Il Sole 24 Ore - 19.09.2019

(Ron) #1

Il Sole 24 Ore Giovedì 19 Settembre 2019 3


Primo Piano


La Fed taglia i tassi dello 0,25%


ma a Trump ancora non basta


Politica monetaria. Aumenta il dissenso ai vertici della Banca centrale sulla riduzione del costo


del denaro mentre arrivano nuove critiche del presidente Usa a Powell: «Non ha fegato»


Marco Valsania


NEW YORK

La Federal Reserve, nonostante le


aggressive pressioni del presidente
Donald Trump, insiste in una stra-

tegia di piccoli passi in risposta a
rallentamenti della crescita globale

e americana, inflazione sottotono,


conflitti commerciali e incognite
geopolitiche, da Brexit agli attacchi

al petrolio saudita. La Fed ha taglia-


to ieri di un quarto di punto, al-
l’,%-%, i tassi interbancari e ha

lasciato aperta la porta a ulteriori


stimoli, affermando che «monito-
rerà» i dati e agirà «in modo appro-

priato per sostenere l’espansione».


Ma non ha assicurato future mosse.
Dietro la decisione, anzi, sono

emerse accresciute divisioni. Sette


dei  esponenti del vertice allar-
gato della Fed evocano un ulterio-

re taglio dei tassi entro l’anno. Per


l’anno prossimo, metà scommette
su tassi scesi di un altro quarto di

punto mentre altrettanti pronosti-


cano un rialzo. Sullo stesso ultimo
taglio, votato dal comitato esecuti-

vo di dieci banchieri centrali, la


maggioranza di sette è stata mac-
chiata da tre dissensi: James Bul-

lard della sede di St. Louis preferi-


va una riduzione di mezzo punto;
Esther George di Kansas City e Eric

Rosengren di Boston chiedevano


tassi invariati. La Fed e il suo
chairman Jerome Powell hanno

inoltre incassato strali da Trump:
«Hanno ancora una volta fallito,

nessun coraggio, senso e visione».


Powell ha ribadito che la Fed rima-
ne indipendente.

Le decisioni sui tassi sono state


sostenute da nuove valutazioni
economiche. Il mercato del lavoro

è stato definito robusto e la crescita
moderata, con consumi solidi. In-

vestimenti e export si sono però in-


deboliti. Wall Street ha oscillato
nervosamente in ribasso dopo i

contrastati annunci della Fed.


La Fed ha anche cercato di fare i
conti con un’altra, imprevista sfida:

serie turbolenze nel sistema finan-


ziario americano, in particolare sui
mercati monetari. Ha abbassato gli

interessi sulle riserve in eccesso


che le banche hanno presso l’istitu-
to centrale, un taglio di  punti ba-

se all’,%, per sbloccare risorse nei


finanziamenti a brevissimo termi-
ne. È inoltre intervenuta per la se-

conda volta consecutiva con inie-


zioni di liquidità, portando la ma-
novra a  miliardi, azione inedita

dalla crisi del . L’operazione di
ieri è stata da  miliardi, dopo i 

miliardi martedì. Powell ha affer-


mato che i problemi sul cosiddetto
mercato “repo” non hanno impli-

cazioni «per economia e politica


monetaria», suggerendo ragioni
tecniche e non rischi sistemici ne-

l’impennata dei suoi costi. Le «ope-


razioni temporanee» della Fed so-
no state «efficaci» e Powell ha pro-

messo di garantire liquidità al si-


stema e di «riesaminare» quando,
a questo scopo e forse presto, ri-

prendere a far crescere il portafo-
glio titoli nelle casse della Fed.

La Banca centrale ha, in concre-


to, offerto fondi per difendere il
corretto funzionamento di un mer-

cato “repo” da . miliardi. L’ha


fatto attraverso proprie operazioni
di “repurchase agreement”, dove ha

messo a disposizione delle banche


contanti in cambio di titoli del Te-
soro o di qualità riacquistati all’in-

domani. Una strozzatura su questo


mercato aveva fatto impennare il
costo dei fondi overnight che nor-

malmente lubrificano attività di


trading e prestiti delle banche e
spinto al rialzo lo stesso tasso inter-

bancario di riferimento, strumento


di politica monetaria. Scosse attri-
buite alla confluenza di più elemen-

ti: cali nelle riserve bancarie usate


per simili finanziamenti, dimezzate
dai picchi; riduzioni nel portafoglio

da quantitative easing della Fed;


necessità di contanti per tasse
aziendali; emissioni di bond del Te-

soro, assorbiti dalle banche, legati


ai deficit federali. Squilibri “tecnici”
che hanno drenato risorse ma che,

se incontrollati, possono danneg-


giare credito e economia.


