DOMENICA6OTTOBRE2019 CORRIEREDELLASERA LALETTURA 19
MASSIMILIANOVALERII
Lanottediun’epoca.
Controlasocietàdel
rancore:idatipercapirla
eleideepercurarla
PONTEALLEGRAZIE
Pagine245, e 16
L’autore
Direttoregenerale
delCensis,ilcentrostudi
fondatonel1964da
GiuseppeDeRita,
MassimilianoValeriicura
l’annualeRapportosulla
situazionesocialedelnostro
Paese,dalqualeèemersa,
nellacinquantunesima
edizionedel2017,
ladefinizionedi«società
delrancore»
Ilfilosofo
Pensatoremarxista,ma
animatodaunaforte
spiritualità,ErnstBloch
(1885-1977)nasceinuna
famigliaebreatedescaenel
1933ècostrettoalasciareil
suoPaesepervia
dell’avventoalpoteredi
AdolfHitler.Emigraprimain
Svizzera,poisispostainaltri
Paesieuropei,infinesi
stabiliscenegliStatiUniti.
Nel1948accettauna
cattedraaLipsia,nella
Germaniacomunista,con
l’intentodicontribuirealla
costruzionediunasocietà
socialista,mafiniscepresto
nelmirinodelleautoritàper
viadelsuomarxismo
eretico,bendistante
dall’ortodossiasovietica.Nel
1957Blochècostrettoa
lasciareladocenzaenel
1961sirifugianella
Germaniaoccidentale,dove
peròlasuavisione
utopisticanonrisultagradita
agliambienticonservatori.Il
suopensierosifondasulla
necessitàdiproiettarenel
divenirestoricolasperanza,
vistacomeunprincipio
fondanteperlarealizzazione
dell’uomo.L’operapiùnota
diBlochèappunto Il
principiosperanza ,pubblicato
intrevolumidaGarzantinel
1994acuradiRemoBodei.
Moltoimportanteanche
Ateismonelcristianesimo
(traduzionediFrancesco
Coppellotti,Feltrinelli,1971)
i
Senza sogni
lapolitica
nonvive
Ascoltiamo
ErnstBloch
SocietàIldirettoregeneraledelCensisrilancia
lanecessitàdiundiscorsopubblicochesirivolga
aisentimentiperbatterelalogicadelrancore
di DARIODIVICO
L
a filosofia è un potente antidoto al rancore.
MassimilianoVa lerii, direttore generale del
Censis, cura ogni anno il tradizionale Rappor-
to sulla situazione economico-sociale delPae-
se, strumento indispensabile per i policy-
maker e per gli studiosi, ma stavoltacon Lanottedi
un’epoca (Ponte alle Grazie) havoluto sommare in
un’unica narrazione due ingredienti assai diversi tra
loro, lafenomenologia percaptare gli orientamenti
della società dell’odio e le idee pertentare di curarla.
Sociologia e filosofia, potremmo sintetizzare.
L’autore vuole esorcizzare il rischio di unPaese fatto
«di diavoli incapaci di nutrire dei sogni» e in questo
sforzo si fa aiutare dal pensiero di Ernst Bloch, il filoso-
fo tedesco morto nel 1977, trevolte eretico per aver
lasciato prima la Germania per sfuggire alle persecu-
zioni antiebraiche, osteggiato dalregimecomunista
unavolta rientrato a Lipsia e infine preso di mira dalla
stampaconservatrice quando decise di riparare a Ovest.
Bloch perVa lerii è il portabandiera della speranza,
«l’uomo che mette alcentro della storia laforza dell’im-
maginario». Nella sua filosofia la speranza èfonda-
mento ontologico dell’esistenza, tanto checontrappose
«a quella che chiamava lacorrente fredda del marxi-
smo, unacorrentecalda fatta di umanesimoreale».
