20 Venerdì 25 Ottobre 2019 Il Sole 24 Ore
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FALCHI & COLOMBE
LE TRE EREDITÀ
DI DRAGHI
ALLA LAGARDE
I
l commiato di Mario Draghi dalla Bce ha il sapore del salu-
to del comandante di un vascello che lascia il timone con
due certezze e una incognita. Le certezze riguardano la
solidità della nave e la bontà della rotta finora seguita.
L’incognita riguarda la rotta futura: se quella seguita fi-
nora si è dimostrata efficace, gli interrogativi non manca-
no sulla sua efficacia futura. Forse anche all’interno dello
stesso equipaggio della banca centrale.
Nessuno ieri si aspettava che il consiglio della Bce an-
nunziasse nuove decisioni di politica monetaria. Nondime-
no grande era l’attesa su quello che si sarebbe detto – o non
detto – sulla rotta che la Banca centrale europea ha annun-
ziato dallo scorso settembre: una accentuazione della
espansione della liquidità, che ha nei fatti interrotto il cosid-
detto processo di normalizzazione della politica monetaria
dell’Unione. Una decisione che sembra aver provocato fri-
zioni, dentro e fuori l’istituto di Francoforte.
Il consiglio della Bce ha ribadito la bontà della scelta
fatta, anche alla luce dell’evoluzione dei dati da allora a
oggi. L’incertezza continua a prendere il proscenio della
scena macroeconomica. Quindi Draghi ha avuto gioco fa-
cile nel sottolineare che l’accentuazione dell’approccio
espansivo, che ha sostituito un percorso di sua graduale
attenuazione, è stata una giusta decisione.
Il passaggio di consegne da Draghi alla nuova presidentes-
sa Christine Lagarde finisce così per essere contrassegnato da
due aspetti. Da un lato, la presidenza Draghi è coincisa dal
punto di vista macroeconomico con mareggiate staordinarie,
proprio nel senso letterale del termine. La doppia crisi recessi-
va che l’Unione europea ha subito nel periodo compreso tra
il e il ha posto la Bce di fronte a una sfida inedita:
evitare la cosidetta stag-deflazione. La stag-deflazione è un
mix congiunturale davvero tossico: famiglie, imprese e ban-
che sono intrappolate da una profonda sfiducia del futuro, che
fa innalzare l’avversione al rischio: un effetto domino macro-
economico che parte dalla caduta di con-
sumi, investimenti e crediti bancari e fini-
sce nel ristagno della produzione e dei
prezzi, con aspettative al ribasso che, au-
toalimentandosi, possono innescare una
spirale viziosa tra stop della produzione
e crollo dei prezzi. La Bce ha affrontato la
sfida provando a sbloccare la trappola
delle aspettative con un attacco a tre pun-
ti: tassi a breve nei rapporti bilaterali con
le banche in territorio negativo; acquisti
sistematici di titoli sui mercati finanziari
per spingere verso il basso anche i tassi di interesse a lunga;
annunzi vincolanti per influenzare la caduta anche dei tassi
futuri. Draghi ha rivendicato la bontà di tale rotta: l’evidenza
empirica raccolta dalla Bce racconta sempre la stessa storia:
la politica monetaria non convenzionale ha prodotto risultati
sia sul fronte dei tassi, che su quello della crescita e dei prezzi.
Non solo: anche il disegno istituzionale della Bce ha avuto
una parte importante nel determinare l’efficacia della politica
monetaria. È questo un punto ribadito più volte da Draghi: è
stata fondamentale la coerenza tra obiettivi e strumenti della
azione monetaria rispetto al disegno del mandato della Bce.
Un mandato che assegna un ruolo prioritario alla tutela della
stabilità monetaria, che diviene il pilastro a cui appoggiare
anche le altre politiche economiche, in un gioco a somma posi-
tiva per la crescita economica. Significativo è stato il richiamo
al rapporto tra politica monetaria e politica fiscale. Da un lato,
il coordinamento tra politica fiscale e monetaria è sempre pos-
sibile e benvenuto, purchè – aggiungiamo – non sia solo uno
stratagemma dei politici per catturare la politica monetaria
per i propri interessi di consenso ed elettorali. Da un altro pun-
to di vista, la capacità di una banca centrale che opera in
un’unione monetaria tra Stati diversi sarà tanto meno a rischio
quanto più si fanno passi concreti verso una politica fiscale
comune. È un chiaro messaggio alle cancellerie europee, se
hanno voglia di ascoltarlo. Tirando le somme: la nave Bce,
seguendo la rotta Draghi, ha fatto superare all’Unione le Scilla
e Cariddi della stag-deflazione.
