La Stampa - 26.10.2019

(ff) #1

REUTERS/PABLO SANHUEZA


il documento

Il salvacondotto
dei Carabineros
per i giornalisti

Una pattuglia di militari cileni in un posto di blocco. I soldati occupano il centro della città per far rispettare il coprifuoco

PAOLO MASTROLILLI
INVIATO A SANTIAGO DEL CILE

I


l portiere di notte ha appe-
na calato la saracinesca,
per bloccare l’ingresso
dell’albergo, nel rispetto
del coprifuoco. Quando gli chie-
do di rialzarla mi guarda stra-
no: «Vuole uscire ora?». Gli mo-
stro il salvacondotto firmato
dal capitano dei Carabineros Pa-
mela Sandoval Echeverria, che
mi autorizza per questo viaggio
al termine della notte di Santia-
go, e allora lui si rassegna: «Ec-
co il mio numero di cellulare.
Mi chiami, se avesse problemi».
Tenendo bene in mente la
preoccupazione trasmessa dal
portiere, mi avvio lungo l’Aveni-
da Libertador General Bernar-
do O'Higgins, Alameda per gli
abitanti della capitale. È il viale
centrale che collega il palazzo
presidenziale della Moneda a
Plaza Italia, cuore della prote-
sta e della guerriglia di questi
giorni. In giro non c’è un’ani-
ma, l’atmosfera è spettrale. Sul
marciapiede di sinistra brucia
un cumulo di rifiuti, che qualcu-
no ha accatastato sotto un gran-
de albero per farlo incendiare.
Il primo essere umano che in-
contro è un barbone a torso nu-
do, che sta sdraiato all’ingresso

della Estación Central e urla in-
sulti. Faccio una piccola devia-
zione per passare davanti all’E-
stadio Víctor Jara, noto un tem-
po come il famigerato Estadio
Chile, dove durante il golpe di
Pinochet vennero torturati e uc-
cisi gli oppositori, tra cui il can-
tante a cui ora è dedicato. Lo
squallore della calle Arturo Go-
doy fa venire i brividi. Doveva
essere proprio così, a Santiago,
durante gli spietati coprifuoco
della dittatura militare.
La prima pattuglia di militari
la incontro a un isolato dalla
Moneda, il palazzo bombarda-
to da Pinochet dove Salvador
Allende si era suicidato. Sono
quattro, in assetto da guerra,
con l’elmetto calato in testa e il
fucile in braccio. Per prudenza,
mi viene istintivo di cambiare
strada ed evitarli. Davanti alla
Moneda, però, c’è un posto di
blocco con i blindati. I soldati
mi vedono e uno mi viene in-
contro. Sulla mimetica c’è scrit-
to il nome Carrasco, la canna
del fucile punta l’asfalto: «Per-
ché sta violando il coprifuo-
co?». È un ragazzino, a occhio e
croce potrebbe essere mio fi-
glio. Gli mostro la tessera da
giornalista che mi ha dato il Mi-
nisterio Secretaria General de
Gobierno: «Salvoconducto?».
Gli passo il cellulare, con la let-
tera del capitano Sandoval. La

legge con attenzione, e mi salu-
ta con un sorriso: «Buona fortu-
na». Verrò fermato altre quat-
tro volte dalle pattuglie, e la sce-
na si ripeterà sempre uguale.
L’ultima si lascia anche fotogra-
fare in posa coi fucili, e quando
chiedo loro se sanno che sono
stati accusati di violare i diritti
umani, alzano le spalle: «Noi
stiamo solo eseguendo gli ordi-
ni, per mantenere la calma e di-
fendere il Cile».

