La Stampa - 26.10.2019

(ff) #1
La rivolta sociale in Cile tra vita,
narrazione e numeri incontestabili
Gentile Direttore, le scrivo per ma-
nifestare la mia critica nei confronti
dell’articolo di Alberto Mingardi
sulle convulsioni cilene. Senza vo-
ler fare l’apologia del modello co-
munista, credo che sia ragionevole
affermare che di fronte alle devasta-
zioni ambientali, la scarsezza di ri-
sorse, la disuguaglianza crescente,
continuare a credere nelle promes-
se di crescita infinita del capitali-
smo senza freni che vige in America
Latina, sia per lo meno miope. So-
prattutto se ci si appoggia unica-
mente sui suoi feticci retorici, stati-
stiche e tassi di crescita, e ci si guar-
da bene dall’avvicinarsi alla com-
plessità della vita reale. Le ragioni
delle rivolte sociali in Cile non sono
da ricercare nell’aumento del me-
trò che, come è stato scritto un po’
ovunque, non è altro che la fatidica
goccia che ha fatto traboccare il va-
so, ma nelle diseguaglianze abissa-
li di un modello economico che ha
privatizzato i diritti sociali di base e
svenduto le risorse ambientali,
umane e industriali del paese ai
grandi capitali. Santiago è una città
con 8 milioni di abitanti, il costo del-
la vita di una capitale europea e sa-
lari da fame. Il discorso storico mi
sembra alquanto fuori fuoco: mi pa-
re irrilevante sapere se i Chiacago
Boys avessero o meno tutti studiato
a Chicago. Quello che mi sembra

importante sottolineare è che le ri-
forme economiche che poterono
mettere in atto furono, per così di-
re, agevolate da torture, morti e spa-
rizioni degli oppositori operate da
Pinochet e dalle sue forze speciali.
La storia che Allende voleva fare
del Cile una nuova Cuba poi, non so
dove Alberto Mingardi l’abbia
ascoltata. Salvador Allende operò
sempre dentro a una cornice demo-
cratica, ripudiando la lotta armata
e per altro con una maggioranza
parlamentare risicata.
Andrea Freddi, PhD in Antropologia
Culturale Università di Torino
Docente della Universidad de los Lagos

Sono lieta di sapere che il vostro
giornale si interessi alle enormi ri-
volte che stiamo vivendo in Cile. La
narrazione del Cile come un Paese
pacifico, una grande economia in
crescita esponenziale, è stata la nar-
razione che negli ultimi 30 anni ha
permesso l’istallazione del sistema
contro il quale oggi ci ribelliamo.
Una settimana fa il presidente
Piñera dichiarava che il Cile era
un’oasi di stabilità, lunedì ha dichia-
rato che siamo in guerra.
Se vogliamo metterla solo sul pia-
no dei numeri, il problema è che tut-
ta la ricchezza della quale si parla
nell’articolo del signor Mingardi è
stata prodotta sulla base di un arric-
chimento che favorisce solo poche
famiglie: il 33% delle ricchezze è in
mano all’1% della popolazione. E

questo non è un problema di pianifi-
cazione, è il risultato ben riuscito
del funzionamento del modello. In
un paese dove il sistema di traspor-
to è più caro di quello di New York,
dove i farmaci sono monopolizzati
da catene farmaceutiche colluse
che mantengono alti i prezzi dei
prodotti, dove il finanziamento del
sistema sanitario favorisce il trasfe-
rimento di fondi pubblici a cliniche
private, i pensionati sono obbligati
a morire lavorando. Questo proble-
ma non è un problema di pianifica-
zione, è il problema strutturale di
una costituzione approvata sotto il
regime dittatoriale di Pinochet.
Alejandra Carreño Calderon, Dottoressa
di Ricerca in Antropologia Culturale
Università degli Studi di Siena
Ricercatrice Facultad de Medicina
Universidad de Chile

