la Repubblica - 16.10.2019

(coco) #1

Il mio Paese vive


nel nazionalismo


estremo: per questo


sportivi, intellettuali


e gente comune


appoggiano il governo


La scrittrice
Asli Erdogan, 52
anni, ha passato
4 mesi in carcere
per le critiche
al Presidente

L’intervista


Asli Erdogan “Noi indottrinati


anche a scuola contro i nemici curdi”


dal nostro inviato Marco Ansaldo

SURUC (confine turco siriano) —
«Questo attacco è una tragedia per
tutta la regione. Non solo per i cur-
di: ma per gli arabi, i turcomanni, i
cristiani. Gente che aveva costruito
una società composita, una pace
duratura. Esperimento rotto. A cau-
sa dell’intervento turco. Io me ne
vergogno profondamente».
Dalla casa nel suo esilio tedesco
la voce di Asli Erdogan arriva flebi-
le, per ragioni di salute. Ma quando
la contattiamo, risponde subito a
lettere maiuscole: «Voglio parlare
di questo attacco». Così la scrittrice
che lo scorso agosto ha aggiunto al
suo palmares il premio Vaclav Ha-
vel “Disturbando la pace”, sceglie
di spiegare perché tutto un Paese,
con una storia importante alle spal-
le, l’erede di un Impero come è la
Turchia, in maniera cocciuta e con-
vinta, sia da sempre contro i curdi
come entità, considerando i loro or-
ganismi alla stregua di terroristi.
Lo è la totalità delle forze politiche
in Parlamento (escluso il partito fi-
lo curdo, ovviamente), compresa la
sinistra repubblicana.
Perché chi critica l’invasione in
Siria viene inquisito, mandato a
processo, arrestato?

«Vede, gli europei purtroppo non
seguono la stampa turca. Ma se
potessero farlo, capirebbero come
funziona l’indottrinamento che
viene fatto».
Indottrinamento?
«Certo, fin dalle scuole, attraverso i
libri. La Repubblica di Turchia è
imbevuta di un’ideologia, il
kemalismo, che poteva funzionare
ai tempi Mustafa Kemal, Ataturk. Ma
da allora è scivolata verso il
nazionalismo estremo. La Turchia
sempre si pone sotto minaccia. Un
aspetto oggi mescolato con la
religione, e allora i morti in battaglia
diventano i ‘martiri’. E chi muore, gli
si dice che ‘muore per il Paese’. No,
bisognerebbe dirgli: tu non muori
per il tuo Paese, ma per un governo».
Riguarda anche i calciatori della
Nazionale che salutano

militarmente le imprese di guerra?
«Mica solo nel calcio. Ho visto farlo a
campioni di wrestling, ad atlete
donne. C’è una tendenza a farsi
selfie con la bandiera turca. E’
un’isteria. Un segno importante, da
studiare: che cosa vogliono
provare?».
È stato così anche in passato?
«Basti pensare al genocidio degli
armeni. Quest’ultima è stata solo
l’ultima uscita sanguinosa di uno
stupido fascismo».
Ma Erdogan dice di farlo per
combattere il terrorismo.
«Deve giustificarsi. Però quando
l’Isis era in Siria, nessuno diceva che
lì c’era il terrorismo: le frontiere
erano aperte e i jihadisti partivano
da qui. Quelli erano i veri terroristi.
Ora, un attacco contro la Turchia
non c’è stato. Nessuno ha

minacciato il Paese».
L’obiettivo nascosto di Erdogan
non è conquistare un pezzo di
Siria?
«Non penso solo questo. Certo, c’è
anche la fantasia sul riprendere le
posizioni appartenute all’Impero. Il
ragionamento è il seguente: quel
territorio è nostro, i curdi non hanno
diritti. Sono per definizione
terroristi. Assassini, ladri, ci
minacciano. Lo pensa pure la
sinistra turca».
Come, la sinistra turca?
«Sì, il partito repubblicano, di
ispirazione socialdemocratica,
fondato da Ataturk. Sono, prima di
tutto, nazionalisti. Anzi, sciovinisti.
E appoggiano la guerra ai
combattenti curdi, considerati
terroristi».
Ma Erdogan non vuole
rimandare i profughi siriani a casa?
«Con l’Europa Erdogan è stato
schietto: se mi criticate, vi manderò i
rifugiati. Una discussione immorale.
La questione vera è: perché l’Europa
ha permesso che si arrivi a questo?
Erdogan stava perdendo potere,
l’economia è in crisi, le ultime
elezioni un disastro. Aveva bisogno
di una guerra. Adesso sono tutti con
lui, Ne uscirà vincitore»

