la Repubblica - 16.10.2019

(coco) #1
Il 15 agosto 2017 il magazine del
New York Times è uscito con una
lunga storia di copertina intitola-
ta: “Perché uno studente italiano è
stato torturato e ucciso in Egitto”.
Si narravano, con molti dettagli,
«le strane circostanze» della scom-
parsa di Giulio Regeni al Cairo, tro-
vato morto il 3 febbraio 2016 alcu-
ni giorni dopo essere stato rapito.
Da chi e perché? Secondo l’autore
dell’inchiesta, il corrispondente
dal Cairo Declan Walsh, il governo
americano, allora guidato da Ba-
rack Obama, aveva trovato le rispo-
ste e le aveva trasmesse al governo
italiano, allora guidato da Matteo
Renzi. Tre giorni dopo la pubblica-
zione di quell’inchiesta, il 18 ago-
sto 2017, con il collega Marco Pra-
tellesi, presentammo al Diparti-
mento di Stato una richiesta di ac-
cesso a quegli atti. Tecnicamente
si chiama FOIA, Freedom of Infor-
mation Act, un istituto che da ol-
tre mezzo secolo «assicura il fun-
zionamento della democrazia», se-
condo quanto si afferma sul sito uf-
ficiale. Di fatto, è il diritto dei citta-
dini di sapere, di avere accesso ai
documenti del governo, purché
questo non leda la sicurezza nazio-
nale e la privacy dei singoli. Sono
passati più di due anni. E la rispo-
sta non è ancora arrivata. Gli Stati
Uniti non ci stanno dicendo quello
che sanno sulla morte di Giulio Re-
geni. Perché?
Eppure la richiesta FOIA è stata
regolarmente accettata. Le è stato
assegnato un numero (control ca-
se number) e ci è stato detto che si
trattava di materiale “unclassi-
fied”, non coperto da segreto. Di so-
lito per avere una risposta ad un
FOIA negli Stati Uniti ci vogliono
trenta giorni: lo dicono loro stessi
sul sito ufficiale. Ma non è un ter-
mine perentorio, dipende dalla
complessità della richiesta e dal
numero totale di richieste da gesti-
re. Il 3 novembre 2017, dopo oltre
due mesi di attesa, abbiamo così
scritto di nuovo all’ufficio del FO-
IA per avere una data. Ci hanno ri-
sposto diverse cose importanti: 1)
la richiesta era stata assegnata ad
un team che se ne stava occupan-
do; 2) in quel momento c’era una
coda di circa 12 mila e 400 richie-
ste da smaltire e per questo ci vole-
va più del solito; 3) per completare
il processo e darci i materiali, «po-
teva essere necessario attendere fi-
no a settembre 2019». Due anni e

un mese. Due anni e un mese per
trasmetterci le informazioni che
gli Stati Uniti hanno sulla morte di
Regeni. Eppure, si legge sempre
sul sito ufficiale, «se c’è una urgen-
za di informare l’opinione pubbli-
ca» la risposta deve poter arrivare
prima. Non era questo il caso per
gli Stati Uniti, evidentemente.
Il 30 settembre 2019 però è arri-
vato: allora abbiamo di nuovo scrit-
to agli uffici del FOIA e il 7 ottobre
è giunta la risposta definitiva:
«Your request remain in process».

Ci stiamo ancora lavorando, senza
date e impegni certi. Come certi
cartelli in autostrada con i lavori
in corso che non finiscono mai.
Perché il governo americano si
ostina a tenere coperte le carte sul-
la morte di Giulio Regeni pur non
considerandole “classified”? Per
provare a capirlo occorre tornare
a leggere quell’articolo del New
York Times. C’è un passaggio in cui
si afferma che «nelle settimane
successive alla morte di Regeni, gli
Stati Uniti ricevettero dall’Egitto