I morti di queste settimane lacera-
no il mio cuore non meno di quello
dei nostri due lettori. Ma non pos-
siamo cancellare i dati di fatto
dell’economia cilena. Nel periodo
1990-2015, il reddito pro capite
del decile più povero della popola-
zione è cresciuto del 439%, il reddi-
to pro capite del decile più ricco “so-
lo” del 208%. In Cile il reddito pro
capite è triplicato negli ultimi 40
anni e nel 2016 è il più elevato di tut-
to il Sud America (superiore di qua-
si il 50% rispetto alla media del con-
tinente). Altri indicatori danno mi-
sura del progresso economico che

ha contraddistinto quel Paese e,
purtroppo, non i suoi dirimpettai:
banalmente, il Cile ha la mortalità
infantile più bassa e l’aspettativa di
vita più alta dell’America Latina.
Come spesso accade, chi con gran-
de enfasi accusa le prospettive diver-
se dalla sua di essere “ideologiche”
farebbe bene a interrogarsi sul colo-
re delle lenti dei propri occhiali.
(Alberto Mingardi)

MAURIZIO MOLINARI


Le lettere sul post elezioni in Umbria
La prossima settimana, da martedì a venerdì, a dialoga-
re con i lettori sarà il quirinalista Ugo Magri. Il tema: le
conseguenze del voto in Umbria. Sabato sarà il direttore
Maurizio Molinari a rispondere alle lettere. Domenica,
come di consueto, spazio alla «RisPosta del cuore» di Ma-
ria Corbi.

I


eri Bruxelles doveva decidere sul rin-
vio di Brexit al 31 gennaio. Tutti d’ac-
cordo a concederlo. Tranne uno: la
Francia. Parigi vuole dare solo lo stret-
to necessario alle procedure di appro-
vazione e ratifica. Se ne riparlerà lu-
nedì o martedì. Intanto continua il conto al-
la rovescia della rovinosa – per tutti, Fran-
cia compresa - uscita senza accordo il 31 ot-
tobre. Perché Parigi s’impunta?
Immediatamente dopo aver ricevuto la
richiesta britannica, Donald Tusk, aveva
raccomandato di accoglierla. Gli avevano
fatto eco Juncker, Merkel, il Primo Mini-
stro irlandese – tutti, specie i più diretta-
mente interessati a, e colpiti da, Brexit. Ma-
cron aveva messo le mani avanti. Non può
volere Brexit senza accordo. La Francia è
fra quanti avrebbero di più da perdere dal-
le conseguenze: intasamenti mostruosi dei
porti e del traffico attraverso la Manica, do-
ve passano migliaia di autotreni al giorno.
L’agricoltura francese esporta nel Regno
Unito; ne risentirebbe. Il Presidente france-
se non è un irresponsabile.
Col Benn Act, il Parlamento britannico
ha blindato la necessità di accordo. Basta
che l’Ue approvi la richiesta di rinvio anche
all’ultim’ora. Rischi eliminati, il Presidente
francese vuole Brexit al più presto. Lo spie-
ga con la necessità di mettere Londra da-
vanti a scadenze pressanti, altrimenti nul-
la si muove. Scommette su Boris Johnson
come interlocutore oltre Manica, non di-
versamente da quanto fatto con Donald
Trump oltre Oceano. Non la pensa come lo-
ro, ma ritiene che siano inevitabili e di po-
terli giostrare, facendo di Parigi (e di sé
stesso) il perno indispensabile del nuovo
Occidente.
Per la Francia, è preferibile avere Uk fuo-

ri anziché dentro l’Ue. De Gaulle aveva ra-
gione. Emmanuel Macron è più vicino a Bo-
ris Johnson – per convenienze reciproche –
che a Angela Merkel o a Giuseppe Conte. In
un’Unione senza Londra Parigi ridiventa
l’ago della bilancia e restringe il divario
con Berlino. Diventa il solo seggio perma-
nente Ue in Consiglio di Sicurezza Onu e
l’unica potenza nucleare. E’ indispensabile
alla difesa europea, mantenendo l’opzione
di sviluppare la cooperazione militare bila-
terale con il Regno Unito. I cannoni france-
si compensano il burro tedesco.
A condizione che Londra esca veramente
dall’Ue. Un rinvio di tre mesi potrebbe ria-
prire i giochi in Uk. Boris Johnson ha chie-
sto nuove elezioni il 12 dicembre; gli servo-
no però due terzi del Parlamento. Se si vota
è favorito ma, si sa, alle urne può succedere
di tutto. I “remainers” sono in salita, ma se
spuntassero il secondo referendum e i bri-
tannici cambiassero idea su Brexit? Per Pa-
rigi più presto Brexit avviene meglio è. Un
rinvio corto fa pressione sul Parlamento bri-
tannico. E’ la mano tesa attraverso la Mani-
ca su cui faceva affidamento Boris. Risusci-
ta un’Entente Cordiale d’interessi.
Il resto dell’Ue, 26 più istituzioni, offre in
realtà una soluzione elastica. Rivio fino al
31 gennaio con facoltà di Londra di uscire
prima se Johnson riesce a portare l’accordo
Ue-Uk fuori dalle secche di Westminster.
Può darsi che la Francia finisca col dare lu-
ce verde. Ma la vera partita non è sulla data
di Brexit: è sui nuovi equilibri in Europa.
Che vanno verso una sempre più forte na-
zionalizzazione delle politiche estere, spe-
cie di quella francese. Roma deve comincia-
re a pensare a come muoversi in questo
nuovo mondo. Ci piaccia o meno. —
c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