La partita tra le fiamme
All’incrocio con la Diagonal Pa-
raguay, noto un paio di barrica-
te incendiate in mezzo alla stra-
da. Mi avvicino, e vedo che tra
un muro di fuoco e l’altro c’è un
gruppo di ragazzi che gioca a
pallone. «Vidal passa a Mes-
si...», come avrebbero fatto i
bambini all’oratorio. Si presen-
ta un giovane con la barba, che
dice di chiamarsi Oscar To-
meo: «Siamo un gruppo del mo-
vimento sociale, protestiamo
contro il coprifuoco». Gli chie-
do se non hanno paura a sfida-
re i carabineros, e lui risponde
così: «In Cile non si può più ri-
spettare il coprifuoco, dopo
quello che è successo durante
la dittatura militare». Mi passa
un documento, firmato da 28
gruppi che vanno dalla Comu-
nidad Hare Krishna Copiapò al
Movimiento Indigena Ataca-
ma. Chiedono le dimissioni del
presidente Piñera e la convoca-
zione di una Assemblea costi-
tuente, per cambiare la legge
fondamentale e andare a vota-
re. Gli dico che la deputata Mai-
te Orsini, uno dei punti di riferi-
mento della rivolta, mi ha rac-
contato che girano voci su tortu-
re e omicidi commessi da milita-
ri e polizia: «Voci? No amico,
non sono voci. Io conosco per-
sonalmente compagne che so-
no state costrette a spogliarsi in
caserma, e poi è inutile che ti
stia a spiegare cosa è successo.

Almeno 5 vittime della repres-
sione sono state uccise dagli
spari dei carabineros e dei sol-
dati, e l’Instituto Nacional de
Derechos Humanos ha denun-
ciato torture, persone legate e
abusate, qualcuno persino cro-
cefisso per divertimento. Quali
voci? Qui la repressione è sem-
pre uguale, e deve finire».
A Plaza Italia i segni della guer-
riglia sono evidenti. Nell’aria si
sente l’odore dei lacrimogeni
che fanno ancora venire le lacri-
me, e per andare avanti biso-
gna mettersi un fazzoletto ba-
gnato sul naso e gli occhi. Il fu-
mo sale da un negozio di moto
sventrato durante la protesta.

Un gruppo di volontari cerca di
spazzare via i detriti. I militari
del posto di blocco che ferma-
no le auto scherzano fra di loro:
«Hai sentito? Domani tocca ai
camionisti, che bloccheranno il
traffico per protestare contro il
costo delle autostrade», con-
trollate in buona parte dalla
compagnia italiana Atlantia. Ie-
ri a Valparaiso è stato evacuato
il parlamento. È la nuova nor-
malità del Cile, scosso da una ri-
volta epocale. Ma quando, ver-
so l’una, il vecchio portiere, che
deve averle viste tutte, rialza la
saracinesca dell’albergo per far-
mi andare in stanza, ci tiene a
rincuorarmi: «Tutto bene?
L’hanno presa i militari? Però
deve sapere che non siamo più
ai tempi di Pinochet. Questa è
la protesta di una nuova genera-
zione che vuole migliorare il Ci-
le, e neppure i soldati vogliono
tornare a quei tempi tristi». —
c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

Il salvacondotto concesso ai
giornalisti stranieri dalla se-
greteria generale dei Carabi-
neros, le forze dell’ordine ci-
lene, che consente di poter
circolare di notte, durante le
ore del coprifuoco «nella zo-
na dichiarata in stato di
emergenza».

Viaggio nella capitale cilena durante le ore proibite: strade deserte e pattuglie. I soldati fermano tutti: “Difendiamo la patria”

Santiago spettrale sotto il coprifuoco

“Le nostre barricate contro i militari”

Un gruppo di ragazzi
sfida i divieti: “Dopo
la fine della dittatura
non hanno più senso”

Davanti al palazzo
della Moneda i soldati
danno l’alt: “State
violando la legge”

