La Stampa - 23.10.2019

(nextflipdebug5) #1
PAOLO MASTROLILLI
INVIATO A SANTIAGO DEL CILE

S


e uno sta a sentire l’in-
fermiera Gisley Asen-
cio, mentre sbatte il
suo cucchiaio sulla
pentola per il cacerolazo da-
vanti ai carabineros che pro-
teggono il palazzo presiden-
ziale della Moneda, le ragioni
profonde della protesta che
ha incendiato il Cile sono chia-
re: «Quando hai un problema
di salute, andando in una clini-
ca privata lo risolvi in un gior-
no, mentre nel mio ospedale
pubblico ci vogliono sei mesi».
Se invece ascolti il presidente
Piñera, le manifestazioni sono
una guerra per procura scate-
nata dalle infiltrazioni di vene-
zuelani e cubani, che vogliono
rovesciare il modello liberale
di maggior successo in Ameri-
ca Latina. Nel mezzo, probabil-
mente, siede la verità.
È passato da poco mezzo-
giorno, quando l’Avenida Li-
bertador Bernardo O’Higgins
comincia a riempirsi di mani-
festanti, che marciano verso
la Plaza Italia. Secondo i dati
del governo, 15 persone sono
morte nelle proteste scatena-
te dall’aumento del 4% del
prezzo dei trasporti pubblici:
11 ustionate negli incendi di
supermercati e negozi, 2 ucci-
se dai proiettili, e 2 vittime di
incidenti stradali. I detenuti
sono oltre 2.600, e due donne
hanno denunciato violenze
sessuali nei commissariati. Il
generale Javier Iturriaga, ca-
po della sicurezza nazionale,
ha ammesso l’esistenza di vi-
deo che provano abusi della
polizia e ha promesso di inve-
stigare: «Non nasconderemo
nulla». Eppure Fernanda, una
ragazza che si definisce stu-
dentessa disoccupata, è venu-
ta lo stesso alla manifestazio-
ne di oggi con la figlia di 11
anni: «Protestiamo per la di-
suguaglianza, il sistema sani-
tario pubblico che non funzio-
na, le pensioni basse, i servizi

inesistenti», dice Fernanda,
«e la mia scuola che non ha i
soldi per farmi studiare be-
ne», aggiunge la ragazzina, al-
zando orgogliosa un cartello
con su scritto: «Non siamo in
guerra, siamo uniti». Chiedo
alla madre se non è pericolo-
so sfilare davanti ai blindati
dell’esercito con una bambi-
na, e lei non esita un secondo:

«Certo. Però noi siamo dispe-
rati, e quando sei disperato
devi essere pronto a tutto».

File ai supermercati
La metropolitana ha ripreso a
funzionare, ma nella stazione
Republica i segni della batta-
glia del fine settimana sono
ancora evidenti: vetri rotti nel-
la cabina del bigliettaio, scale

annerite dai fumogeni. I cara-
bineros presidiano l’ingresso,
e anche per entrare nel super-
mercato lì vicino bisogna fare
una fila di mezzora, passando
per l’ispezione dei militari.
Oggi però la protesta è in pre-
valenza pacifica, a parte una
barricata incendiata vicino
Plaza Ñuñoa. Gisley condan-
na le violenze, ma dice che al-

zare la voce è diventata una
necessità: «Siamo scesi in
piazza perché ce lo ha chiesto
il sindacato, mica per chissà
quale complotto. Il governo
deve prendere un’iniziativa
nazionale per rimediare alle
disuguaglianze, altrimenti la
rabbia non finirà».
Nelle stesse ore Piñera ha in-
vitato alla Moneda i partiti di

maggioranza e opposizione,
per discutere «un nuovo con-
tratto sociale». I socialisti e Re-
volucion Democratica hanno
rifiutato di partecipare, ma
Partido Radical e PPD sono an-
dati. Parlando alla nazione il
presidente ha fatto retromar-
cia, rispetto a quando domeni-
ca sera aveva detto di conside-
rarsi in guerra: «Se a volte ho

parlato con durezza, è perché
mi indigna vedere i danni e il
dolore causati dalla violen-
za». Probabilmente quando
aveva denunciato la guerra
non si riferiva e Fernanda e Gi-
sley, ma al sospetto che i mili-
tanti più estremisti fossero in
realtà infiltrati e manipolati
dal Venezuela e da Cuba. Ieri
infatti Maduro ha attaccato