Ma ora la domanda diventa: è questa rotta valida anche per
i prossimi mesi? Qui le posizioni nella prospettiva del dopo
Draghi saranno verosimilmente tre: i falchi, le colombe, e i
piccioni. La strategia dei falchi sarà accentuare i limiti e i rischi
della politica monetaria, se continuerà ad usare in modo siste-
matico gli strumenti non convenzionali. Limiti e rischi che già
ora si conoscono – ha chiosato Draghi – ma che almeno finora
non hanno danno problemi. Opposte saranno invece le criti-
che delle colombe, che attribuiranno l’anemia inflazionistica
a un’eccessiva timidezza dell’atteggiamento espansivo della
politica monetaria, chiedendo alla Bce di continuare l’esplora-
zione delle terre incognite degli interventi non convenzionali.
Infine ci saranno coloro che ritengono che l’attuale strategia
sia quella giusta; sono i piccioni, che amano lo status quo e
preferiscono non allontanarsene, per ragioni sia razionali che
psicologiche. Oggi i piccioni rappresentano la maggioranza
del consiglio Bce. Sarà così anche nei prossimi mesi?
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INTELLETTUALI E INDUSTRIA, L’INCONTRO MANCATO
T
ra le questioni che ci
portiamo in eredità
dallo scorso secolo
ce n’è una che pos-
siamo definire “re-
sistenza al moder-
no” e paradossalmente rimane
ancora irrisolta.
Mi è capitato di constatarlo
qualche giorno fa, ospite di un
convegno organizzato a Bolo-
gna da matematici dell’Univer-
sità Bocconi.
Scopo dell’incontro era rico-
struire il rapporto tra intellettuali
e industrie nel periodo che prepa-
rava e accompagnava il boom
economico: quel dialogo politec-
nico avvenuto sulle riviste azien-
dali, spesso affidate alla cura di
poeti e scrittori, o attraverso la
comunicazione pubblicitaria e la
gestione delle risorse umane.
Di fronte ai numerosi esempi di
integrazione fra umanesimo e in-
dustria – uso un termine che ap-
partiene al lessico di Umberto Eco
e del suo Apocalittici e integrati
() – la reazione di una parte
dell’uditorio è stata attribuire al-
l’operato di questi intellettuali
una lettura politica, ma di segno
contrario rispetto alle critiche
corrosive che buona parte dell’in-
tellighenzia italiana aveva riser-
vato al mondo degli imprenditori,
come se il lavoro in fabbrica aves-
se dato agli hommes des lettres la
patente di individui a-ideologici,
lontani dalle problematiche poste
in campo dal marxismo, e li ren-
desse dei semplici strumenti nelle
mani dei padroni (anche in questo
caso, per la scelta del termine, mi
affido al titolo di un romanzo di
Goffredo Parise, Il padrone ap-
punto, edito nel ).
La questione non è stata mai
del tutto chiarita, ma contiene un
discorso di importanza strategica.
Pur con innumerevoli contrad-
dizioni, è evidente che il diffon-
dersi dell’industrializzazione in
Italia abbia contribuito a favorire
un nuovo tipo di impegno per il
ceto degli intellettuali: non più
l’engagement che aveva contras-
segnato l’immediato secondo do-
poguerra, attribuendo coloriture
da neorealismo, ma l’adesione a
un progetto di modernizzazione
del Paese a cui essi non potevano
non partecipare, evitando così di
ricadere nell’errore di credere
nell’arcadia, di sentirsi sacerdoti
di una inossidabile “età dell’oro”.
Se il moderno recava i segni
deteriori delle periferie, dello
smog, dell’alienazione, dello
sfruttamento, del dolore, meglio
negarlo che correggerlo: è stata
questa la reazione nella stragran-
de maggioranza dei casi.
Ed è stata purtroppo la chiave
con cui leggere nei processi di in-
tegrazione in seno alla fabbrica
una lettura deformata che miras-
se a evidenziare soltanto il male
interiore della condizione intel-
lettuale, una sorta di tradimento
allo statuto di uomo libero.
Non è detto che le cose siano
andate davvero così.