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Fed Funds rate


Fonte: Federal Reserve

15/12/


0,375 1,


19/09/


0

0,

1,

1,

2,

2,

I tassi di riferimento


Gli ultimi tweet di Trump contro la Fed


Riccardo Sorrentino


N


on è l’inizio di una nuova


fase. Jerome Powell,


presidente della Fed, lo ha
spiegato a luglio e lo ha

ripetuto oggi. Le indicazioni


provenienti dai singoli governatori



  • i «dots» - lo confermano. Per ora


si immagina forse solo un nuovo
taglio dei tassi, tra la fine di

quest’anno e l’inizio del prossimo,


ma nessuno al momento pensa di
portare il costo del credito al di

sotto dell’,-,%, un livello più


bassi , punti percentuali di
quello attuale.

Non sembra necessario fare di


più: «L’economia Usa continua ad
andare bene», ha detto Powell e le

proiezioni macroeconomiche di


settembre, persino leggermente
migliori rispetto a quelle di giugno,

vedono un Pil che continua a salire


a un ritmo oscillante intorno
all’,%, che la stessa Fed indica

come il livello «di lungo periodo»,


sostenibile, della crescita.
L’inflazione, per quanto debole

quest’anno - ,%, anche per la


misura core - è prevista risalire
all’,% e al % tra l’anno prossimo

e il successivo e il tasso di


disoccupazione dovrebbe restare al
di sotto del % malgrado un livello

“di equilibrio” al , per cento.


Allora perché tagliare i tassi? La
risposta è, anche questa volta, nel

risk management. La Federal


reserve ha inteso - per così dire -
sottoscrivere una polizza contro la

possibilità che i rischi globali
possano davvero indebolire non

tanto l’economia Usa - la politica


monetaria incide poco sulla
crescita: anche Powell ha invitato

la politica fiscale a fare la sua parte



  • ma le aspettative di inflazione, già
    sotto pressione almeno nelle


misure “di mercato”. Per non farsi


trovare impreparata, ha deciso di
fare una pausa - che ora potrebbe

rivelarsi piuttosto lunga - nella fase
di normalizzazione della politica

monetaria che era in corso ancora a


inizio anno.
La scelta di “gestire il rischio”

può forse spiegare perché la


Federal reserve non dà più
indicazioni - a parte quelle che è

possibile aggregare dai dots, le


previsioni dei singoli governatori -
sul futuro andamento dei tassi.

Powell ha ammesso che un


peggioramento delle prospettive
potrebbe suggerire «una sequenza

più estesa» di tagli, ma si è rifiutato


di confermare che la Fed è
tendenzialmente orientata a una

politica accomodante (ha un easing


bias, nel linguaggio della politica


monetaria): «Decideremo riunione
dopo riunione», ha detto.

Gli investitori restano così senza


bussola proprio nel momento in
cui domina l’incertezza. Il fatto che

un governatore abbia votato a


favore di un taglio più intenso e
due a favore del mantenimento dei

livelli di luglio, dà anche l’idea che


all’interno del Fomc le opinioni
siano molto, forse troppo diverse,

rispetto alla sfida del calo delle


aspettative; e la candida
ammissione di Powell, nelle scorse

settimane, che la Fed non ha linee


guida per gestire l’incertezza legata
alle questioni commerciali non

aiuta. L’impressione che la banca


centrale Usa lasci gli investitori
senza bussola perché essa stessa

ne è priva, è sempre più forte, e


sempre più inquietante.


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L’ANALISI


Una polizza sull’inflazione,


non l’avvio di una nuova fase


L’economia continua


ad andare bene e si può


al massimo immaginare


un altro taglio dello ,%


FALCHI & COLOMBE


POWELL TAGLIA, MA NON SPIEGA


—Continua da pagina 


U


na scelta che non serve a
nessuno, tranne che alla

stessa Fed, per galleggiare,


facendo finta di essere in-
dipendente sia dal presidente

Trump che da Wall Street.


L’attesa che ha preceduto la co-
municazione delle decisioni di poli-

tica monetaria è andata crescendo


esponenzialmente in questi giorni.
La ragione può essere riassunta in

una parola: incertezza. Certo non è


una novità che lo scenario macro-
economico globale sia contraddi-

stinto da una pluralità di focolai di


incertezza oramai identificati: dai
rischi legati alle cosidette

guerre protezionistiche e/


o valutarie, al rallenta-
mento generalizzato delle

prospettive di crescita, ai


fattori geopolitici. La no-
vità è che ciascun focolaio

può accendersi in modi e


tempi assolutamente im-
prevedibili, vedi gli attac-

chi ai pozzi petroliferi ara-


bi del fine settimana appe-
na trascorso, ovvero l’improvvisa

carenza di liquidità registrata sui


mercati monetari Usa; vicenda pe-
raltro sostanzialmente ignorata

dalla Fed. Ma se il quadro macro-
economico è dominato dall’incer-

tezza, ora più che mai le banche


centrali hanno il dovere di assicura-
re ai mercati ed all’economia la

massima trasparenza della loro


strategia. Per evitare che l’azione
delle banche centrali si trasformi in

una pezza peggiore del buco da ri-


parare. La Fed fa invece esattamen-
te questo: aggiunge la sua ambigui-

tà all’incertezza macroeconomica.