Piñera, che lo ha criticato in
ogni occasione, e ospita diver-
se migliaia di rifugiati scappa-
ti dal Caracas.

Diseguaglianze e rabbia
Patricio Navia, professore di
Scienze politiche alla New
York University e alla Universi-
dad Diego Portales, interpreta
così la crisi: «Essendo l’econo-

mia più sviluppata e la demo-
crazia più stabile in America
Latina, il Cile era l’ultimo Pae-
se in cui gli osservatori si aspet-
tavano di vedere rivolte e sac-
cheggi. Perciò le proteste sono
state una sorpresa, anche per i
cileni. La loro spiegazione, pe-
rò, avrà importanti conse-
guenze per capire cosa sta suc-
cedendo in tutto il continente,
dove la fine del boom nelle
esportazioni delle materie pri-
me sta creando un forte risenti-
mento contro tutti i governan-
ti». Secondo Navia, «la vera ra-
gione della rabbia sta nella fru-
strazione della gente a cui era
stata prospettata la terra pro-
messa dell’accesso alla classe
media, ma ora se la vede nega-
ta da un governo insensibile e
incapace di garantire pari op-
portunità. La cattiva notizia è
che il popolo è arrabbiato;
quella buona è che il Cile è in
condizione di adottare rifor-
me inclusive che promuovano
la giustizia sociale, difenden-
do allo stesso tempo l’econo-
mia di mercato».
Navia non esclude che qual-
che potenza straniera stia cer-
cando di destabilizzare il Pae-
se: «Mentre venerdì facevo le
cinque miglia a piedi per torna-
re a casa, dopo il blocco dei tra-
sporti pubblici, ho incontrato
molti venezuelani, facilmente
riconoscibili dal loro accento.
Ci sono buone ragioni per cre-
dere che il governo autoritario
del Venezuela voglia che i cile-
ni si ribellino contro Piñera».
Ma secondo il professore che vi-
ve a cavallo tra Santiago e New
York, ciò non basta come scu-
sa: «Il presidente è stato lento a
rispondere». E poi ci sono pro-
blemi di fondo, che ricordano
proprio i difetti del Venezuela
prima di Chavez: «Il Cile è la de-
mocrazia di maggior successo
in America Latina, ma ha tre
problemi: troppa dipendenza
dall’estrazione del rame, alti li-
velli di disuguaglianza sociale,
e un sistema politico corrotto.
Ora poi soffre anche per gli ef-
fetti della guerra dei dazi volu-
ta da Trump». Ma mentre il co-
prifuoco torna in vigore, Navia
accende anche la speranza che
nel destino del Paese non ci sia
per forza un nuovo Chavez:
«Dal 1990 a oggi il tasso della
povertà è sceso dal 40 al 10%;
la classe media è più ampia di
tutta la nostra storia; e anche
se la disuguaglianza è la più al-
ta tra i paesi dell’Ocse, è la più
bassa di sempre in Cile. Abbia-
mo i mezzi per uscire da questa
crisi ancora più forti, se la clas-
se dirigente lo capirà». —
c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