O


ra c’è anche una fo-
to, e dunque è vero:
Di Maio, Zingaret-
ti, Speranza e Ren-
zi sono alleati. Lo
sono a Roma, come
è noto, lo sono in qualche modo
in Umbria, e per adesso fermia-
moci qui. A sigillare la nuova al-
leanza quindi, alla fine è arrivata
anche la richiestissima foto: pro-
prio come accadde a Vasto nel set-
tembre 2011, quando un fermo
immagine battezzò il neonato
patto Bersani-Vendola-Di Pietro,
che fu poi fermato nelle urne
dall'exploit grillino nelle elezioni
del 2013.
Sia come sia, ieri sul palco um-
bro - a sottolineare la solennità
dell'evento - c’era anche Giusep-
pe Conte, ma non Matteo Renzi.
È un’assenza alla quale bisogne-
rà probabilmente fare l’abitudi-
ne: Renzi, infatti, non ama “met-
tere la faccia” quando il vento è
contrario, e del resto - nonostan-
te le sue rassicurazioni - quasi
due italiani su tre si dicono con-
vinti che sarà lui, alla fine, a met-
tere in crisi il governo Conte.
Le foto, i sorrisi e le strette di
mano andate in scena ieri erano,
naturalmente, un passaggio ob-
bligato perché anche in politica
stare con un piede dentro e l’altro
fuori è assai rischioso. Si dice che
a premere per l'ufficializzazione
fotografica dell'alleanza sia stato
soprattutto Di Maio, con l’obietti-
vo di mettere il più possibile in co-
mune l'eventuale sconfitta e dare
più forza al mantra che da due
mesi recita sottovoce: il patto col

Pd affonderà i Cinquestelle.
Può essere. Ma a parte la circo-
stanza che dal 2018 ad oggi il Mo-
vimento è sempre finito sotto la li-
nea di galleggiamento in ogni ti-
po di elezione, destano qualche
perplessità sia la scelta dei tempi
per questa ufficializzazione che
la presenza sul palco del presi-
dente del Consiglio.
Infatti, risulta assai singolare
che dopo un'intera campagna
elettorale condotta nel segno del
“civismo” (per volontà di Di Ma-
io) nell’ultimo giorno utile sbar-
chino in Umbria gli stati maggio-
ri di pariti e Movimento, renden-
do evidente una palese contraddi-
zione. Così come appare inutile ri-
petere che il voto non avrà effetti
sull'esecutivo se poi si porta sul
palco il presidente del Consiglio,
coinvolgendo plasticamente il go-
verno nella contesa.
Per l’alleanza giallorossa si trat-
ta - come è noto - del battesimo
elettorale e l’aria che tira, onesta-
mente, non pare né di entusia-
smo né di ottimismo. Dopo l’Um-
bria ci saranno elezioni in Emilia
e Calabria, e il futuro possibile
del patto Pd-M5S diventerà più
chiaro. Nel partito e nel Movi-
mento, però, il clima è mogio e i
dubbi tanti. E viene da pensare
che alcune esperienze - politiche,
storiche e di governo - si concluse-
ro per l’esaurimento di quella che
fu definita la “spinta propulsiva”:
una spinta, un orizzonte e un pro-
filo che quest’alleanza non ha
mai avuto e che fatica maledetta-
mente a trovare. —
c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