informazioni di intelligence esplo-
sive: la prova che funzionari di si-
curezza egiziani avevano rapito,
torturato e ucciso Regeni». In par-
ticolare un funzionario dell’ammi-
nistrazione Obama disse: «Aveva-
mo prove incontrovertibili della re-
sponsabilità ufficiale egiziana.
Non c’era dubbio». Prove incontro-
vertibili, quindi. Quali? È quello
che il FOIA del 18 agosto 2017 vuole
scoprire, visto che «su raccoman-
dazione del Dipartimento di Stato
e della Casa Bianca, gli Stati Uniti
passarono questa loro conclusio-
ne al governo Renzi». Ma per evita-
re di “bruciare” la fonte, gli ameri-
cani non condivisero con il nostro
governo i dati originali, né rivelaro-
no quale agenzia di sicurezza pen-
savano fosse responsabile della
morte di Regeni. «Non era chiaro
chi aveva dato l’ordine di rapirlo e,
presumibilmente, ucciderlo», dis-
se al New York Times un altro ex
funzionario. «Quello che gli ameri-
cani sapevano per certo, e lo disse-
ro agli italiani, fu che la leadership
egiziana era completamente a co-
noscenza delle circostanze della
morte di Regeni». «Non avevamo
alcun dubbio che questo fosse no-
to ai livelli più alti», disse l’altro
funzionario. «Non so se avevano re-
sponsabilità. Ma sapevano. Sapeva-
no». Sapevano quello che la fami-
glia Regeni attende di scoprire da
quel 3 febbraio 2016.
Quando uscì l’articolo del New
York Times, Paolo Gentiloni da no-
ve mesi aveva preso il posto di Mat-
teo Renzi quale presidente del
Consiglio. Fonti di palazzo Chigi fe-
cero trapelare una versione per
cui «non furono mai trasmessi ele-
menti di fatto né tantomeno prove
esplosive». Matteo Renzi non disse
nulla; eppure quando era premier
aveva tuonato. «Ci fermeremo so-
lo quando avremo trovato una veri-
tà vera, non di comodo» (evidente
riferimento ai numerosi tentativi
di depistaggio degli egiziani). Dal-
la maggioranza di governo partì
un fuoco di fila contro la versione
del New York Times, definita nel
migliore dei casi «una bufala», in
altri «un tentativo di mettere in pe-
ricolo le relazioni fra Italia ed Egit-
to». Tutto può essere. Il modo mi-
gliore per dimostrarlo sarebbe leg-
gerle, quelle carte. Per questo ieri
abbiamo presentato un FOIA iden-
tico al governo italiano. La verità
conta.

La morte del ragazzo italiano

hLa morte
di Giulio Regeni
Il 3 febbraio
2016, alcuni
giorni dopo
la sua
scomparsa,
il corpo
martoriato
del ricercatore
italiano Giulio
Regeni viene
trovato
alla periferia
del Cairo

hLe indagini
e i depistaggi
Per la Procura di
Roma, Regeni è
stato torturato e
ucciso dai Servizi
egiziani perché
ritenuto una
spia. Dal Cairo
in questi anni
solo depistaggi
e reticenza

Le tappe
Tre anni
di bugie

Regeni


Quelle domande


sull’omicidio


a cui gli Stati Uniti


non rispondono


di Riccardo Luna

kL’immagine
Giulio Regeni,
nato nel 1988,
era un
ricercatore
univeristario

I documenti
Le prove
trasmesse

hL’inchiesta
americana
Il 15 agosto
del 2017 il New
York Times
scrive che
l’intelligence
americana
aveva ricevuto
le prove del
coinvolgimento
dei Servizi
egiziani.
Informazioni
trasmesse al
governo
italiano

hL’accesso
agli atti
Nonostante la
richiesta di
accesso a quei
documenti,
prevista per
legge, dagli Usa
in due anni zero
risposte

pagina. (^16) Mondo Mercoledì, 16 ottobre 2019

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