Libero - 16.10.2019

(Tuis.) #1

RENATO FARINA


■Dall’intervista di Aldo
Cazzullo sulCorriere della
Sera, Carlo De Benedetti
esce scolpito nel marmo, du-
ro e puro. È stato pienamen-
te se stesso: crudele, come
un capitalista dev’essere. An-
che con i figli, specialmente
con i figli. Ci domandiamo
però, e anticipiamo il tema
del nostro articolo da poveri
plebei, perché non lo sia sta-
to con se stesso. Una briciola
di cenere sul capo, un picco-
lo colpetto di pugno sul suo
petto. Invece no. Ha sfonda-
to il torace dei figli. Li ha sbra-
nati senza tanti complimen-
ti, senza palesare neppure
un grammo di dolore
all’idea di far zampillare il
sangue vivo dalle loro guan-
ce sbrindellate con le sue un-
ghie di patriarca.
Soffre solo per l’azienda
che ha fondato, svezzato e
poi regalato alla sventurata
prole. Non gli importa di feri-
re Rodolfo e Marco, gli pre-
me solo di salvare, costi quel
che costi in termini di affetti
familiari, la sua unica e vera
figlia. E si chiamaRepubbli-
ca, con annesso un vasto im-
pero editoriale. Ma non è del-
le cianfrusaglie circostanti
che gli importa, ma è per lei,
la sua regina,
la-Re-pub-bli-ca, che si di-
spiace di vedere smagrita,
sciupata, con gli occhi pesti e
poco fa messa in vendita co-
me una sgualdrina al primo
fondo straniero che passa,
addirittura quello guidato da
Stefano Marsaglia e Fausto
Cattaneo – e qui lascia traspa-
rire una piega di disprezzo
sul suo labbro.
Questo è troppo, è un’onta
troppo grave. Ed ecco Carlo
De Benedetti interpretare la
parte di John Wayne inEl
Grinta: vuole recuperare la
creatura amata dalle mani
dei pellerossa che gliel’han-
no portata via, e rieducarla,
restituirla rosea, bella, ele-
gante e potente alla guerra
dei mondi con lui e condurla
con polso delicato e forte ver-
so nuovi fasti.


POCA SENSIBILITÀ

C’è tutto del suo baldanzo-
so temperamento, in questa
intervista bella e senz’anima,
concessa al giornale di Urba-
no Cairo, che gode a veder
umiliata la dirigenza concor-
rente. Si prende anche i com-
plimenti di Cairo stesso, per
il suo «romanticismo». De
Benedetti ha però una debo-
lezza grave, quella che abbia-
mo enunciato sopra. Avreb-
be dovuto infilare prima di
tutto l’artiglio del suo risenti-
mento nel proprio fianco, ap-
plicando lo stesso metro di
ferocia anche a se stesso.
Lui anzi è all’origine di
quel che imputa ai suoi figli
peraltro ormai maturi, quasi
sessantenni come sono oggi-
dì. Dovrebbe perciò fustiga-


re il cattivo padre che si è di-
mostrato essere sia nei con-
fronti della sua adorataRe-
pubblicasia rispetto ai suoi
discendenti (due su tre, il ter-
zo invece, a nome Edoardo,
pare abbia scelto con soddi-
sfazione propria e dei suoi
pazienti la strada di medico
in Svizzera).
L’Ingegnere infatti ha di-
mostrato con una carriera
pazzesca di avere la massi-
ma sapienza in finanza, ma
crassa ignoranza nella figlio-
lanza, e la rima quadruplice
è volutamente sperticata,
perché queste cose ai poten-
ti non le dice nessuno. Rovi-
nano i figli, con la scarsa sti-
ma e con pesi grandi, e poi
riversano su di loro sensi di
colpa che magari sarebbe il
caso consumassero nell’inti-

mità della propria coscienza.
Vogliamo citare il caso di
Gianni Agnelli e di Edoardo
e Margherita?

