la Repubblica - 28.10.2019

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I


l 31 ottobre l’Istat diffonderà la stima preliminare del
Pil al terzo trimestre e i dati sull’occupazione del
mese di settembre. Nessuno si aspetta grosse sorprese,
ma è l’occasione buona per sfatare due mistificazioni
che hanno fuorviato il dibattito sulla situazione
economica e sociale del Paese. Le distorsioni possono
essere inconsapevoli, prodotte in buona fede. Con il
risultato di accrescere lo smarrimento dei cittadini,
costretti a districarsi tra messaggi contraddittori.
Oppure possono essere intenzionali. E in questo caso
penso ai toni trionfalistici di questo o quell’esponente
politico per rivendicare i meriti dei presunti successi: la
politica, si sa, deve coltivare il consenso e farne
manutenzione.
Prima mistificazione. Il numero degli occupati in Italia,
dopo un lungo periodo di flessione, è tornato a crescere
negli ultimi quattro anni, recuperando tutti i posti di
lavoro persi a causa della crisi, fino a toccare cifre da
record. «Non si vedevano questi numeri dal lontano
1977»: qualcuno ha esultato così. Vero. Ma il dato non si
può leggere isolatamente. Peccato, infatti, che nel
frattempo sia crollato il numero delle ore lavorate:
nell’ultimo anno sono state 2,3 miliardi in meno rispetto
al 2007, ancora inferiori del 5 per cento nel confronto
con l’ultimo anno prima dell’inizio della crisi. Ciò è
dipeso dal consistente ricorso alla cassa integrazione
causato dalle numerose crisi aziendali (ci sono ancora
160 dossier scottanti sul tavolo del ministro dello
Sviluppo economico). I cassintegrati formalmente un
impiego ce l’hanno, quindi statisticamente ingrossano
le file degli occupati: può sembrare un paradosso, ma è
così. Solo nell’ultimo anno le ore di cassa integrazione
sono state 216 milioni, ancora 32 milioni in più di dieci
anni fa. Ma soprattutto si è verificata una crescita
straordinaria degli impieghi part time, aumentati del 38
per cento negli ultimi dieci anni: parliamo ormai di 4,3
milioni di occupati. In particolare, ad aumentare in
maniera esponenziale è stato il part time involontario
(+131 per cento, ovvero 1,5 milioni di persone in più
rispetto al 2007), che riguarda soprattutto i giovani.
Oggi due terzi delle persone con un impiego a tempo
parziale ne vorrebbero uno a tempo pieno, ma non
riescono a trovarlo. Così, mentre il numero complessivo
degli occupati è aumentato dell’1,4 per cento nel
periodo 2007-2018 (321 mila in più), giustificando un
certo ottimismo, nello stesso periodo le unità di lavoro
equivalenti sono diminuite del 3,8 per cento (959 mila in
meno), perché si è ridotto il numero medio di ore
lavorate per addetto. Questa tendenza si è consolidata
anche quest’anno: nel primo semestre del 2019 gli
occupati totali sono aumentati dello 0,5 per cento
rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, gli
occupati con un lavoro part time del 2 per cento e quelli
con un part time involontario del 2,9 per cento.
Risultato? Cresce l’occupazione, ma non il Pil, le
retribuzioni e i redditi. C’è poco da essere contenti.
La seconda mistificazione riguarda l’aumento del Pil
pro capite, come a dire che le persone stanno meglio di
ieri. Anche in questo caso il dato è vero: ha cominciato a
crescere dal 2015, segnando un +4,3 per cento negli
ultimi quattro anni. C’è stato dunque un aumento della
produttività? No. Perché il Pil per abitante è un
rapporto, ed è aumentato non come conseguenza di
una crescita consistente del numeratore (il Pil), bensì
perché è diminuito il denominatore (la popolazione, che
è in caduta libera ormai proprio da quattro anni: in
questo lasso di tempo l’Italia ha perso nell’insieme 436
mila abitanti). Di cosa rallegrarsi, se chiunque dovrebbe
sapere che una delle principali variabili correlate al
peso politico ed economico di un Paese è proprio la sua
dimensione demografica?
Innocenti abbagli statistici, insomma. O malevola
propaganda. Correggere le due sviste però non è
difficile. L’effetto sarà quello di una spiacevole doccia

fredda. Ma è una «operazione verità» necessaria, perché
i consolatori pannicelli caldi e l’uso di dati parziali per
indorare la pillola non fanno mai bene alla lunga. Basta
guardare un altro indicatore, allora, che tiene insieme
tutti i dati appena ricordati: il Pil per occupato. Poiché il
numero degli occupati – ma di che occupati si tratta lo
abbiamo appena visto – aumentava mentre il Pil
stentava, l’indicatore si è attestato su una crescita
modestissima: appena lo 0,4 per cento in più negli
ultimi quattro anni, certamente insufficiente per
risalire ai livelli pre-crisi (-4,5 per cento è ancora il
bilancio del Pil per occupato nel periodo 2007-2018). E
se dal 2015 effettivamente qualcosa si è mosso, è
veramente troppo poco per parlare di un piccolo boom.
Non proprio lucciole per lanterne, ma quasi.
Ne sono convinti anche a via XX Settembre, visto che
prudentemente – e realisticamente – la Nota di
aggiornamento del Def prevede una crescita dello 0,1
per cento per il 2019 e un +0,4 nel 2020. Per una volta,
non ci siamo fatti parlare dietro: anche la locomotiva
tedesca arranca (con tutte le conseguenze immaginabili
per le nostre imprese esportatrici, che nella manifattura
della Germania trovano uno dei principali mercati di
sbocco), nubi di recessione si addensano sui cieli degli
Stati Uniti (a settembre per la seconda volta quest’anno i
vertici della Fed hanno deciso un taglio dei tassi di
interesse) e i ritmi di crescita dell’economia cinese a cui
eravamo abituati si sono dimezzati. Pesa il
raffreddamento della congiuntura internazionale, con il
rallentamento dei commerci mondiali e gli investimenti
esteri in calo, la «guerra dei dazi» e le nuove barriere
tariffarie. Il ritorno all’idea di frontiere nazionali chiuse
e impermeabili, in luogo di quelle aperte e porose che
sono state il cardine della globalizzazione, ora presenta
un conto salato da pagare. Anche per noi.

