Corriere della Sera La Lettura - 15.09.2019

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DOMENICA15SETTEMBRE2019 CORRIEREDELLASERALALETTURA 5


Nel suo sorprendenteromanzoL’ora
meridiana(Arkadia, pp. 166,e15) Paola
Musa racconta di Lorenzo.Cocainomane,
lasciato da moglie e amante, in crisi
economica, accusato di un delitto che lui

stesso non sa se hacommesso, incarcerato.
Ma lui è inerte, in preda all’accidia. Riuscirà a
uscire dal viziocapitale e ad arrivare alla
rieducazionecostituzionale imparando a
lavorare all’uncinetto.

L’uncinettodelcocainomane

{


Risatealbuio
diFrancescoCevasco

bù è l’irrazionalismo dell’essere umano primitivo anni-
dato in tutti gli esseri civilizzati, che non hanno mai su-
perato sino infondo la nostalgia di quel mondo tradi-
zionale — la tribù, appunto — quando l’uomo era sot-
tomessocome l’animale alla mandria, annullando ogni
unicità di sé stesso. Indignarsi ècomprendere chec’è
bisogno dellaforza umana in tutte le sueforme diversi-
ficate. NeIlrichiamodellatribù, che esce ora in Italia,
analizzotutti gli autori che nella mia vita mi hanno
portato a questaconsapevolezza politica: Adam Smith,
José Ortega y Gasset, Friedrich Augustvon Hayek,Karl
Popper, Raymond Aron, Isaiah Berlin,Jean-François
Revel. Esecipenso bene ancheConversazionenella
Cattedralenacque secondo questo bisogno di vitalità,
di capire, di esserci profondamente».
Lo considera ancora il suo libro più importante?
«Sì. Il più importante e anche quello che micostò un
lavoro enorme. Impiegai più di tre anni per portarlo al-
la fine. Riscrissi molto. Mi ricordo che il primo anno
buttai giù episodi senza saperecome sarei riuscitoa
farli ingranare insieme.Vo levofosse unromanzo sugli
effetti della dittatura in tutti gli ambiti sociali, dall’uni-
versità alla vita economicaeimprenditoriale, uno
specchio che descrivesse unPaese nell’insieme delle
sue classi sociali. Larotturacon la mia prima vita poli-
ticacomincia da qui, probabilmente. Anche se mi sen-
tivo ancora nel pieno della diatriba traJean-Paul Sarte e
Albert Camus».


Chi scelse tra i due alla fine?
«Alla fine del gran dibattito diediretta a Sartre, ero
giovane. Ma chi aveva ragione era Camus perché se la
politica si separacompletamente dalla morale arriva la
violenza, la barbarie, ilterrore. Camus fu più lucido di
Sartre, anche se quest’ultimo aveva le idee più chiare.
Ma Sartre,con il suo odioverso la borghesia che nasce-
va dall’odio per la sua famiglia, finisce per appoggiare
negli ultimi anni della sua vita gli stalinisti e la rivolu-
zione culturale cinese dove morirono milioni di cinesi
sacrificati al fanatismo più stupido. Era un uomo mol-
to narcisista. Ed era molto difficile seguirlo fino a que-
sti estremi, io non ho potuto farlo».
Come sifaceva ad amareJean-Paul Sarte eJorge
Luis Borges allo stessotempo? Mi sembra un pro-
cesso impossibile, quasi autoimmune.
(Ride)«Èvero, infatti avevo uncomplesso neicon-
fronti di Borges perché rappresentava tutto quello che
criticava Sartre: lo scrittore disinteressato della politi-
ca, dedicato a un mondototalmente immaginario. Bor-
ges era per me ciò che Sartre mi avevaconvinto non es-
sere la letteratura. Ma allo stessotempo l’eleganza della
prosa e della lingua erano abbaglianti. Borges è l’unico
scrittorecontemporaneo di lingua spagnola paragona-
bile ai grandi classici. Era l’equivalente di Cervantes, di
de Góngora. Leggendolo avevo unforte senso di infe-
riorità. L’hoconosciutoquando si era già creatouna
specie di personaggio pubblico dietro cui nascondeva
la sua timidezza e la sua fragilità. Non era preparato ad
affrontare il mondoreale. Vissecon la madre tutta la
vita e in uno dei suoi prologhi dice “moltecose ho let-
to,poche ne ho vissute”. La sua esperienza della vita
era scarsa, mentre quella nel mondo dei libri eratota-
le».
Come Salgari.
«Un altro miofondamentale, tra le prime letture che
ho avuto. Come JulesVe rne.Poi lessi Victor HugoconI
miserabili.Epoi ancorairussi, durantel’università:
Dostoevskij e soprattuttoTolstojconGuerraepaceche
mi diede l’idea delromanzototale.Edell’amore, in
qualche modo».
Se penso all’amore nei suoi libri, il primo è sem-
pre «Avventura della ragazzacattiva».
«Nacque dopo averconosciuto una donna che fu il
modello di questa ragazzacattiva. Chiaramentecam-
biai moltecose, partendo dal nome, le attribuii avven-
turediverse da quelle che ebbe. Lacosa divertenteè
che quandoterminai ilromanzo e fu pubblicato, glielo
mandaicon una dedica molto affettuosa. E leicosa mi
rispose?(ride).Rispose: “Quella ragazzacattivaera
un’idiota perché tutto quel chefece portò a una villetta
a Sète. Tutto quello si fa per un appartamento di lusso
in AvenueFoch aParigi”».
L’amore che ruolo ha avuto nella sua vita?
«Hacontato molto».
L’amore o le donne?
«L’amore. È stato unaforza su cui si è appoggiata tut-
ta la mia letteratura. I momenti in cui sono stato inna-
morato sono stati quelli in cui ho avutopiù voglia di
scrivere, con più ambizione».
Bisognerebbe dichiararecosa si è scritto da inna-
morati, da ubriachi, da scapoli. Lo dicevaJohn Chee-
ver.
«Sono sempre stato molto discreto in questicampi.