Nella descrizione della odierna società del rancore
Va lerii rintraccia una sorta di sovranismo psichico pri-
ma che politico. Ha profonde radici sociali e assume i
contorni dellacaccia paranoica alcapro espiatorio, la
cattiveria diventa la cifra di un presunto riscatto popo-
lare e nel giorno per giorno prende invece leforme di
unaconflittualitàcontro l’altro, a bassa intensità, indi-
vidualizzata e desolata. Ma, suggerisceVa lerii, non si
può pensare dicombatterla questa deriva solocon l’au-
mento del Pil: la spesa pubblica o anche gli agognati
investimenti privati da soli, la crescita, non sono in
grado di riassorbire l’antropologia dell’insicurezza. Nel
dibattito pubblico nonc’è questaconsapevolezza ècosì
prevale una liturgia asfittica, un lessico ripetitivo fatto
di zero virgola, l’Italia fanalino dicoda, la sostenibilità e
il rigorismo, i vincoli e le raccomandazioni di Bruxelles.
Così facendo però «rimaniamo orfani di un discorso
pubblico più alto e più largocapace di rimettere in mo-
to sogni e desideri» sostiene l’autore.Per tentare di
risalire la chinaVa lerii pesca da Bloch e propone un
ossimoro, l’ utopiaconcreta. E quello sull’utopia è un
discorso da riprendere evalorizzare. Si è pensato lun-
gamente negli anni scorsi che la via maestra per le so-
cietà occidentalifosse quella dicostruire unconflitto
politicocentripeto, che avesse solidi riferimenti bipar-
tisan e poifossecapace di rappresentare le diverse pla-
tee elettorali ingaggiandole nella ricerca delle soluzio-
ni.Peccato che il problemsolving sia un gioco attrattivo
per le élite, ma incapace dicombattere le ansie profon-
de di una società che — eufemismo — fatica a metabo-
lizzare icambiamenti. Da qui l’esigenza di un rinnovata
discussione sulvalore di un rinnovatosol dell’avvenire,
una riflessione che non metta incontrapposizione il
pragmatismo miglioristacon la Mobilitazionecon la
emme maiuscola (come purtroppo sta avvenendo nella
rissosa querelle attorno al climatechange ).
Non sonocerto cheVa lerii sposi del tutto questatesi,
di sicuro disegna un nessofortissimo tra filosofia e
mobilitazione per «camminare eretti». Nel menùc’è
Cartesio, Hegel e,come detto, tanto Bloch. «Quando il
pane scarseggia, proprio nelle situazioni di grave crisi,
gli uominiconsumano più immaginario» chiosa l’auto-
re. E riprende un aneddoto che il filosofo tedesco aveva
usato in untesto del 1936. Grande fabbricacon gli ope-
rai in assemblea: intervengono un esponente delParti-
to comunistatedesco e un rappresentante dei nazional-
socialisti. Il primo sfodera un intervento serio, freddo e
razionale, il secondo usaterminicome patria,casa e
focolare,toccale corde profonde dei presenti e attacca i
plutocrati giudei. Ovazioni del pubblico per il secondo
e accoglienza fredda per il primo. Commento di Bloch:
«Essere intelligenti è solo la metà dell’intelligenza».
©RIPRODUZIONERISERVATA
globale darenderlo spesso banale. Il turismo, lo diceva
Jan Morris già nel 1997, è il principaleresponsabile del
declino dellarealtà.
Ne èconvinto anche VitoTeti: «È bene che si viaggi.
Ma è un’illusione andare due settimane aTokyo a man-
giarecibi tipiciesentirsi cittadini del mondo.Èuna
forma di boria, credere che ilcentro del mondo esista
solo altrove. Alcentro arrivi partendo dai margini. La
primacosa che chiedo alle mie matricolecalabresi
d’antropologia culturale è se abbiano mai letto Alvaro o
visto la Cattolica diStilo. La risposta è sempre no. San-
no tutto di Los Angeles e niente della Calabria. Ma pure
io, dopo anni che studiavo il Risorgimento, nonm’ero
mai accorto d’abitare vicino allacasa d’Antonio Garcèa,
un grande garibaldino! Non è semplice mantenere un
rapporto equilibratocon il qui econ l’altrove. Devi evi-
tare una doppia trappola: pensare che il tuo paese sia
l’ombelico del mondo, credere che l’esotismo sia deci-
sivo per l’umanità».