EMILIANO GUANELLA
SAN PAOLO

A


veva bisogno di vince-
re Evo Morales, ma si
è costruito una vitto-
ria talmente a sua mi-
sura che oggi mezza Bolivia e
parte della comunità interna-
zionale parla senza mezzi ter-
mini di un gigantesco broglio
elettorale. Nella notte di lune-
dì, 20 ore dopo il primo bolletti-
no ufficiale che dava come pra-
ticamente certa la necessità di
un secondo turno di ballottag-
gio con lo sfidante Carlos Mesa,
il tribunale elettorale ha spiaz-
zato tutti pubblicando un nuo-
vo computo che regalava per
poche migliaia di voti il trionfo
al presidente in carica.
La legge elettorale in Bolivia
stabilisce che se nessuno arriva
al 50% dei suffragi un candida-
to può vincere superando il
45% dei voti con dieci punti di
distacco dal suo avversario. Do-

menica sera, con il 83% dei seg-
gi scrutinati, il parziale era di
45% a 38% per Morales; il gior-
no dopo quest’ultimo è appar-
so con il 46.85% contro il
36.74% di Mesa. Per appena 5
mila voti su un totale di poco
più di 6 milioni è scattata la fati-
dica soglia dei dieci punti e Mo-
rales si è proclamato vincitore
davanti alla folla dei suoi soste-
nitori nel Palacio Quemado di
La Paz. «Abbiamo vinto anco-
ra una volta, la nostra impresa
è straordinaria. Quattro elezio-
ni di fila, vince tutto il popolo
boliviano». La spiegazione da-
ta dal governo è che gli ultimi
voti ad arrivare sono quelli del-
le zone rurali più isolate dove
Morales è tradizionalmente
più forte. Un grande appog-
gio, inoltre, sarebbe giunto dai
voti dei boliviani all’estero, in
particolare nella vicina Argen-
tina, dove lo scarto su Mesa è
stato di oltre 70 mila voti.
Ma nessuna matematica
può spiegare il mistero di uno
spoglio che si è arenato per co-
sì tanto tempo: la corte ha im-
piegato una giornata per pro-
cessare mezzo milione di voti,
quando a seggi chiusi ne erano
stati conteggiati dieci volte tan-
ti in meno di tre ore. Carlos Me-
sa, che aveva avvisato alla vigi-
lia sulla possibilità di brogli,
ha chiamato i suoi alla disobbe-
dienza civica e in diverse parti
del Paese la gente è scesa in
piazza a protestare. A Sucre e
Potosì la folla ha preso di mira
le sedi della giustizia elettora-

le, che sono state incendiate. A
La Paz, Cochabamba e altre cit-
tà ci sono stati scontri tra oppo-
sti schieramenti. Gli osservato-
ri della Oea (Organizzazione
degli stati americani), invitati
dallo stesso Morales per con-
trollare il voto, hanno espresso
seri dubbi su tutto il processo;
sulla stessa linea anche Ue, Sta-
ti Uniti, Brasile ed Argentina.
Che il tribunale elettorale
sia allineato al governo lo si
era capito, del resto, quando
ha autorizzato la stessa candi-
datura di Morales. Il presiden-
te, in carica dal 2006, non
avrebbe neanche potuto parte-
cipare, visto che la Costituzio-
ne vieta un terzo mandato. Nel

2016 i boliviani bocciarono in
un referendum una modifica al-
la Carta Magna per togliere que-
sta clausola, ma la Corte Costi-
tuzionale stravolse tutto dichia-
rando che non si poteva negare
a un cittadino il «diritto uma-
no» di candidarsi tutte le volte
che vuole. Con tutte le regole
saltate e forte di un apparato
politico consolidato da 13 an-
ni di potere Morales ha costrui-
to questa vittoria, ma ora si tro-
va con un Paese spaccato in
due. Sebbene l’economia boli-
viana cresca da un decennio,
nei ceti medi e in parte del sin-
dacalismo indigeno la sua figu-
ra comincia a essere indigesta.
Tra quest’ultimi c’è chi non
mette in discussione il model-
lo di Stato socialista ibrido, as-
sistenzialista ma aperto al mer-
cato e agli investimenti stranie-
ri, ma che a comandarlo sia
sempre la stessa persona.
Nella provincia di Santa
Cruz, bastione dell’opposizio-
ne, è stato lanciato uno sciope-
ro civico a oltranza e già ieri si
iniziavano a vedere posti di
blocco sulle principali auto-
strade. Dopo il Perù, l’Ecuador
e il Cile, la Bolivia si aggiunge
alla lista dei Paesi sudamerica-
ni in subbuglio, con parte della
popolazione infuriata contro
il governo. Evo ha vinto a suo
modo la battaglia, ma non sa-
rà facile per lui governare. —
c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

