la Repubblica - 22.10.2019

(Brent) #1
di Tommaso Ciriaco

Roma — In volo sull’Atlantico era an-
dato tutto benissimo. Erano gli ulti-
mi giorni di settembre e Giuseppe
Conte aveva dato un “passaggio” a
Luigi Di Maio, destinazione New
York. Si erano parlati per ore, aveva-
no scherzato sulla loro ultima lite
«da matti», quella attorno alla tassa
sulle merendine. «Ci siamo ritrova-
ti», confidò l’avvocato nella hall
dell’hotel Intercontinental, «anche
se voi giornalisti raccontate che
non ci parliamo». Da allora, però, il
nulla. Il gelo dopo quella luna di
miele all’assemblea generale delle
Nazioni Unite. Troppi sms risentiti,
oppure telefonate di fuoco per an-
nunciare una dichiarazione ostile
sul blog. Fino a ieri mattina, rinchiu-
si loro due nell’ufficio del capo del
governo a Palazzo Chigi. «Davvero
dobbiamo comunicare attraverso
un lancio d’agenzia? Davvero devo
leggere sul blog del Movimento at-
tacchi di quel tipo al presidente del
Consiglio?».
È un pendolo, questo amore sem-
pre più litigioso tra il premier e il
suo ministro. Una piramide fatta di
grandi battaglie comuni e di sgam-
betti. Di Maio che nel 2018 pesca
Conte dal mazzo e lo proietta fino al-
le stelle. L’avvocato che cresce, da
notaio fino a premier politico che
ghigliottina Salvini al Senato e ga-
rantisce un patto storico tra Pd e
Movimento. Di Maio che non cede
alla Lega, nonostante gli prometta
la luna, cioè Palazzo Chigi. Conte
sempre più autonomo, per “l’amico
Luigi” anche un po’ ingrato. Tutto fi-
nisce in una battaglia mediatica
che risucchia il fair play e sfocia nel
risentimento. «Finalmente - lo salu-
ta Conte - riusciamo a parlarci attor-
no a un tavolo e non sui giornali».
Se c’è una cosa che il premier non

tollera, in questa sfida sulla mano-
vra, è dover fare i conti con chi si è ri-
mangiato la parola data. «Io sono ra-
gionevole. Sempre disposto alla me-
diazione - dice al capo cinquestelle -
Ma non posso mediare se vi oppone-
te dopo aver approvato un provvedi-
mento. E i vostri avevano dato il via
libera al testo!». Il merito, in realtà,
conta fino a un certo punto. Una so-
luzione tecnica si può trovare. Il no-
do è soprattutto il fuoco amico spa-
rato sui media, così almeno lo vive
Conte. Accordarsi con una stretta
di mano e ritrovarsi un’altra versio-
ne la mattina seguente.
Le colpe non stanno mai da una
parte soltanto, ovviamente. E poi
Conte sa bene che Di Maio prova a
tenere assieme due lavori impossi-
bili da conciliare, o quasi: la guida
della Farnesina e quella del Movi-
mento. Perché quando a Roma si
tratta sulla manovra, il capo 5S de-
ve fare le capriole per il fuso orario
di Washington. Quando si decide la
linea sui migranti, è bloccato in un
vertice fiume in Lussemburgo. Si do-
manda sottovoce, l’avvocato, se sia
stata davvero giusta la scelta degli
Esteri, un ministero complesso che
ruba energie e tiene lontani dai pa-
lazzi romani. Ma ormai è tardi, la
musica suona e bisogna ballare.
Adesso è il tempo di ricucire con
Di Maio. Conte conosce i rischi delle
prossime settimane, incontra a Chi-
gi pure Enrico Letta, uno che sa be-
ne cosa significhi trattare con Mat-
teo Renzi. Teme che l’onda lunga
del centrodestra in Umbria colpi-
sca duramente l’esecutivo. Per que-
sto, chiede al 5S «unità». E «credibi-
lità», che significa liberarsi della rin-
corsa al leader di Rignano. «Parlia-
moci, smettiamola con il fuoco ami-
co. Altrimenti non andiamo lonta-
no».
Che la tregua duri davvero, però,
è tutta un’altra storia.