Lavorare per conto di un’indu-
stria poteva essere una forma di
militanza civile, magari contro-
mano rispetto al comune sentire
dell’epoca, ma di sicuro attestava
la volontà di non restare esclusi
dalle sorti di una nazione che a
grandi passi entrava nella civiltà
delle macchine.
L’essere organici al sistema
capitalista – «integrati» come li
definiva Eco – aveva certo una
ricaduta politica, però si trattava
di una testimonianza civile tra-
sversale al vangelo dei partiti,
dove ai nomi di Volponi, Fortini,
Bigiaretti (scissi tra ascendenze
socialmarxiste e lavoro in fabbri-
ca) si affiancavano quelli di cat-
tolici come Pampaloni (che
Adriano Olivetti chiamò alla vi-
cepresidenza della sua azienda)
o di non dichiarata appartenenza
come Sinisgalli.
Il problema nasce nel consta-
tare ora il processo di sclerotizza-
zione di questo discorso, quando
cioè si continuano a osservare i
fenomeni relativi a quegli anni
con occhi ancora novecenteschi,
come se non fossimo da tempo
approdati nell’epoca post-ideo-
logica e il Muro di Berlino non
fosse caduto trent’anni fa. Il peri-
colo non si misura nel puro giudi-
zio di valore circa l’operato degli
intellettuali che lavorarono al
servizio dell’industria, ma ri-
guarda il destino di una letteratu-
ra che quasi sempre aveva reagito
con scetticismo, per non dire con
avversione, al processo di indu-
strializzazione nel nostro Paese,
di Giuseppe Lupo
L’EQUILIBRIO DIFFICILE TRA TUTELA
DEL PATRIMONIO E TURISMO DI MASSA
A
Roma sono scoppiate
polemiche e azioni
legali per il progetto
di aprire un McDo-
nald’s vicino alle Ter-
me di Caracalla (co-
struite nel III secolo dopo Cristo). Il
colosso americano del fast food
vuole convertire un edificio esi-
stente in una struttura con po-
sti a sedere, parcheggio per
macchine e un McDrive. Nel luglio
del il soprintendente di Roma,
dopo aver chiesto al Comune se
l’area fosse protetta, aveva dato il
via libera al progetto, ma dopo una
grande polemica sui media, un alto
funzionario del Mibact (il ministero
per i Beni e le attività culturali e per
il turismo) ha ordinato lo stop dei
lavori, sostenendo che l’area era
protetta. Ora la sospensione dispo-
sta dal Mibact è oggetto di ricorsi e
la procura ha aperto un’indagine
sulla procedura amministrativa.
La nascita di un McDonald’s di
queste dimensioni accanto a un sito
storico e in una città patrimonio
mondiale dell’Unesco sarebbe uno
choc per molti. I detrattori mettono
l’accento su una tendenza più gene-
rale che ha visto l’apertura di fast
food nei centri storici, perfino vicino
al Pantheon. Inoltre, i problemi dei
danni ai siti storici prodotti dal traf-
fico automobilistico sono ben noti.
La questione, però, non è così
semplice e solleva interrogativi più
generali sul patrimonio culturale e
lo sviluppo economico. Il primo di
questi interrogativi è come conci-
liare la protezione dei siti storici e il
turismo. Nuovi edifici possono ri-
sultare fuori posto, e il traffico pro-
duce danni. Ma il patrimonio cultu-
rale viene preservato per farlo ap-
prezzare alla gente, e i visitatori
hanno bisogno di mangiare e di be-
re, oltre che di visitare i siti; se tutti
i servizi sono lontani dai centri sto-
rici, si rischia di creare «città-mu-
seo» prive di vita e capacità di so-
stentamento economico.
Sorgono quindi interrogativi
complessi sulla conversione di edi-
fici esistenti, la costruzione di nuo-
vi edifici e la fornitura di servizi di
trasporto per i visitatori. Le resi-
denze di campagna inglesi nor-
malmente trasformano i quartieri
della servitù in sale da tè, ma non è
un’opzione percorribile per le ter-
me romane... E poi c’è il problema
di quanto debba essere ampia
l’area di tutela intorno a un sito: un
perimetro protettivo per gli edifici
intorno a «monumenti storici»
(metodo usato per esempio in
Francia) può contribuire alla loro
visibilità, ma significa anche im-
porre restrizioni in ampi settori
delle città. Quanto alle automobili,
per poterne vietare l’uso servireb-
bero grandi investimenti nei tra-
sporti pubblici e parcheggi enormi
lontano dal centro.