Quinto giorno di proteste di massa, il bilancio dei morti sale a 15. Il presidente Piñera accusa Maduro: rivolta orchestrata dal Venezuela

Tra i manifestanti che sfidano i militari


“In Cile siamo disperati e pronti a tutto”


SUDAMERICA


IL CASO


Il presidente ha già
forzato la Costituzione
che vieta un terzo
mandato: lui è al quarto

SDDSDFDFDF


36,7%


I voti per Carlos Mesa
ex presidente
e principale
sfidante

46,8%


Il risultato ottenuto
da Evo Morales
presidente
dal 2006

Un manifestante dà fuoco alla scheda elettorale a La Paz

SEBASTIAN PIÑERA


PRESIDENTE


DEL CILE


ALBERTO MINGARDI


Q


uando si parla dei
“Chicago Boys” in
Cile, i più pensano
a un complotto
“neoliberista” ordito dal ge-
nerale Pinochet. In realtà la
storia è andata un po' diver-
samente. Nel 1956 l’ Univer-
sità cattolica del Cile e il di-
partimento di economia
dell’Università di Chicago

si accordano su un program-
ma di scambi culturali. Il pi-
vot di queste attività diven-
ta, nel corso del tempo, Al
Harberger, uno studioso
che avrebbe probabilmen-
te ottenuto il Nobel non fos-
se stato per la “connection”
cilena. Milton Friedman,
che il Nobel lo vinse nel
1976, visitò il Paese nel
1975 e nel 1982, e la cosa
gli valse forti contestazioni
nonostante, già nel 1975,
avesse tenuto una conferen-

za significativamente intito-
lata “La fragilità della liber-
tà”, più che una puntura di
spillo al regime.
Prima di cedere alla tesi
del complotto, è opportu-
no ricordare alcuni fatti.
Gli economisti cileni che
conseguirono un dottora-
to a Chicago, prima del
1973, furono soltanto sei.
Il ministro che riformò il
sistema pensionistico, Jo-
sé Pinera, si era addottora-
to a Harvard, Hernán Bu-

chi, ministro delle finan-
ze dal 1985, alla Colum-
bia. E’ difficile pensare a
una sorta di invasione dal
lago Michigan. E’ più pro-
babile invece che molti
economisti avrebbero
adottato una terapia non
troppo diversa da quella
dei “Chicago Boys”.
Eletto nel 1970 col 36%
dei consensi, Salvador Allen-
de in tre anni nazionalizzò
l’industria del rame, realiz-
zò un’ampia riforma agraria

con vasti espropri, sviluppò
un controllo pressoché tota-
le dello Stato sull’economia.
Sotto di lui, il governo dispo-
neva dell’85% del settore fi-
nanziario e la Corporación
de Fomento de la Produc-
ción, una specie di Iri cilena,
che nel 1970 possedeva 46
imprese e zero banche, arri-
vò a controllare 488 azien-
de e 19 istituti di credito so-
lo tre anni dopo. Tutti i prez-
zi dei servizi di pubblica utili-
tà e i prezzi di circa 3000 be-