di Annalisa Cuzzocrea

Roma — Quando, di buon mattino,
Luigi Di Maio entra a Palazzo Chigi
per un caffè col presidente del Con-
siglio, è già convinto di aver avuto la
meglio. Le tre «condizioni impre-
scindibili» che ha messo nero su
bianco sul blog per fare la voce gros-
sa, e dare l’impressione di essere de-
terminante per l’approvazione della
manovra, sono particolari che — a
detta di chi ha lavorato ai testi —
avrebbero richiesto una telefonata
di dieci minuti, se davvero l’intenzio-
ne fosse stata quella di cercare un ac-
cordo. E infatti ieri notte gli unici a
resistere sul carcere per i grandi eva-
sori erano i renziani di Italia Viva. E
il compromesso su partite Iva e mul-
te ai commercianti senza pos è stato
complicato dal ruolo del Pd, non del
premier. Tanto che nel pomeriggio
è stato necessario un altro faccia a
faccia: quello tra Di Maio e il capo de-
legazione dem Dario Franceschini.
Non era quello, però, il merito della
questione. Perché in ballo tra il pre-
sidente del Consiglio e il ministro de-
gli Esteri c’è molto di più: la leader-
ship del Movimento, la presa sui
gruppi parlamentari. Il futuro, in ca-
so tutto crolli ancora una volta, per
le intemperanze di Matteo Renzi o
per le spallate del centrodestra (la
possibilità di una sconfitta in Um-
bria agita le notti di Di Maio, che pas-
serà nella regione l’intera settimana
e che aveva chiesto a Conte un impe-
gno molto maggiore di quello profu-
so, stanco di essere l’unico a dover
mettere la faccia sulle difficoltà).
Così, il leader M5S non dà al presi-
dente del Consiglio le spiegazioni
che pretende. Finge di non aver vo-
luto alimentare la tensione, nei tre
giorni in cui ha fatto tremare il go-
verno. Ma avverte: credere che il Pd
sia il partito quieto e responsabile di-

pinto da Conte può essere un erro-
re. Chiede al premier più confronto,
più dialogo. In una parola: più consi-
derazione. Mentre dal canto suo il
capo dell’esecutivo vuole garanzie
su Renzi: che il Movimento non gli
faccia da sponda. Che lo aiuti — piut-
tosto — a fermare quelli che defini-
sce i «colpi di testa» del senatore di
Firenze.
Dietro la tregua di facciata che ne
vien fuori, si è però depositata la pol-
vere della battaglia. Quella che negli
ultimi tre giorni ha visto i due prota-
gonisti cercare di annientarsi l’un
l’altro. Perché mentre Di Maio cerca-
va l’appoggio dei suoi parlamentari,
vedendo molti rispondere semplice-
mente «no» alle richieste dello spin
doctor Pietro Dettori («uscite in so-
stegno di Luigi»), il presidente del
Consiglio faceva sapere di aver rice-
vuto molti messaggi di deputati e se-
natori M5S pronti a sostenerlo. Met-
tendo in dubbio che in una guerra di
numeri, il ministro degli Esteri pos-
sa avere la certezza di vincere. Nelle
chat, agguerrite come non mai, il de-
putato fichiano Luigi Gallo dice:
«Forse ci serve un esorcismo». E
qualcuno azzarda: «Finirà che la
scissione la faranno i fedelissimi di
Luigi: in minoranza stanno finendo
loro». Contarsi non è semplice: la
dissidenza percorre mille rivoli e
stenta a trovare punti in comune.
Ma già stasera alla Camera ci sarà
una riunione che cercherà di trova-
re una soluzione alla questione inso-
luta del capogruppo. Nessuno ha
avuto una maggioranza adeguata
ed è probabile che spuntino nuovi
nomi: come quello di Davide Crip-
pa, ex sottosegretario al Mise, non ri-
confermato proprio da Di Maio.
Neanche a dirlo, furibondo con il ca-
po politico e con le scelte degli ulti-
mi mesi. Si candiderà per cercare di
saldare lo scontento. Per come van-
no le cose, potrebbe riuscirci.

Conte


L’ultima richiesta


all’ex sponsor:


basta fuoco amico


Di Maio


All’attacco per paura


di vedersi strappare


la guida del M5S


Primo piano Piccoli armistizi


ANGELO CARCONI/ANSA

Per il
presidente
del Consiglio
la scelta di
Di Maio del
ministero
degli Esteri
lo tiene
lontano e
complica le
cose. E ora
teme nuovi
scossoni se il
centrodestra
dovesse
vincere in
Umbria

Il capo
politico non
dà le
spiegazioni
chieste dal
premier
ma avverte:
credere che
il Pd sia un
partito
quieto e
responsabile
è un errore
E intanto
prova a
contenere i
dissidenti

. Martedì,^22 ottobre^2019 pagina^3

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