L’autore è direttore generale del Censis e autore di “La
notte di un’epoca” (Ponte alle Grazie, 2019)

CAPOREDATTORI
CENTRALE:
Valentina Desalvo
(responsabile)
Stefania Aloia
(vicario)
Alessio Balbi,
Andrea Iannuzzi,
Laura Pertici

di Enzo Bianchi

N


ello scegliere un titolo per questo
appuntamento settimanale con
i lettori di Repubblica, sento
nuovamente di dover mettere i miei
interventi sotto l’espressione
“altrimenti”. L’accento cade quindi
sul “come” si pensa, sul “come” si
comunica. Non ho pretese, non mi sento
maestro ma semplice “insegnante”
nel senso letterale di chi “fa segno”,
chi indica e poi condivide quanto
ha saputo discernere. Ho accettato
la proposta del direttore e cercherò
di onorarla finché mi sarà possibile, fino
a quando voi lettori non giudicherete
chiacchiere vane le mie parole.
Allora, per iniziare, cercherò di leggere
“altrimenti” con voi il sinodo
sull’Amazzonia appena concluso,
un sinodo “dell’altro mondo”, che ha
collocato al cuore della chiesa cattolica
una periferia a noi lontana e poco
conosciuta. La prospettiva data
a questa assemblea di ascolto, confronto
e anche scontro riguarda i cammini che
la chiesa e l’umanità devono compiere
per un’ecologia integrale. Un tema che
non può essere isolato dalle forme stesse
di vita della chiesa: così il processo
avviato a partire da quelle terre
amazzoniche avrà una ricaduta anche
nelle altre chiese del mondo, fin oltre
le porte della vecchia Europa.
I temi venuti alla ribalta, capaci
di spaventare porzioni tradizionaliste
della chiesa cattolica, sono quelli
riguardanti la possibile apertura a
presbiteri sposati e a un riconoscimento
istituzionale per quei ministeri che
le donne di fatto già svolgono in tante
comunità cristiane.
Qui si sono manifestate le attuali
contraddizioni: molte comunità in
Amazzonia sono prive dell’eucaristia
per mancanza e scarsità di presbiteri,
eppure c’è chi preferisce questa grave
carenza, che minaccia la vita della
chiesa, piuttosto che mutare
la disciplina canonica latina che
prevede il celibato per i presbiteri
ordinati. Ma il matrimonio, dono del
Signore al pari del celibato, è vocazione
che non ostacola né la santificazione né
l’esercizio del ministero, anche se
il celibato consente al missionario
ordinato di dedicarsi pienamente
al servizio della comunità.
Ed ecco la novità, della quale non
sappiamo ora misurare la portata: d’ora
in poi l’ordine presbiterale sarà aperto
a diaconi permanenti che sono sposati
e che hanno mostrato di saper servire
nella loro condizione uxorata il popolo
di Dio.
Quanto alle donne, pare tuttora
impensabile pensare di aprire loro
l’accesso all’ordine, anche al diaconato,
ma perché manca l’audacia di creare
nuovi ministeri nei quali i laici
di entrambi i sessi possano esprimere
i carismi loro propri anche attraverso
la presa della parola nell’assemblea
liturgica e la corresponsabilità pastorale
della comunità? Perché i semplici
battezzati — e in particolare le donne —
sono assenti o senza possibilità di
decisione nei luoghi istituzionali?
Questo sinodo è stato una tappa decisiva
di un processo avviato e non arrestabile.
Sarà ancora una volta papa Francesco
— come nel sinodo sulla famiglia —
a perseguire vie profetiche che, senza
contraddire la grande tradizione,
aiutino la chiesa intera a rispondere
alle esigenze attuali di un mondo non
più cristiano eppure ancora capace
di ascoltare il Vangelo!
©RIPRODUZIONE RISERVATA

DIREZIONE
DIRETTORE RESPONSABILE:
Carlo Verdelli

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kL’autore
Enzo Bianchi,
76 anni,
saggista e
monaco laico,
ha fondato
ed è stato
priore della
Comunità
monastica
di Bose,
in Piemonte.
Con questo
articolo
inaugura
la rubrica
“Altrimenti”,
tutti i lunedì
su Repubblica

Altrimenti


Sinodo


dell’altro mondo


di Massimiliano Valerii

I dati su occupazione e Pil


Il lavoro delle mistificazioni


©RIPRODUZIONE RISERVATA

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Aumento del numero degli


occupati, con un record che non


si vedeva dal 1977? Peccato che sia


crollato il numero di ore lavorate


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Cresce il Pil pro capite ossia le


persone stanno meglio di ieri? Ma


la produttività non migliora, è solo


effetto del calo della popolazione


FONDATORE EUGENIO SCALFARI

pagina. (^32) Commenti Lunedì, 28 ottobre 2019

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