dal nostro inviato
Giampaolo Cadalanu

ERBIL (KURDISTAN IRACHENO) —
Tre strisce orizzontali, verde-bian-
co-nero, con tre stelle rosse al cen-
tro: il tricolore siriano sventola a
Manbij. I convogli con i carri arma-
ti sono arrivati nella città al centro
dell’avanzata turca, accolti tiepida-
mente dai miliziani curdi. Control-
lano l’aeroporto militare di Tabqa,
due impianti idroelettrici, i diversi
ponti sull’Eufrate. Ma all’ingresso
della base americana c’è un altro
vessillo: il bianco-blu-rosso di Mo-
sca ha sostituito la bandiera a stel-
le e strisce. I soldati statunitensi so-
no partiti in tutta fretta e i militari
russi sghignazzando si filmano fra
le tende e gli sbarramenti He-
sco-bastion per poi postare i video
su Internet. Il soldato Mem Bijian ri-
de, riprendendosi con il cellulare:
«Sono nella base che ancora ieri
era loro, e oggi è nostra». Parla solo
dell’accampamento di Manbij, ma
il concetto rischia di diventare più
ampio, estendendosi all’intero Me-
dio Oriente.
Il Cremlino sottolinea che l’avan-
zata dei soldati russi – in realtà do-
vrebbe trattarsi di un contingente
di polizia militare - serve per evita-
re lo scontro diretto fra siriani e tur-
chi. Ma se si collegano l’avanzata in
Siria con il veto posto nel Consiglio
di Sicurezza dell’Onu a risoluzioni
anti-turche, con i recentissimi ac-
cordi bilaterali Mosca-Ankara per
l’abolizione del dollaro e l’uso delle

proprie monete negli scambi com-
merciali, e magari anche con la visi-
ta di Vladimir Putin, in queste ore,
negli Emirati Arabi Uniti, allora si
capisce che quella russa è una stra-
tegia articolata, per estendere l’in-
fluenza in tutta la regione.
Mosca tutela Bashar al Assad, e
quindi, almeno in principio, l’inte-
grità territoriale siriana. Ma anche
se Alexander Lavrentyev, inviato
di Putin per la Siria, nega che Mo-
sca abbia dato “luce verde” a Erdo-
gan e continua a considerare «inac-
cettabile» l’offensiva “Fonte di pa-
ce”, è un fatto che il Cremlino conti-

nua a tenere aperte le comunica-
zioni con Ankara. Per Putin sem-
bra alla portata un risultato strate-
gico importante: «sottrarre» alla
Nato la Turchia, uno dei membri
più importanti dell’Alleanza, quan-
to meno per lo scacchiere me-
dio-orientale.
Recep Tayyip Erdogan ne è co-
sciente, e ne approfitta per sfidare
l’occidente, mai così debole e impo-
tente. In un intervento sul Wall
Street Journal, il presidente turco
ribadisce quello che è difficile non
chiamare il suo ricatto: «Sostenete
la nostra operazione, o preparatevi

ad accogliere i profughi». Quanto
alle accuse di aver liberato i jihadi-
sti dell’Isis, Erdogan è sprezzante:
«La Turchia impedirà ai terroristi
di uscire dalla Siria, al contrario
delle nazioni europee che fra il
2014 e il 2015 li hanno lasciati arri-
vare». Apparentemente gli sfugge
che chi lasciava l’Europa ancora
non aveva commesso reati, e che in-
vece il suo Paese ha intenzional-
mente aperto ai combattenti un’au-
tostrada per arruolarsi nel sedicen-
te Stato Islamico. «La Turchia an-
drà avanti con o senza il sostegno
internazionale», dice il portavoce

del presidente.
Né sembra plausibile che siano il
graduale e farraginoso embargo eu-
ropeo alla vendita di armi, o le deci-
sioni degli Stati Uniti a ricondurre
verso atteggiamenti più moderati
l’ “uomo forte” di Ankara: Donald
Trump minaccia altre sanzioni e
ha spedito il suo vicepresidente Mi-
ke Pence in Turchia. Il Dipartimen-
to di Stato insiste per cercare solu-
zioni diplomatiche. Ma l’azione
Usa è tardiva e inadeguata: gli ana-
listi ammettono che le misure sono
poca cosa, meno di quanto ci si po-
teva aspettare.

f


g


la crisi in SIRIA

Putin frena i turchi


E i militari russi


prendono le basi Usa


Le forze di Mosca e l’esercito di Assad entrano nella città curda di Manbij


Erdogan rilancia il ricatto sui profughi. E Trump invia Pence ad Ankara


pagina. (^10) Mondo Mercoledì, 16 ottobre 2019

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