BUENOS AIRES


Alberto Fernandez e Cristina
Kirchner hanno chiuso la lo-
ro campagna elettorale in
scioltezza, convinti che la
partita sia praticamente
chiusa. Abbracciati dal palco
di Mar del Plata, con il mare
sullo sfondo e neanche trop-
pa gente sugli spalti, sanno
bene che con i 17 punti di
vantaggio accumulati nelle
primarie di agosto solo un
terremoto politico potrebbe
cambiare il corso delle cose.
Chi ha dovuto rincorrere, in-
vece, è il presidente in carica,
ma sempre più «uscente» Mau-
ricio Macri, che ha visitato 30
città in 30 giorni in un Paese
grande quanto mezza Euro-
pa. Macri ha chiamato a «sal-
vare la Repubblica», a non far-
si ingannare dalle sirene del

populismo, a non fidarsi della
«combriccola della corruzio-
ne». Il presidente fa riferimen-
to agli scandali di Cristina
Kirchner, ai bilanci truccati,
gli appalti gonfiati, gli alti fun-
zionari arrestati. Ha citato fat-
ti concreti, ma la verità è che
gli argentini oggi hanno ben
altre preoccupazioni, che ruo-
tano essenzialmente attorno
alla crisi economica.
I numeri, che non sono più
taroccati come durante il
kirchnerismo, cozzano con le
promesse di quattro anni fa,
quando Macri aveva previsto
la «povertà zero», l’inflazione
sotto al 10% e un’Argentina
che tornava alla grande sui
mercati internazionali. Più di
un argentino su tre oggi è po-
vero, l’inflazione è passata dal
30% al 55%, il debito è aumen-

tato, le casse pubbliche, pur
dopo il maxi prestito concesso
dal Fmi, sono vuote. «La situa-
zione attuale – spiega l’econo-
mista Martin Hourest – è in
parte conseguenza dell’eredi-
tà lasciata dai governi peroni-
sti, ma questo non toglie che
Macri abbia fallito. E la gente,
si sa, dà sempre la colpa all’ul-
timo arrivato».
Alberto Fernandez ha gioco
facile nel puntare il dito con-
tro il «modello neoliberista»
del suo avversario, citando an-
che le proteste cilene di questi
giorni. «Volevano farci crede-
re che quello era il modello,
ma la gente non è stupida,
non vogliamo finire così». La
specialità dei peronisti, del re-
sto, è proprio quella di rilegge-
re la storia. All’epoca del de-
fault del 2001 la colpa era tut-

ta di Fernando de La Rua e
non delle privatizzazioni sel-
vagge del pur peronista Car-
los Menem. Oggi è tutta colpa
di Macri e guai a parlare dell’e-
norme spesa pubblica nei go-
verni di Nestor e Cristina
Kirchner o delle poche infra-
strutture realizzate conside-
rando gli anni di crescita eco-
nomica (dal 2003 al 2008 e
poi 2010-2012) per gli alti
prezzi delle commodities. Il
peronismo, poi, è abilissimo
nel gestire la piazza. Negli ulti-
mi due anni sono stati organiz-
zati cinque scioperi generali e
migliaia di cortei contro il go-
verno e la crisi economica; do-
po le primarie tutto si è calma-
to per non spaventare l’eletto-
rato moderato. E quando si
parla di corruzione molti ripe-
tono il vecchio adagio popola-
re sui peronisti al potere; «ro-
ban, pero hacen»: rubano, ma
sanno governare. La ricetta
ideale, a Buenos Aires, per vin-
cere in tempo di crisi. E. GUA. —
c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