G


alli e Antichi romani, tocca
adeguarsi. Non può, e non de-
ve, mancare il personaggio
femminile forte. Meglio se ri-
belle e trecciuto, nuovo acces-
sorio di girl power. Come l’a-
dolescente Adrenalina, eroina che debutta
nel mondo maschio di Asterix, una svolta ob-
bligata, secondo l’illustratore Didier Con-
rad. «Il fumetto è del 1959. Non c’erano let-
tori donna all’epoca e, se c’erano, nessuno
ne parlava. Non volevamo più una protago-
nista solo seduttiva», ha spiegato. Assicuran-
do anche che ogni riferimento alle trecce
più famose del pianeta, quelle di Greta
(Thunberg, attivista per il clima, serve ag-
giungerlo? ), sono puramente casuali.
Ogni rivoluzione ha i suoi simboli, anche
estetici, e le trecce iconiche della 16enne sve-
dese, in varie declinazioni, sono quasi uno
statement di ribellione femminile. Viste in
tempi non sospetti su Daenerys in Trono di
Spade (secondo i fan nerd aumentavano
con le battaglie vinte), anche Dior le ha man-
date in passerella, appena un mese fa, a Pari-
gi con un messaggio chiarissimo: pro Greta
e lotta ambientalista. Oltre a borraccia e a
collana di conchiglie, le trecce piacciono an-
che alle VSCO girls (il nome da una app), le

ragazze-meme che vanno molto su Tik Tok,
il social cinese dove stanno in massa i ragaz-
zini oggi (domani, chissà). Un po’ovunque
spuntano saloni specializzati in trecce e trec-
cine, a Londra Keash e The Braid Bar (le top
Kate Moss e Cara Delevingne clienti affezio-
nate), oltre alle migliaia di tutorial su Youtu-
be. Insomma, nonostante il rischio di accuse
di appropriazione culturale (nascono in Afri-
ca nel 3500 A. C.) , le trecce stanno diventan-
do globali. Una cifra estetica che riconduce
anche alla scelta di un tipo preciso di femmi-
nilità. Il Guardian sottolineava come la for-
za di Greta, che molto destabilizza il ma-
schio medio di una certa età, sta anche nel ri-
fiuto di essere sessualizzata.
Non a caso recentemente Silvio Berlusco-
ni, 83 anni, quando gli fu chiesto un com-
mento su Greta, tirò fuori una storiella mez-
za sconcia su due giovani svedesi. Il filosofo
francese Bernard Pivot, 84, l’ha accusata in
sostanza di non essere abbastanza sexy. E
via dicendo. Greta non sorride a comando e
non si veste come gli uomini vorrebbero. E
preferisce le trecce, che sono pratiche, an-
che se fanno subito Pippi Calzelunghe. Per-
sonaggio agli antipodi della classica princi-
pessa Disney del tempo che fu. –
c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

Francesco Doglio

QUELLA FOTO


SENZA RENZI


PERCHÉ SOLO MACRON


HA FRETTA


DI SANCIRE LA BREXIT


L'influenza colpisce ogni anno in Europa fino
a 50 milioni di persone e le sue conseguenze
provocano da 15 a 70 mila morti l'anno, su
un totale di decessi a livello mondiale che
oscilla tra 290 e 646 mila. Si stima inoltre
che il 30% del peso delle malattie trasmissi-
bili in Europa sia dovuto all'influenza. Non so-

lo: l'alto numero di infezioni, da lievi a mode-
rate, provocano assenze di lavoro e perdita
di produzione oltre a pesare fortemente sui
servizi sanitari e l'assistenza sociale. I nume-
ri arrivano dal Centro europeo per la preven-
zione e il controllo delle malattie (Ecdc), in oc-
casione della Settimana per la consapevolez-

za dell'influenza, campagna di comunicazio-
ne promossa dalla Regione europea dell'Or-
ganizzazione mondiale della sanità (Oms).
L'influenza - ricorda l'Ecdc - è generalmente
di lieve entità e la maggior parte delle perso-
ne guarisce rapidamente, ma certe sono ad
alto rischio di gravi complicazioni.