E poi, ci sarebbe stata la stessa
polemica se invece di un fast food
si fosse trattato di un ristorante
tradizionale italiano? Il concetto
di patrimonio culturale va ben al
di là degli edifici e include cibo,
bevande e usanze. Piatti realizzati
usando tecniche e ricette tradizio-
nali sono un elemento fondamen-
tale del patrimonio culturale ita-
liano, al pari degli edifici. Ma la
maggior parte della cucina tradi-
zionale è relativamente recente e
non risale al III secolo.
Conciliare o bilanciare la tutela
del patrimonio culturale e lo svi-
luppo economico è una questione
fortemente politica, quindi a chi
spetta prendere decisioni difficili?
I politici eletti hanno una legitti-
mazione democratica e quelli lo-
cali devono rispondere alle perso-
ne più direttamente interessate
dal turismo. Ma mancano di com-
petenza e devono fare i conti con
le pressioni elettorali immediate
legate all’autorizzazione di pro-
getti edilizi che offrono benefici
economici, ma rischiano di dan-
neggiare la preservazione del sito
nel lungo periodo. Devono fare i
conti anche con un quadro giuri-
di Mark Thatcher
L’AVVERSIONE
NEI CONFRONTI
DELLA FABBRICA
È LA SPIA
DI UNA CULTURA
ANTIMODERNA
favorendo l’atteggiamento di una
chiusura tanto incomprensibile
quanto pregiudiziale.
Domandiamoci quali siano
stati i miti dell’intellettualismo
in auge negli anni Cinquanta e
Sessanta. E domandiamoci an-
che cosa ne sia rimasto alla luce
di una trasformazione antropo-
logica che era sotto gli occhi di
tutti e che veniva erroneamente
scambiata per una deriva della
società di massa. Molto proba-
bilmente su questo aspetto si è
giocato gran parte della credibi-
lità e dell’onestà della classe de-
gli intellettuali e il fatto che an-
cora oggi, com’è accaduto du-
rante il convegno di Bologna, si
continui a provare avversione
nei confronti della fabbrica può
essere il segno di una cultura
che ha mal digerito i processi di
rinnovamento.
Solo quando avremo accanto-
nato le ambiguità di un Novecen-
to prigioniero di schemi duali po-
tremo guardare allo scorso seco-
lo con occhi autonomi rispetto a
quelle strutture del pensiero che
cinquant’anni fa hanno impedito
alla nazione di maturare una co-
scienza del moderno e riguada-
gnare forse il terreno perduto ri-
spetto agli altri Paesi occidentali,
affrontare con un metodo scevro
da pregiudizi la sfida di un’indu-
stria che reimposta le proprie
rotte su princìpi come per esem-
pio la green economy, più adegua-
ti al presente.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
dico molto complesso: i dibattiti
sulle Terme di Caracalla possono
dipendere da un vincolo degli anni
e da un decreto del presidente
della Repubblica del . In Italia
esistono strati e strati di tutele (lo-
cali, nazionali, paesaggistiche,
vincoli dei beni culturali, vincoli
urbanistici). I tecnici non eletti
hanno esperienza e conoscenza
della legge, ma non sono adegua-
tamente attrezzati per fronteggia-
re le critiche e l’esame dell’opinio-
ne pubblica. Lo status di patrimo-
nio mondiale dell’Unesco è un
marchio di rilevanza importante,
ma lascia l’attuazione delle misure
di tutela alle autorità locali, limi-
tandosi a monitorarla.
La protezione del patrimonio
culturale gioca un ruolo centrale
nel futuro dell’Italia. Il turismo è
un’industria in crescita e rappre-
senta più del % del Pil, senza
contare i proventi di cose come ci-
bo e vino, arte e moda. Ma una vol-
ta distrutto, il patrimonio cultura-
le è difficile, se non impossibile, da
ricostituire. Inoltre, è collegato al-
l’identità nazionale, locale e per-
sonale. Conciliare o combinare la
preservazione del patrimonio cul-
turale e lo sviluppo economico è
un compito realmente delicato.
(Traduzione di Fabio Galimberti)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
I POLITICI ELETTI
NON HANNO
LE COMPETENZE,
MENTRE I TECNICI
SONO PRIVI
DI UN MANDATO
L’autore.
Mark Thatcher
è un professore
ordinario
del dipartimento
di Scienze
politiche della
Luiss Guido Carli.
Tra i suoi corsi
c’è “The politics
of cultural heritage
in Europe”