DOMENICA6OTTOBRE2019 CORRIEREDELLASERA LALETTURA 53
IL GIOVANE
GATSBY
di EDMUNDWHITE
Percorsi
ilRaccontostraniero/3
CONTINUAAPAGINA54
Il romanzo di Francis Scott Fitzgeraldèuncapolavoro anche per come vela di
indeterminatezza le origini del protagonista. Mentre sta per uscire una nuova
traduzione, un grande autore d’oggi immagina il passato di James Gatz...
«H
ai un belcorpo», disse
l’uomo sulloyacht al ra-
gazzoapettonudo nella
barcaaremi.James Gatz
sorrise; per lui loyacht
rappresentavatutta la ric-
chezzaeilglamour del
mondo. Sapeva che il suo sorriso funzionavacon le don-
ne, giovani evecchie. Si chiese se avrebbe funzionato su
un uomo, un uomo più grande. Gatz era determinato a
farecolpo su di lui, la prima persona riccache avesse in-
contrato in tutti i suoi inconcludenti 17 anni. Si chiedeva
dovesi nascondessero tutti i ricchi, gli uomini in smo-
king e le donne in abiti di seta lunghi che ne avvolgeva-
no icorpi meravigliosi, la gente da sogno chevedeva nei
film. La persona più riccache avesse maiconosciuto era
il dentista di famiglia.
«Devo avvertirvi di unacosa».
«Vieni su a bere qualcosa e parliamone», disse l’uo-
mocon un gran sorriso stupido.
«Okay».
L’uomo sembrava ubriaco. Indicòvagamente la pop-
pa delloyacht e Gatzremò fin lì, dovele fiancate bianche
sfavillanti, riflesse nell’acqua del lago, si trasformavano
in un rivestimento di mogano lucidocon il nome dello
yacht in maestose lettere d’oro: TUOLOMEE e, incarat-
teri più piccoli sotto, il porto di origine: BarbaryCoast.
Le lettere sembravano il nome di una banca.
Gatz legò la barcaal piolo più basso della scala, si infi-
lò la magliaverde, si passò una mano tra icapelli ecorse
su per la scala. Lì, su una sedia a sdraio in legno etela, il
comandanteera quasi addormentato. Si stavarove-
sciando il drink sui pantaloni bianchi. Eravestitocome
un’imitazione davaudeville dell’uniforme di uncapita-
no della marina: tutto bianco,cappello bianco da uffi-
ciale, una doppia fila di bottoni diottone lucido e pan-
taloni sfilacciatietagliati all’altezza dellacoscia. Era
scalzoesistavaversando addosso il drink marrone.
Forse fu il ghiaccio sulcavallo dei pantaloni a farlo tira-
resu a sedere. «Dan Cody», disse, abbozzando un debo-
le saluto militare chefecespostare da un lato il bordo
delcappello.
«SonoJayGatsby», disse il giovane, avanzando per
stringerelamano floscia.Avevainventatoquel nome
durante le nottifebbrili e insonni in cui si fabbricava so-
gni di gloria, di ricchezza, di belle donne. Non aveva mai
apprese che si chiamava il gabinetto, eracompatta e fat-
ta inteak. Il pasto, alcontrario della sobriacabina, fu
sontuosoeidiversi vini richieserotrebicchieri di cri-
stallo divarie dimensioni eforme.Ungrande ritratto ad
olio di Dan li guardava dall’alto in basso.
«Pensi che dovrei andareaOvest incerca?», chiese
Jay.
«Nah, quei giorni sono passati», disse Dan. «Vai a Est
e investi, dico io. Ma prima dovresti lavorare per me».
«A fare che?».
«Non saprei. Segretario,forse. Come è la tua scrittu-
ra?».
«Ho una bella grafia stile copperplate , ma la mia orto-
grafia...».
«Comandanteosecondo? Non che sia importante.
Comete la cavi comecarceriere?».
«Prego?».
«Quando mi ubriaco, scendo aterra ecomincio a but-
tare soldi in girocon le donnine. È allora che ho bisogno
di qualcuno che mi metta sottochiave finché nontorno
sobrio».
«Certo», disseJay, sorridendocon il suo sorriso strap-
pacuore. «Pertepotrei farlo.Potrei metterti sottochia-
ve».
«Le donnine sono la miarovina». QuandoJaynon
chiese perché, Dan sioffrìvolontario: «Adorovederle
nude».
Jay continuò a sorridere.
«Ma quando sono nude non socosa farne.Pensa che
ho bevutocosì dannatamente tanto che mi si è rammol-
lito un po’ ilcervello».
QuandoJay nonfecela domanda successiva, Dan dis-
se: «Pensa che non è l’unicacosa cheresta molle».
«Non proprio bello, eh?».
«Non ridere di me», disse Dan.
«Non penserei mai di...».
«Non hai mai quel problema tu, scommetto».
«Direi di no».