ASTERIX CAPITOLA


E CEDE ALLE TRECCE


DI GRETA THUNBERG


Caro Direttore,
ho letto con rammarico le parole di Beppe Gril-
lo in merito all’idea di togliere il diritto di voto
agli anziani. La motivazione è che questi ultimi
non dovrebbero decidere l’avvenire dei giovani
né incidere in un futuro che non li appartiene. I
vecchi, e uso questo termine con infinito affet-
to, da sempre sono depositari di quella saggez-
za che non si acquista su Internet, ma si trasmet-
te seguendo la scala generazionale. Molti di
quelli cui oggi si vorrebbe togliere il voto, sono
sopravvissuti agli orrori della guerra e hanno ri-
costruito il nostro Paese. Sono quelli che si sono
rimboccati le maniche e hanno tirato su le belle
città in cui viviamo, e sono pure quelli che sono
andati all’estero a sgobbare come schiavi nelle
miniere e hanno traversato l’Atlantico col pian-
to nel cuore, in cerca di una incerta fortuna. E

tutto questo, per dare un futuro migliore alle
nuove generazioni. Quelli cui si vorrebbe toglie-
re il voto, sono gli stessi che “si sono fatti la ca-
sa” con le proprie mani, spesso firmando mon-
tagne di cambiali, che si sono consumati nei
campi e nelle fabbriche, sotto padroni spietati e
con diritti sindacali spesso inesistenti. Sono gli
stessi che con i cappotti rivoltati mille volte e le
scarpe risuolate all’infinito, hanno accarezzato
i propri figli con le mani callose, sporche di gras-
so e di terra, con poche lire nelle tasche, ma con
un sorriso di speranza. Ma per qualcuno, questi
italiani ormai vecchi, non dovrebbero più vota-
re: non hanno più un domani e nemmeno una
speranza. Ormai, tutto quello che viene dal pas-
sato, appare come un disvalore. Questa è la ci-
viltà del nuovo millennio?
MICHELE MASSA

STEFANO STEFANINI


LI


LETTERE


& IDEE


Il premio Carlo Casalegno, il rico-
noscimento intitolato alla memo-
ria del vicedirettore del giornale
simbolo dei valori della Costituzio-
ne e vittima del terrorismo, che la
direzione de «La Stampa» assegna
ogni settimana al giornalista che
più si è messo in evidenza, questa
volta va al videomaker Francesco
Doglio, collaboratore della reda-
zione di Cuneo, per la webserie sul-
le Alpi. —

La Stampa
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50 milioni

Le persone colpite dall’influenza ogni anno in Europa

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RISPONDE IL DIRETTORE


L’idea di Grillo di togliere il voto agli anziani

sarebbe l’errore più grande:

sono un tassello strategico per il Paese

Caro Massa,
la civiltà di una nazione, come la cultura di ogni popolo, si misura dal rispetto che ha per la propria me-
moria. E dunque per i propri anziani che ne sono i protagonisti ed i testimoni. Rinunciare a tale patrimo-
nio di conoscenza ed esperienza significa condannarsi all’ignoranza, scegliere di essere miopi e dunque,
in ultima istanza, perdere la propria spina dorsale. Sono numerosi gli studi che testimoniano l’importan-
za degli anziani per ogni tipologia di comunità: da quelli della Fondazione Cuomo di New York sulla la-
cerazione delle famiglie afroamericane a causa della schiavitù che sradicò i giovani dai villaggi di origi-
ne popolati dagli anziani a quelli sulla Cambogia di Pol Pot dove l’ideologia della violenza più miope si
nutriva dell’esaltazione più fanatica della gioventù. Non è un caso che nei regimi dittatoriali la gioventù
sia stata spesso strumento di repressione popolare: Hitler, Stalin e Mao usavano i più giovani in divisa
per imporsi su ogni sorta di dissenso. Ipotizzare di togliere il voto agli anziani solo in quanto tali significa
dunque voler generare una ferita profonda nella società italiana, capace di innescare conflitti dagli esiti
più pericolosi. Ciò che serve è l’esatto contrario, ovvero valorizzare i testimoni del passato per trasforma-
re le loro esperienze in patrimonio collettivo. Solo chi sa custodire la propria memoria, dentro una fami-
glia o in una nazione poco importa, riesce ad affrontare le sfide del presente. Da qui la necessità di investi-
menti e politiche per identificare negli anziani una fonte di sviluppo e crescita del Paese.

PREMIO CARLO


CASALEGNO


22 LA STAMPASABATO26 OTTOBRE 2019


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