LA SCELTA DI CEDERE

Non si fa così. E osiamo dir-
lo in pubblico perché questi
panni di famiglia, lui che ha
cittadinanza e residenza sviz-
zera, li ha esposti ad asciuga-
re come una comare nei vico-
li di Napoli. Non si molla un
carico sovrumano su coloro
che hai avuto tutta la vita per
tirarli grandi e conoscerne ca-
pacità e manchevolezze, sba-
gliando alla grossa, e poi ac-
cusare loro di aver fallito.
È stato infatti papà Carlo
medesimo a decidere di cari-
care sulle loro spalle un far-
dello troppo pesante per lo-

ro. Una gerla piena di oro a
24 carati. Ma anche l’oro zec-
chino spezza la spina dorsa-
le di chi non ha la tempra da
mulo degli imprenditori di
prima generazione. Ho detto
“mulo”, e mi accorgo di aver
detto una verità genetica: i
muli non hanno figli. Da que-
sta delusione li ha preservati
la natura. Non così è capitato
ai grandi imprenditori che
sono di solito parecchio ferti-
li, anche perché possono per-
mettersi di mantenere nume-
rosi virgulti. Ma bisognereb-
be allora, per evitare casini
alla propria vecchiaia e lacri-
me alla maturità dei figli, ac-
compagnarli su strade conso-
ne per tempo.
C’è un problema, ed è una
scusante non da poco. Chi
frequenta i consigli di ammi-

nistrazione delle sue mille
ditte di famiglia non ha tem-
po per quisquilie come con-
trollare i compiti dei figli e in-
terrogarsi con loro sulle loro
attitudini. Si accontentano di
mandarli a studiare in un col-
legio svizzero, poi affiliarli a
una banca internazionale,
dove ai tavoli che contano
parlano cinque lingue. Que-
sto non crea un imprendito-
re, ma un figlio di papà di al-
ta qualità o di bassa qualità,
a seconda dei casi (in quella
di De Benedetti di eccellente
rinomanza), ma non c’entra
niente con l’essere imprendi-
tori.
La storia è nota, ma è buon
costume giornalistico sinte-
tizzarla. Anni fa, Carlo aveva
letteralmente donato ai figli
Rodolfo e Marco la Cir, la cas-

saforte di casa. Si era tenuto
qualche centinaio di milioni
di euro, robetta, con cui di-
vertirsi da pensionato nell’al-
ta finanza, ma la holding pas-
sava tutta ai rampolli.

CREATURA PREFERITA

Non ha posto condizioni,
tipo che la amministrasse
uno bravo da lui indicato, o
che il capostipite conservas-
se il diritto di veto fino a vita
natural durante su certe scel-
te strategiche. Niente. Nella
scuderia Cir c’era soprattut-
to l’adorato purosangue,La
Repubblica. Li ha fatti salire
gratis su un cavallo pazzo co-
me quello dell’editoria, su
cui loro non erano mai saliti,
per vedere se erano bravi o
per dimostrare a se stesso
che lui era l’unico capace di
montarlo e fargli vincere il
Grand Prix de Paris? Propen-
deremmo per la seconda ipo-
tesi.
Ora l’azienda si chiama Ge-
di, i figli sono soci di John El-
kan e della Fiat che hanno
legato alla loro caviglia la pal-
la al piede del quotidiano to-
rinese. Un disastro. Nei gior-
ni scorsi ecco la fucilata del
Patriarca. L’Ingegnere, 85 an-
ni a novembre, via agenzia
Ansa, come si fa con i nemi-
ci, ha proposto con grinta
ostile a Rodolfo e Marco
(due figli, anzi due curricu-
lum), di cedergli le azioni Ge-
di che consente loro di con-
trollare e soprattutto guidare
Repubblica,La Stampa,Il Se-
colo XIX,L’Espresso,Radio
Capitale un mazzo di quoti-
diani locali. Li ha ingiuriati of-
frendo un prezzo bassissi-
mo, esattamente la valutazio-
ne sprofondata a 25 centesi-
mi.
Loro hanno risposto tristi
e delusi: picche!
Ha chiesto Cazzullo: Ha
parlato con loro?
«No. Sarebbe stato inutile,
perché non accettano le pre-
messe: riconoscere che non
sono capaci di fare questo
mestiere».
Sono parole molto dure.
«I miei figli sanno fare be-
ne altri mestieri. Ma non han-
no la passione per fare gli edi-
tori. Non hanno neanche la
competenza; ma prima di
tutto non hanno la passione.
E senza passione non puoi
fare un mestiere così partico-
lare, artigianale, per il quale
occorrono sensibilità, gusto
estetico, cultura, capacità di
conduzione di uomini, talen-
to per mettere insieme un’or-
chestra e il direttore che la
dirige, decidere quale sparti-
to suonare».
Domanda che gli faccia-
mo noi: e allora perché, genti-
le e spietato Ingegnere, gli ha
messo nelle mani il cavallo
preferito? Con quel gesto ge-
neroso ha azzoppato in col-
po soloRepubblicae i due
figli. Ci vorrebbe anche un
mea culpa.
©RIPRODUZIONE RISERVATA