(ride). Dagli inglesi, avendo vissuto tanti anni in Gran
Bretagna, ho imparato trecose: non si parla di Dio, di
denaro e dellacamera da letto. Di questitemi bisogna
parlarecon molta prudenza e discrezione. Ne ho parla-
toscrivendo.Eforse perché scrivevosempre, amavo
sempre».
Julian Barnes ha rivelato che quando è morta sua
moglie lui ha creduto di perdere anche la scrittura.
Lei ha avuto delle tragedie, delle tristezze che hanno
messo arepentaglio il suo lavoro?
«No, tragedie no. Ho avuto crisi dettate da amori che
sono finiti, però altro perfortuna no.(Allungaunama-
nopertoccareilferrodeltavolino). Mi è andata bene,
ho avutomoltissimo. Anche se penso al Nobel, per
esempio: un premio che ho ricevutocon enorme grati-
tudine ma ancheconenorme sorpresa: pensavoche
per ragioni politiche ne sarei sempre stato escluso».
Lo ha dedicato alla lingua spagnola.
«Sì, perché avere una lingua che parlano più di 500
milioni di persone nel mondo è una dellecose positive
che ci sonocapitate, è un privilegio straordinario. Se ci
penso bene, il Nobel non mi hacambiato interiormen-
te. Certo, la vita pratica si ècomplicata ma non il mio
lavoro di scrittore perché me lo hannoconferito in un
momento in cui io ero giàcompletamenteformato».
Non ha aggravato l’insicurezza?
«No, non il Nobel. L’insicurezza e anche la paurace
le ho sempre all’inizio di un progetto. Con me stesso,
maiverso l’esterno. Non sulla critica, perché uno scrit-
tore deve imparare che alla fine le critiche possono es-
sere buone ecattive. E spesso credo che i migliori libri
siano quelli che si impongono poco a poco, lentamen-
te. Quello che è accadutoconConversazionenellaCat-
tedraleè un po’ questo, all’inizioveniva accusato di es-
sereunromanzodifficile, troppo intricato. Tuttavia
poi è riuscito ad attrarre i suoi lettori e penso che ora
abbia un impatto di molto superiore. Questa è anche
un buona metafora sulle difficoltà che il mestieredi
scrittore pone».
Mi racconticom’era MarioVargas Llosa agli esor-
di.
«Quando iniziai a scrivere nessuno scrittore latinoa-
mericano aveva successo, quindi pensai che avrei sem-
pre vissuto modestamente. E che probabilmente avrei
dovuto pagarmi io le edizioni dei miei libri perché in
Perù nonc’erano editori. Gli scrittori che pubblicavano
pagavano i propri libri e li distribuivano tra amici e pa-
renti. Il pubblicodei lettori era piccolissimo. Io sono
stato moltofortunato perché sono arrivato in Spagna
per un dottoratocon una borsa di studio e vinsi uncon-
corso di racconti.Per me fu una grande sorpresa che
un mio librovenisse pubblicato in Spagna».
Checosa avrebbefatto se non avessefatto lo scrit-
tore?
«Sarei stato uno scrittore in tutti i modi. Mi è sempre
stato chiarissimo. Quello che non sapevo eracome mi
sarei guadagnato da vivere. Invece altempo dell’univer-
sità pensavo che avrei potuto lavorarecome giornalista
perché era ciò che più si avvicinava alla letteratura ed
era una sorta di nutrimento per la letteratura. Ma poi
arrivai in Europa, vissi aParigi perottoanni, doveco-
nobbi Italo Calvino, e in seguito mi trasferii a Londra.
Era un’epoca in cui brulicavano narratori, idee, unicità,
vivevamo di incontri straordinari».

Quali tra icolleghi di quegli anni può dire di sti-
mare ancora?
«Cortázar, soprattutto per i racconti che sono mera-
vigliosi. E PhilipRoth: era uno scrittore magnifico.Un
tipo di scrittore noncomune, molto attento ai proble-
mi politici e sociali, che mescolava la fictioncon il di-
battito ideologico. Militante a suo modo. E, al di là di
quegli anni, io provouna grandissima ammirazione
perTomasi di Lampedusa:IlGattopardoèuno dei
grandiromanzi del XX secolo».
E Gabriel García Márquez?
«Certamente lo stimocome scrittore.Feci la miatesi
di dottorato che presentai all’Università di Madrid. Ne
venne fuori un librocheèunaversione più leggibile
dellatesi. Tratta di tutta l’opera di Márquez scritta fino
a quel momento».
Le manca?
(Ride).«Non risponderò a questa domanda».
Come andò lafaccenda travoi due?
(Ride).«Non risponderònemmenoaquesta do-
manda però le dico che io e Márquez avevamo un pat-
to: non parlare della nostra amicizia e del nostro litigio
per lasciare che gli storici ci lavorino su. In fin deiconti
ce lo meritiamo».
MarcoMissiroli
(siringraziaMartinaPo
perlapreziosacollaborazione)
©RIPRODUZIONERISERVATA

Gli scrittori di lingua spagnola...
«Borgesèl’unico contemporaneo
paragonabile ai grandi classici.
Era l’equivalente di Cervantes.
Ed era tutto ciò che Sartre
negava essere la letteratura»

SSS

...E gli altri
«Philip Rothèstato uno scrittore
magnifico. Provo una immensa
ammirazione per Tomasi di
Lampedusa: “Il Gattopardo”èuno
dei grandi romanzi del XX secolo»

SSS

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