«Beh,forse potrei guardarti da un posto segreto men-
tre le pompi».
«Forse.Perché no?».Jay nonvoleva esseretoccatoda
un altro uomo, ma guardare sembrava okay. Soprattutto
se Dan era quello che portava le ragazze.
Bevvero fino a nottefonda,tornando sul ponte. Le nu-
detto ad altavoceil suo nuovonome. L’uomo, Dan, sem-
bròaccettarlo. «Volevosolo avvertirvi di andarepiù al
largo; questo è un punto pochissimo profondo della Lit-
tle Girl Bay. Se si alzasse ilvento, loyacht potrebbe finire
a pezzi in... un battibaleno». Non aveva mai detto «in un
battibaleno» prima, ma lo aveva sentito dire al suo inse-
gnante di inglese delle superiori.
«In un battibaleno, dici? Grazie per avermelo detto».
Si avvicinò barcollandoauntubo di stoffa attaccatoa
una bocchetta diottone. «Ehi, Bart, ho uno del posto qui
che dice che dovremmo spostarci e gettare l’ancora più
al largo. Dice che unfortevento potrebbe distruggerci in
un battibaleno».
Unuomo grassoccioconlabarba in pantaloncini si
arrampicò sulla passerella.Aveva tatuaggi di pesci all’in-
terno di ciascun polpaccio, tatuaggi neri sfocati.
Jay Gatsby spiegò il problema a Bart, che disse che si
sarebbe spostato immediatamente. Bart guardò al di là
della poppa e notòla barcaa remi. «Che hai intenzione
di farecon quella?». Concordarono cheJay avrebbe por-
tato la barcaa noleggioremando fino alla riva, seguito
da un membro dell’equipaggio nella scialuppa di salva-
taggio delloyacht, che lo avrebbe poi riportato indietro.
«Non posso farmi sfuggirecosì presto uno tanto at-
traente», disse Dan. La discussione lo aveva rianimato o
almeno lo aveva fattoconcentrare.
Gatsby ( questo è il mio nome:Jay Gatsby ) eraconten-
toche Dan avesse notato che era attraente. Non era sicu-
roche altri uomini potesserogiudicarel’aspettofisico
maschile.
Presto erano al sicuro in acque più profonde e aveva-
no gettatol’ancora. Quando Barttornò sul ponte, Dan
disse: «Porta da bere al mio amico qui. E di’ ai ragazzi
che saremo in due acena. Dunque, giovanotto...Jay, ve-
ro?».
«Sissignore,Jay Gatsby».
«Non mi chiamare“signore”, mi fa sentirevecchio.
Sono Dan. Probabilmentesei curioso di saperedime,
come un diamante grezzo sia finito su unoyacht»
A Jay non era mai passato per latesta di essere curioso
di nessuno.Vo leva suscitare curiosità negli altri. Sentì
che stava trattenendo ilrespiro e che dentro, nei polmo-
ni che stavano per esplodere,c’era il meraviglioso segre-
todi sé stesso, pronto ad essere lasciato andare. «Dim-
mi, Dan, dicome hai fattofortuna».
Dan gli disse dicome era andato incercanelloYukon
negli anni Settanta ma che non era diventato riccofino a
quando non aveva trovato il rame in Colorado poco pri-
ma dell’inizio del nuovosecolo ecome il rame lo aveva
reso moltevolte milionario.
L’idea dicosì tanti soldi eccitòJay. «Dan, dimmi:co-
me un giovanecome me può farefortuna?».
«Aspettiamo fino acena. Vuoi mangiare qui su o pen-
si che pioverà?».
«Nella tuacabina», disseJay, semplicemente perché
volevavedere ilresto delloyacht.
Dan sembrava apprezzare le preferenze decise diJay.
Annuì e diede istruzioni nel tubo di stoffa.
Lacabina di Dan era accogliente e semplice. Lampade
dalla luce soffusacon paralumirosso-ciliegia si allunga-
vanoverso la stanza su aste diottoneretraibili. C’era un
letto singolo lungo una parete. Tutti icassetti in moga-
no avevano maniglie a filo inottone. Il piccolo tavolo da
pranzo in mogano poggiava su una base pieghevole in
ottoneepotevaessereallungato. La «testa»,comeJay
Era stato assunto a titolo piuttosto vago: finché rimase conCody
fu a turno assistente di bordo, aiutante, skipper, segretario e per-
sino carceriere, poiché il DanCody sobrio sapeva di quali sperpe-
ri il DanCody ubriaco era capace, si premunì contro tali contin-
genze e ripose in Gatsby fiducia sempre maggiore. L’accordo du-
rò cinque anni, durante i quali la barcafece il giro del continente
per ben tre volte. Sarebbe potuto durare all’infinito se, una sera,
a Boston nonfosse salita a bordo EllaKaye e DanCody nonfosse
stato così ben poco ospitale da morire una settimana più tardi.
da Il grande Gatsby