AGUSTIN MARCARIAN/REUTERS


REPORTAGE


Alla Villa 31 la fame è oramai un’emergenza

In fila per il cibo


tra i nuovi poveri


di Buenos Aires


EMILIANO GUANELLA EMILIANO GUANELLA
BUENOS AIRES

E


ntri alla «Villa 31»
di Buenos Aires e
puoi percorrere 80
anni di storia argen-
tina, vista sempre dalla par-
te dei più poveri. Costruita
negli anni Quaranta tra la
stazione di Retiro e il Rio de
la Plata, i suoi primi abitanti
sono stati i tanos, gli immi-
grati italiani del secondo do-
poguerra, valigia di cartone
e una vita da rimettere in
moto. Le case di lamiera e
poi di mattoni a vista hanno
resistito alle ruspe dei mili-
tari e a varie speculazioni, a
pochi passi dall’Hotel Shera-
ton e dal nuovo quartiere
chic di Puerto Madero, grat-
tacieli e ristoranti alla mo-
da. Il PRO, il partito con cui
il presidente Macri ha inizia-
to da sindaco della capitale
la sua carriera politica, ha
cercato negli ultimi anni di
cambiarla, con un occhio an-
che all’enorme bacino elet-
torale racchiuso in pochi iso-
lati; ci vivono almeno 60 mi-
la persone, ma potrebbero
essere molte di più. I tecnici
del Comune sono arrivati
con taniche di vernice gial-
la, il colore del PRO e hanno
pitturato le prime case, a
fianco della sede dei tribu-
nali federali. Il piccolo suk
con gli ambulanti per strada
è diventato un mercato co-

munale con posti coperti e
numerati. «Prima - mi spie-
ga uno dei commercianti -
c’era una grande confusio-
ne ed era anche abbastanza
pericoloso, soprattutto di
sera, ma almeno si vende-
va. Ora non si vende nulla e
dobbiamo pure pagare il
“monotributo”, la tassa co-
munale: in pratica stiamo
lavorando per lo Stato». La
Villa oggi è iper-affollata.
A causa della crisi molte
famiglie sono stata sfratta-
te dalle case in affitto in al-
tri quartieri e son tornate.
La metà sono argentini,
l’altra metà immigrati dai

Paesi vicini. Fino a 10 anni
fa i più numerosi erano i bo-
liviani, ma oggi molti sono
tornati in patria attratti
dal buon ciclo economico
sotto il governo di Evo Mo-
rales. La mia guida è Vivia-
na Rodriguez, 45 anni na-
ta a cresciuta qui. «In passa-
to i problemi maggiori era-
no la droga e la delinquen-
za: oggi è la fame». Viviana
fa parte del gruppo Barrios
de Pied e ha fondato un «co-
medor», una mensa popo-
lare che alimenta, quando
può, una trentina di ragaz-

zi del quartiere. Si fa aiuta-
re dalla figlia ventenne e
dalle sue amiche, tutte gio-
vani madri. «Ci piacerebbe
restare aperti tutti i giorni,
ma non abbiamo soldi suffi-
cienti. Quando ci arrivano
le donazioni corriamo al
supermercato e portiamo
a casa quello che possia-
mo, ma ogni settimana i
prezzi aumentano». Oggi
c’è polenta liquida e un ra-
gù di carne, senza pane
«perché costa troppo».
Per Viviana fare politica
è riempire le sue due pento-
le giganti. «Prima delle ele-
zioni tutti promettono, ti
danno pure alimenti, ma
poi dopo un mese si torna
da capo». Il parlamento ar-
gentino ha approvato la leg-
ge di «emergenza alimenta-
re» contro la povertà. «Ci
siamo registrati, vogliamo
ricevere i sussidi, ma dev’es-
sere una cosa costante: se
un giorno cucino per 30 ra-
gazzi, il giorno dopo ne arri-
va il doppio». Quando han-
no finito il loro piatto i bam-
bini restano a giocare. So-
pra di loro la bandiera col
nome della mensa, che è
“Renacer”, rinascere; un
auspicio, di questi tempi,
per l’Argentina. —
c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

SUDAMERICA


REPORTAGE


Il peronismo verso la vittoria


E l’Argentina rischia il default


Domani le presidenziali: Alberto Fernandez può trionfare al primo turno

Alberto Fernandez, il grande favorito alle presidenziali di domani

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La volontaria: “Un
giorno cucino per 30
e il giorno dopo ne
arriva il doppio”

La mensa «Renacer»

COMUNE DI SANT’EGIDIO DEL MONTE ALBINO (Provincia di Salerno)

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