ni di consumo erano diretta-
mente stabiliti dall’autorità
politica. Si parlava di “via ci-
lena al socialismo”.
Il colpo di Stato militare
ha una storia incomprensi-
bile se non si ricordano le vi-
cende della guerra fredda e
fu una reazione al tentati-
vo, dichiarato, di Allende di
fare del Cile una nuova Cu-
ba. Coi militari, arriva una
repressione feroce, con un
conto salato e inaccettabile
in termini di vite umane e li-

bertà civili. I generali di eco-
nomia sanno poco o nulla
ma hanno la furbizia di
coinvolgere chi aveva ricet-
te alternative all’esecutivo
precedente, sotto il quale
l'inflazione aveva raggiun-
to il 600%. Ne viene fuori
un piano di riforme, noto
all’epoca come “El ladril-
lo”, il mattone, per le di-
mensioni. Gli obiettivi prin-
cipali erano la stabilizzazio-
ne della moneta, l’apertura
delle frontiere al commer-
cio internazionale, la libera-
lizzazione dei prezzi.
Nel 1982, una forte reces-
sione fa vacillare il processo
di riforma, cambiano cin-
que ministri delle finanze in
soli tre anni (l’Economist ti-
tola: “Pinochet rimanda a

scuola la scuola di Chica-
go”), fino a quando ad assu-
mere la carica è Hernán Bu-
chi. Nel 1988 il PIL cresce al
7,3%, la disoccupazione
scende a meno del 10% e, co-
me previsto dalla Costituzio-
ne del 1980, si tiene un refe-
rendum nel quale il 55% dei
cileni vota contro la prosecu-
zione della presidenza di Pi-
nochet per altri otto anni.
Nel 1990, il Generale cede il
passo a Patricio Aylwin, elet-
to democraticamente.
Fra il 1985 e il 1997, il
PIL cresce in media del
7,1%. Il reddito pro capite
è quadruplicato dal 1975
ed è tutt'oggi il più alto
dell'America meridionale.
Gli indicatori di disegua-
glianza sono in calo (l’indi-

ce di Gini passa da 55.5 nel
1998 a 46.6 nel 2017). Con
l’eccezione del secondo
mandato di Michelle Bache-
let, le riforme economiche
degli anni Ottanta non so-
no mai state in discussione.
Può un ritocco al prezzo
del biglietto della metropoli-
tana di Santiago all’ora di
punta mettere in discussio-
ne questi successi, presso-
ché unici nel continente lati-
noamericano? Per parados-
so le tariffe sono determina-
te da un Panel de Expertos
del Transporte Público, sul-
la base di una formula con
variabili ben definite. Un ca-
so di buona o cattiva pianifi-
cazione, più che di mercato
“neoliberista”. —
c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

SUDAMERICA


Il giallo del black out di 20 ore nel conteggio. Ue e Usa: date spiegazioni


Assalto ai palazzi del potere, in fiamme la sede del Tribunale elettorale


La Bolivia in rivolta


per l’elezione di Morales


“Ha truccato i risultati”


REPORTAGE


Ho sbagliato
a parlare di guerra,
ma mi indigna vedere
i danni e il dolore
causati dalle violenze


  1. Un manifestante arrestato in strada nella città di Concepcion,
    a Sud di Santiago. Gli organismi per i diritti umani hanno denun-
    ciato l’uso eccessivo della forza da parte dell’esercito. Un soldato
    è stato arrestato dopo aver ucciso un giovane. I femrati sono ol-
    tre 2600. Le organizzazioni sindacali hanno indetto due giorni
    di sciopero generale 2. Una giovane si copre la bocca dopo il lan-
    cio di lacrimogeni nella capitale 3. Un soldato cammina all’inter-
    no di un supermercato saccheggiato durante le proteste


2


1


3


Gli aumenti al prezzo della metro creano una crepa nei successi dell’economia più avanzata del Sudamerica

La miccia della protesta sono gli errori di pianificazione


ANALISI


MERCOLEDÌ 23 OTTOBRE 2019 LASTAMPA 9


PRIMO PIANO


R

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