella provincia di Idlib,
ultima roccaforte dello jihadismo
siriano, l’assalto al cielo di Abu
Bakr Al Baghdadi. È un duro
colpo per l’Isis, già privo di
territorio e della sua base
statuale, la perdita del leader che
dal pulpito della moschea di Al
Nouri a Mosul, nel 2014, aveva
osato l’inosabile. Spingendosi
laddove nemmeno il fondatore di
Al Qaeda, Osama Bin Laden,
all’apogeo dopo gli attentati
dell’11 settembre, si era
avventurato: non solo la
proclamazione dello Stato
islamico ma anche del Califfato.
Sopravviverà ora l’Isis alla morte
del suo leader carismatico? Come
già Al Qaeda dopo la morte di Bin
Laden, anche il gruppo ha
sicuramente definito le
procedure per la successione.
Sebbene non sia facile per
un’organizzazione indebolita
dalle perdite e dalle difficoltà sul
terreno, esprimere una
leadership all’altezza delle
circostanze, la sostituzione del
capo nei gruppi jihadisti è un
meccanismo oliato: è la shura, la
consultazione tra i militanti di
prima fila, a indicare il nuovo
leader. Non a caso gli Stati Uniti
dicono di prevedere già chi sarà
l’erede.
Gli interrogativi, semmai, sono
altri. Al Baghdadi era un leader
insieme politico e religioso. L’Isis
dovrà ora trovare un sostituto
che non sia solo un comandante
militare ma anche uno stratega
politico. È il prezzo che
l’organizzazione deve pagare per
aver proclamato il Califfato.
Riuscirà a esprimere un
successore in continuità con
questo profilo, requisito
essenziale per rivendicare il
titolo califfale o, come accade in
altri gruppi radicali, prevarrà
uno schema diverso?
È possibile che, come già
accaduto in Al Qaeda, anche lo
Stato islamico torni a leader di
formazione scientifica o,
semplicemente, a militanti
politici come era il
protofondatore
dell’organizzazione, il jihadista
giordano Abu Musab al Zarkawi.
In tal caso, diminuiscono le
possibilità che il nuovo leader
possa proclamarsi Califfo
anzichè soltanto Emiro: i due
titoli hanno una diversa
legittimazione religiosa e un
capo che si fregiasse solo del
secondo ridurrebbe senza dubbio
l’appeal del gruppo.
Ancora, il nucleo iracheno
manterrà la primazia
sull’organizzazione o
l’esperienza panislamista
combattente che ha affratellato
nella “comunità del fronte”
siro-irachena decine di migliaia
di militanti di provenienza
diversa, anche europei, genererà
una leadership di differente
origine, con tutte le conseguenze
ideologiche e geopolitiche del
caso? La successione di Al
Baghdadi rivelerà molte cose sul
futuro dell’Isis.

Primo piano Isis azzerato


kIl califfo Abu Bakr Al Baghdadi nella moschea di Mosul nel luglio 2014 kIl raid Il compound che ospitava Al Baghdadi distrutto dopo il raid


f


g


L’analisi


Ora che Isis sarà?


Lo capiremo


dal nome


del successore


di Renzo Guolo

. Lunedì,^28 ottobre^2019 pagina^11

Free download pdf