Cosa dovrebbe invece dire la Fed?
La risposta dovrebbe in realtà essere

articolata in più punti, visto che ora-


mai le ombre sul disegno della poli-
tica monetaria statunitense supera-

no di gran lunga le luci. Partendo da


quelli che dovrebbero essere gli
obiettivi. Sappiamo che lo statuto

della Fed chiede ai suoi banchieri


centrali di garantire un equilibrio tra


la tutela della stabilità monetaria e
quella della piena occupazione. Nel-

la ricerca di tale equilibrio, fin dagli


anni sessanta la Fed si è appoggiata
all’idea che esiste un trade off tra di-

namica dei prezzi al consumo e di-


namica dell’occupazione, che passa
attraverso una catena fatta da tre

anelli: la crescita economica dovreb-


be stimolare l’occupazione, che a
sua volta dovrebbe crescere mano

nella mano con salari e retribuzioni,
la cui salita dovrebbe alla fine essere

ammortizzata dalle imprese facen-


do salire i prezzi dei beni e servizi
venduti. Questa catena – battezzata

di Phillips – è stata esplici-


tamente ritenuta valida da
tutti i presidenti della Fed,

fino al predecessore di


Powell, la presidente Yellen.
Certo con il passare degli

anni le caratteristiche – in


termini di robustezza e ri-
tardi – della catena di Philli-

ps sono cambiate, fin quasi


a sparire. Ma – almeno fino
alla Yellen – la Fed ha conti-

nuato a coltivare nei fatti l’aspettati-


va – la speranza? – che quel mecca-
nismo di trasmissione della politica

monetaria si sarebbe rivitalizzato. I


dati continuano a dire che la catena
è arruginita, come minimo. Ma cosa

pensa oggi la FED di Powell? Non è


dato di sapere: sembra continuare a
sperare, e ad aspettare.

Se ci sono ombre sulla relazione


base tra andamento dell’occupazio-
ne e dinamica dei prezzi, la Fed po-

trebbe essere chiara almeno sui tar-


get relativi dei due obiettivi. Ma an-
che su questo fronte, sappiamo solo

che la crescita dei prezzi ha come
obiettivo il due percento.

Ma chi guida con una macchina


con un faro spento non migliora la
sicurezza stradale; anzi. Ma anche

ieri, il presidente Powell ha conti-


nuato a girare intorno al concetto di
massima occupazione, che è vicina,

o forse no, o forse sì. Non sarebbe


meglio dare un numero? No, la Fed


non spiega, ed aspetta.
Ma le oscurità non sono certo fi-

nite. Data la relazione (ignota) tra


prezzi ed occupazione, la banca
centrale dovrebbe dare informazio-

ni sull’orientamento della politica


monetaria, indicando in modo
esplicito ed oggettivo se i suoi inter-

venti stanno disegnando uno sce-


nario espansivo, neutro, o restritti-
vo. A tal fine occorrono delle infor-

mazioni sul profilo – effettivo ed at-


teso – dei tre strumenti di
intervento che la Fed può attivare:

i tassi di interesse, gli interventi sui


mercati finanziari, gli annunzi vin-
colanti. Ma su tutti e tre i fronti – e

di nuovo – abbiamo solo ombre.


Quale è il tasso di interesse che la
Fed ritiene neutrale, rispetto al

quale valutare l’orientamento effet-


tivo della politica monetaria? Quale
il percorso in termini di dimensioni

e rischiosità del suo bilancio? Per-
ché continuare ad offrire dei surro-

gati degli annunzi vincolanti, come


le cosidette previsioni sull’anda-
mento di tassi, crescita ed inflazio-

ne? Sono numeri anonimi, indivi-


duali, privi di alcun valore istituzio-
nale e collettivo; insomma, numeri

che non servono a nulla, se non ad


alimentare la parte peggiore delle
analisi e congetture dei cosidetti

central banker watchers.


La Fed non spiega, e posticipa.
Perché posticipare? L’analisi eco-

nomica ci dice che almeno tre sono


le ragioni per cui i banchieri centrali
amano posticipare: non hanno ab-

bastanza informazioni; serve per


raggiungere un consenso, almeno
a maggioranza; l’opportunismo. La

Fed di Powell dice di non avere in-


formazioni, ed ha senz’altro pro-
blemi di dissenso interno – ieri tre

erano i consiglieri dissenzienti.


Non legarsi le mani con una strate-
gia significa poter continuare a gal-

leggiare, tra le pressioni di Trump


e quelle di Wall Street. Se non è op-
portunismo, come lo definiamo?

© RIPRODUZIONE RISERVATA

di Donato Masciandaro


Nel mirino.


Le politiche della
Fed sono da mesi

uno dei bersagli


preferiti di Trump.
Solo nell’ultimo

mese,


il presidente
americano si è

domandato


ironicamente
«chi sia il peggior

nemico degli Usa,


Powell o Xi?»
(23 agosto), ha

invitato «gli


zucconi» della
Fed «a portare

i tassi a zero» (
settembre),

ha citato le ultime


mosse della Bce
come esempio

contrapposto a


una Fed «seduta»
(12 settembre)
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