Corriere della Sera La Lettura - 06.10.2019

(Barry) #1

DOMENICA6OTTOBRE2019 CORRIEREDELLASERA LALETTURA 3


di FRANCAD’AGOSTINI


Sta sull’East River, lato Queens, di fronte al
Palazzo dell’Onu. Ha il design di un
condominio di lusso ma è una biblioteca: si
chiama HuntersPoint, a NewYork è la
numero 217.Costata 40 milioni di dollari,

conta 50 mila libri e un cybercenter. «Sarà un
faro», dice chi l’ha voluta. È la prova di una
buona notizia: nella Grande Mela le
biblioteche non chiudono, ma attirano 40
milioni di persone l’anno.

Ilibridifronteall’Onu

{


Cittadini
diEdoardoVigna

L’


idea che il mondocontemporaneo ab-
bia anzitutto un «problema diverità» è
diventata un’idea dominantenei di-
scorsi pubblici. La letteratura sull’argo-
mento è cresciuta in modo esponenzia-
le, ma non sembra che ci siano idee
chiareecondivise circala natura del
problema, e perché ecome possiamo occuparcene e se
possibile risolverlo. Di checosa parliamo quando parlia-
mo diverità?Perché abbiamo ancora «lavolontà diveri-
tà» (che Nietzsche giudicava discutibile), e non ci siamo
arresi allo «tsunami» dell’informazione digitalizzata?
La risposta non è chiara, e la filosofia non aiuta molto.
La quantità diteorie, la lorocomplicazione, le diverse
prospettive in cuivengonoformulate,rende inutile ogni
sforzo di unificare la filosofia della verità (operazione
tentataconscarso successo da Theodora Achourioti e
altri studiosi in unvolume edito da Springer nel 2015), e
usarne i risultati. Bisognerebbe ridurre le divergenze, e
non è facile. In generale l’arte della riduzione senza sa-
crificio è difficile, e in questocaso iltema sembra trop-
povasto e troppo frequentato.


Maforse si può iniziarearifletteresualcuni tipici
fraintendimenti che riguardano ilconcettodiverità, e
provare a dissolverli. Il primo riguarda il significato di
«vero». Checosa intendo dire quando per esempio dico
«quel che ha detto Gilles èvero»? La rispostaovvia è: in-
tendo dire qualcosacome così stanno le cose : «quel che
ha detto Gilles èvero» = lecose stannocosì come Gilles
dice.Unfilosofo, o una persona informata di fatti filoso-
fici, direbbe che questo significatorealistico deltermine
è molto discutibile, e che quando parliamo diverità par-
liamo dicoerenza, o di utilitàcognitiva, o semplicemen-
teaggiungiamo enfasi ai nostri discorsi. Così più one-
stamente dovrei dire: quel che Gilles ha detto ècoerente
con quel che penso, o mi è utile perconfermare le mie
idee. Oppure dovrei dire: bravo Gilles, sono d’accordo.
C’è qualche senso in queste idee, ma acontattocon la