Restacon noi, non ci lasciar. Èveroche il nomadi-
smo hacostruito solo grandireligioni,come l’islam, e
furono gli stanziali a lasciarci i monumenti. Ma lare-
stanza nonèuna preghiera un po’ fuoritempo? «Il
mondo è in movimento, le migrazioni sonoovunque.
Peròmigrareerestaresono le due faccedella stessa
medaglia: per un miliardo di persone che si muove, ce
ne sono sei cherestano. Ilrestare è frutto d’una scelta,
come il migrare». E allora qual è la novità? «Che in Ita-
lia ci sono gruppi di persone chevorrebberotornare
nei paesi d’origine, insoddisfatte da quel che han tro-
vato.Echerestareèun’assunzione diresponsabilità
versoiluoghi.Unaresistenzacontroladistruzione
operata dalle politiche, dalle mafie, dallo sviluppo in-
controllato. Spostarsi è bello, se è un diritto e una libe-
ra scelta. Oggi peròc’è lacondizione nuova di persone
chevorrebbero rimanere in maniera nuova». Acolpire
Teti, è stata l’esperienza deiterremotati: «Mi chiedevo:
perché non se nevogliono mai andare da luoghi tanto
pericolosi? Lacatastrofeti pone la domanda delresta-
re. Magari prima lì ci stavi male, ora invecevedi lecose
con occhi diversi».
L’osservatorio dell’antropologoèl’università di Co-
senza. Dovela sirena dellarestanza può anche essere
pericolosa: «Io sono figlio d’un emigrato in Canada ne-
gli anni Cinquanta.Eadesso mi ritrovopadredifigli
che emigrano.Perònoto che fra i miei studenti, dove
c’era sempre un 90 percento che aveva il mito dell’al-
trove, oggi molti non partirebbero più, se nonfossero
costretti dall’assenza del lavoro o dall’oppressione ma-
fiosa. È una bellacosa. Ma il loro non dev’essere un lo-
calismoretorico, un neo-borbonismo identitario. Non
devono vivere l’elemento neoromanticoverso i luoghi
abbandonati. No allaretorica del piccolo è bello: il pic-
colo va reso bello. E attenti alfolklore anni Settanta, al-
le furbate delrecupero del maniero isolato o dell’even-
to effimero che servono solo ai soliti noti per intercet-
tarefondi pubblici. Qui si chiede d’essere propositivi,
nonrestaurativi. Larestanza non ètornare a vivereco-
me unavolta, nonèimmobilità, apatia, indifferenza,
rassegnazione.Restare ha senso se hai progetti seri in
unterritorio che devi riguadagnare. Altrimenti,cadi in
uno sradicamentopiù vistoso di quellocausatodal
partire».
Quello che Luigi Meneghello chiamava il dispatrio, il
cambiamento della tua vita interiore che segue all’usci-
ta fisica dal tuo mondo... «La Calabria fravent’anni avrà
perso 500 mila abitanti e diventerà un deserto,come lo
fu nel periodo aragonese. Ma anche l’Appennino, le Al-
pi, l’Italia dell’interno soffrono di questa crisi. La diffe-
renza non è più fra Nord e Sud, ma tra Milano e il Mon-
ferrato. Tra aree sovraffollate ezone vuote, prosciugate
dalla mancanza di politiche adeguate. È un problema
di tutti, uscire dallo spaesamento. Richiede una nuova
etica delrestare in luoghiferiti dagli uomini, dalla na-
tura, dalla crisi.Potrebbe essere il nostro New Deal. Al-
tro che grandi opere: meglio risanare l’Italia dell’inter-
no. Risvegliarne acque, prodotti, culture.Rendere pro-
duttivi luoghi che atorto furono dichiarati improdutti-
vi espinti allo spopolamentodaunfordismo che
imponevaunsolo modello di sviluppo». Ogni tanto
Teti s’affaccia alla finestra: «Vivoinunpostoche era
pienissimo: ora la strada è vuota. Da qui, posso lavora-
re con Pechino senza muovermi. Ma non dico: uh, che
bella la lentezza! No, sarà sempre peggio. La falsa mo-
dernità ha portato alla dispersione».
Tornate,tornate, qualcosaresterà.
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