TOMMASO MONTESANO


■Non è una grande idea, per i fonda-
tori di grandi gruppi industriali e deten-
tori di ingenti patrimoni, lasciare le
aziende ai figli: nel 90% dei casi la fortu-
na costruita dai padri si esaurisce entro
la terza generazione; nel 70%, invece,
entro la seconda.
Non lascia molti margini lo studio ci-
tato dalFinancial Timessu cosa accade
di solito ai titolari di grandi ricchezze: su
2.500 famiglie, quasi sempre ciò che è
stato accumulato dal capostipite svani-
sce nel nulla. Viene da dire, numeri alla
mano: meglio non lasciare eredi, oppu-
re cancellare quelli che sono eredi per
diritto dinastico. Perché solo in questo
caso è assicurata la salvezza del patrimo-
nio. In fondo Bill Gates, il fondatore di
Microsoft, questo comandamento l’ha
messo in pratica. Del resto i figli, ha spie-
gato dopo aver comunicato la sua inten-
zione di devolvere il proprio patrimonio
in beneficenza, «non se la caveranno

mai male. Avranno un’ottima istruzio-
ne e un po’ di soldi, ma poi dovranno
vedersela loro e fare carriera. Lasciando
grandi somme di denaro, non si fa un
favore ai figli».
Uno studio della Harvard Business

School del 2018 realizzato su oltre 4mila
milionari lo conferma: ha mostrato che
i “ricconi” artefici del proprio patrimo-
nio sono più felici di coloro che si sono
semplicemente limitati a ereditarlo. E
che il tema sia sentito, lo testimonia il
successo di una serie televisiva britanni-
ca nella quale il protagonista è un pa-
triarca angosciato di fronte al dilemma
della vita: cosa fare in vista del ricambio
generazionale? «I miei figli sono tutti or-
ribili, terribilmente viziati e litigiosi co-
me gatti in un sacco».
Ancora: nel libro Ricchezza ereditata,
John Levy elenca i guai cui vanno incon-
tro eredi ed ereditiere: mancanza di au-
tostima; senso di colpa (gli artefici delle
fortune non sono loro); maturità rag-
giunta in ritardo (l’agiatezza ricevuta in
dono non ha costretto i ragazzi a fare i
conti con le asprezze della vita); senso
di inerzia (indecisione su cosa fare con
il denaro) e noia. Un cocktail micidiale
che spesso conduce all’autodistruzione.
©RIPRODUZIONE RISERVATA

Lo studio Usa su 2.500 famiglie


Il90%dellefortunerovinatodaglieredi


I cambi portano solo guai: quasi sempre il patrimonio non sopravvive alle nuove generazioni


EREDI INCAPACI
«Non accettano le
premesse: riconoscere
che non sono capaci di
fare questo mestiere. I
miei figli sanno fare
bene altri mestieri. Ma
non hanno la passione
per fare gli editori. Non
hanno neanche la
competenza; ma prima
di tutto non hanno la
passione»

AZIENDA SVALUTATA
«Il mercato ha
dimostrato che
l’azienda, se gestita non
dai miei figli, vale di più»

La guerra per il controllo di Repubblica


De Benedetti meglio dei figli, ma ha sbagliato lui


Nessuno ha costretto l’ingegnere a cedere il controllo del gruppo: se i suoi successori hanno fallito è anche colpa sua


Carlo De Benedetti in compagnia dei figli Rodolfo, Edoardo e Marco in una foto del 2011(Fotogramma)

LA SORTE DEI PATRIMONI


■ La società di consulenza patrimo-
niale William Group ha seguito l’evolu-
zione della fortuna di 2.500 famiglie
americane.

LE COLPE DEI SUCCESSORI
■ Nel 70% dei casi, il patrimonio si è
esaurito entro la seconda generazione;
nel 90% dei casi entro la terza. Morale
della favola: spesso è più opportuno
disarcionare gli eredi designati.

La studio


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mercoledì16 ottobre


2019


ITALIA

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