realtà rivelano la loro inutile astrattezza. Quando la ma-
dre di GiulioRegeni e la sorella diStefano Cucchi chie-
donoverità non stanno affattopensandoacoerenza,
utilità, dissenso o approvazione:vogliono saperecome
realmente sono andate lecose.
Il secondo fraintendimento èforse il più importante
anche se non è moltoconsiderato, ed è dato dalla diffe-
renza tra il modo filosofico e il modoextra-filosofico di
considerare laverità. I filosofi (la maggior parte di loro)
nel parlare di «verità» non si riferiscono tanto ai diversi
contenutiveri che possiamoconoscere o nonconosce-
re, ma al concetto diverità, la funzioneconcettuale che
mettiamo in opera quando diciamo o pensiamo: «que-
sto èvero», «questo non èvero». Quando si parla diveri-
tà nel linguaggiocomune spesso si parla piuttosto dei
contenutiveri, o quelli che riteniamo essere tali.
Qualcuno dirà «ci sono molteverità», intendendo
che ci sono diverse opinioni su uno stesso argomento,
qualcun altro dirà «no,c’è una solaverità», intendendo
che se una opinione èvera, allora lecose stannocosì, e
la sua negazione è falsa. Ovvio che stanno parlando di
diverse questioni: il primo parla del disaccordoche
spesso abbiamo nel giudicare ilveroe il falso, il secondo
sta parlando dei fatti cherendonoverociò che diciamo
o pensiamo. Il primo parla di quel che riteniamovero, il
secondo della proprietà dell’esserevero. In entrambii
casi, ilconcetto diverità sicomporta nello stesso modo,
ossiacorrela il linguaggio al mondo. Edèquesta pro-
spettiva che ci permette divedere il loro disaccordo e ri-
solverlo. Ciò che la sorella di Cucchi e la madre diRegeni
vogliono e noivogliamocon loro è larealtà dei fatti, ma
nel difendere il loro e nostro diritto di sapere, e nel pen-
sareacome sconfiggereidepistaggielemenzogne,
stiamo difendendo il diritto umano universale di usare
la funzioneverità liberamente, per gli scopi per cui è sta-
ta creata: perché il nostro incontrocon il mondo,con la
realtà, non fallisca.
Naturalmente, la prospettivaconcettuale non è ilre-
quisito distintivo dei filosofi, anzi è adottata più o meno
consapevolmente da tutticoloro che sono interessati a
capirecome evitare gli errori e gli inganni di una società

iper-comunicativa. Ma incontriamo qui un altrofrain-
tendimento, basato su una differenza che è stata avolte
suggerita, anche se non se ne sono mai trattecon chia-
rezza leconseguenze pratiche. Si tratta della differenza
tra il verum latino e l’ aletheia greca. Le etimologievaria-
no, però possiamo ammettere che la prima nozione ri-
mandi alveronarrato, riferito dallefonti più o meno uf-
ficiali, mentre la seconda rievoca il meccanismo del dis-
velamento, che attiviamo quando chiediamoverità, o ci
interroghiamo sul possibile essereverodi unatesi poli-
tica o un’ipotesi scientifica, ed è dunque più adattabile
alla prospettivaconcettuale. L’ a-letheia fu interpretata
da Martin Heideggercome «non-nascondimento», ma
traendone a mio parere ideecomplicate. Invece la nega-
zione implicita nelconcetto ci dice qualcosa di piuttosto
semplice: ci ricorda che il rapporto tra pensiero e mon-
do, che domina i nostri discorsi e pensieri, può fallire , e
a volte quel che riteniamovero, o ci viene presentatoco-
mevero, non lo è affatto. Ci occorre allora l’ a-letheia , il
lavoro delconcetto.

Di qui derivaunfraintendimentopiuttostodiffuso,
tra filosofi e non-filosofi: l’idea che la nozione diverità
sia ilcontrassegno di una posizione dogmatica, mentre
sembra evidente che l’ a-letheia ha anzitutto e più pro-
priamenteun’applicazione scettica ,anzièilconcetto
primario della skepsis , la ricerca. Non parlo diverità, né
ci penso, se non ho dubbi e perplessità, e non devo di-
scuterecon qualcuno. Non dico né penso «quel che ha
detto Gilles èvero» nelcaso in cui Gilles abbia parlato, e
nessuno abbia messo in dubbio le sue parole. Ci penso
invece, o lo dico, sec’è unacontroversia, e qualcuno ri-
tiene che Gilles abbia mentito. In pratica, ilconcetto di
veritàcompare quando non abbiamoverità e ne abbia-
mo bisogno. Se devo ragionare, cioècercaredicomple-
tare le mieverità incompiute, se devo difendere unatesi
o verificare un’ipotesi, eccoche la funzione-verità si pre-
senta nella mia mente, e diventa all’improvvisocentrale
nei miei pensieri.
Come mai laforza scettica dellaverità è stata interpre-
tata (e perlopiù usata)comeforza dogmatica? Le ragioni
sono storicheefilosofiche. Le prime si devono all’ap-
propriazione delconcetto diverità da parte dellareligio-
ne (specie il cristianesimo, checatturò i risultati della fi-
losofia greca perfondare la propria ortodossia). Le se-
conde sono intuitive: quando dico «èvero», intendo di-
re che lecose stanno propriocosì, e perciò quel che dico
vaaccettato senza discussioni (è il proverbiale «pugno
sul tavolo»), perché a mio favore depongono i fatti stes-

Laverità!


Tutte


leverità!


si, al di là di ogni credenzaeconvinzione umana. Qui
perònon stiamo parlando dellaverità-concetto, ma dei
modi deviatidifarne uso. C’èunaforzacategoricanel
vero,maioposso usarequestaforzaavantaggio della
verità, cioè per appurare lecosecome stanno, difendere
la mia esperienza delveroo il mio diritto diconoscerlo;
oppurecontro di essa, per spacciarecomevera la mia in-
certa opinione, la mia parziale descrizione dei fatti.
Il disaccordo più famoso, specie in Italia, è quello tra i
nemici e gli amici dellaverità, i nichilisti (postmoderni-
sti?) e gli anti-nichilisti. Il nuovointeresse pubblico nei
confronti delconcetto ci dice che tutti sono ormai (o si
dichiarano) «amici dellaverità»come i filosofi antichi.
Dunque i nichilisti non hanno più moltavoceincapito-
lo. Ma se adottiamo la prospettivaconcettuale, dovrem-
mo dire anzitutto che essere amici o nemici deiconcetti
è insensato. Iconcetti sono entità utili e incolpevoli,co-
me i tavoli o le sedie: tutto dipende dacome li usiamo.
Inoltre, se per «nichilismo» intendiamo latesi che lave-
rità non esiste, allora,come è noto dalle origini della tra-
dizione filosofica, è impossibile essere nichilisti, perché
se èveroche nonc’è verità, allora qualcheverità esiste.
Così gli anti-nichilisti vincono: hanno dalla loro l’argo-
mento «vittorioso». Se però i «nemici» dellaverità in-
tendono dire che ilconcetto che chiamiamocosì è du-
pliceeproblematico, genera paradossi, dogmatismo,
controversie, eccetera, ebbene, ciò è semplicemente ve-
ro. Anzi, laconsapevolezza che il nostro uso delconcetto
diverità può generare problemi èforse la primaconsa-
pevolezza filosofica. Ma notatecheaben guardaregli
«amici» vincono ancora, perché ècomunque grazie al-
l’uso delconcetto che i suoi «nemici» sono stati in gra-
do dicapire la difficoltà.
Nichilistieanti-nichilisti hanno incomune un’idea
importante, e indiscutibile: che ilconcetto diverità ha
un potere speciale nelle nostre vite.Per i primi si tratta
di un poteremalefico, perisecondi benefico. Ma se
«l’argomento vittorioso» èvalido, e se non è possibile
disfarsi del poteredellaverità, allora nonresta che es-
sergli amici, e imparare a usarlo a nostrovantaggio.
©RIPRODUZIONERISERVATA

L’autricedell’articolo
Franca D’Agostini (Torino,
1952) ha studiato filosofia
all’Università diTorino, ha
insegnato Logica e Filosofia
della scienza all’Università
Statale di Milano e al
Politecnico diTorino. È nota
soprattutto per i suoi lavori
sullerelazioni tra la filosofia
anglo-americana e quella
europea ( Analiticie
continentali ,Raffaello
Cortina, 1997), sui paradossi
( Paradossi , Carocci, 2009) e
sull’uso pubblico della verità
( Disavventuredellaverità ,
Einaudi, 2002; Verità
avvelenata , Bollati Borin-
ghieri, 2010; Menzogna ,
Bollati Boringhieri, 2012).
Ha pubblicato quest’anno,
con MaurizioFerrera,
Laveritàalpotere (Einaudi)
Illibro
S’intitola Unifyingthe
PhilosophyofTruth
(«Unificare la filosofia della
verità»), il volume a più voci
a cura di TheodoraAchou-
rioti, Henri Galinon, José
MartínezFernández,Kentaro
Fujimoto (Springer, 2015),
che offre una rassegna degli
studirecenti sulla verità

i

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