18 settembre 2019 | Panorama 3
C
EDITORIALE
la sua caduta, o se preferite chiamatelo inciampo,
come la fine delle esigenze che egli rappresentava.
Che ci sia lui a capo della Lega oppure che domani
il partito padano decida di affidarsi ad altri e magari
pure di chiamarsi Pippo, le istanze che hanno gon-
fiato le vele di Salvini rimarranno e daranno vita a un
altro fenomeno politico di uguale se non ancor più
forte portata. Perché il vento del Nord (ma anche del
Centro e del Sud) soffia ancora come spiega bene il
collega Antonio Rossitto nel suo articolo.
Ciò che vogliamo dire è che il leader leghista non
è la causa del malcontento che serpeggia nel Paese,
né che - come fingono di credere molti osservatori
- egli fosse il fomentatore di un risentimento che ha
trovato cittadinanza in molti strati della popolazione.
L’idea che ci fosse un seminatore d’odio, un tizio che
andava in giro ad attizzare gli animi, surriscaldando il
clima, è una scemenza che solo alcuni poco informati
e molto ideologizzati possono credere. La rabbia
dei ceti medi e anche quella delle classi popolari è
indipendente da Salvini. Al leader leghista
si può riconoscere di aver saputo intercet-
tare il sentimento degli elettori, ma nulla
di più. Perché se gli italiani protestano e
si lamentano per l’immigrazione, per l’i-
nefficienza dello Stato, per la tassazione
da record o per la mancata sicurezza in
casa propria, non è perché glielo ha detto
Salvini. Protestano e si lamentano perché
misurano il disagio sulla propria pelle. Non
si può parlare di odio, perché non c’è. E non
si può parlare di razzisti, perché gli italiani
non lo sono. Né ci si può attaccare al fasci-
smo, perché quando i fascisti si sono presentati alle
elezioni hanno preso lo zero virgola.
No davvero: confondere la causa, cioè il disagio,
con l’effetto, cioè Salvini, significa non avere capi-
to nulla. O meglio: vuol dire non volere affrontare i
problemi, ma avere intenzioni di aggravarli. Se, dopo
mesi di polemiche e anche di rivolgimenti elettorali,
la sinistra e il suo governo fanno una legge sui mi-
granti che contraddice la precedente e correggono
le misure che aiutano gli italiani, favorendo gli extra-
comunitari, non resuscitano Salvini - il cui destino non
sappiamo quale sarà e in fondo, in questo momento,
potrebbe anche non riguardarci - semmai seppelli-
scono sé stessi. Pensare infatti che aver abbattuto il
capo leghista, sia sufficiente per far piegare il capo
agli italiani equivale a condannarsi per sempre. Tre
anni di politiche del genere bastano per dilapidare
qualsiasi patrimonio elettorale. Figurarsi quello di un
Conte riciclato. ■
© RIPRODUZIONE RISERVATA
IL DESTINO DI UN CAPITANO
di Maurizio Belpietro
he Matteo Salvini non fosse quel truce dittatore di-
pinto da molti valenti colleghi lo abbiamo sempre
saputo, ma quello che è accaduto quest’estate lo
ha dimostrato senza ombra di dubbio. Un tiranno
o aspirante tale non si fa certo deporre da un com-
plottino agostano, facendosi cogliere impreparato
mentre chiede al popolo pieni poteri. A dare retta ad
alcuni, il ministro dell’Interno si preparava infatti ad
arrestare gli oppositori, mettendoli a tacere per avere
mano libera nel Paese. E invece, a essere arrestate da
una manovrina democristiana di un giglio di campo
come Matteo Renzi sono state solo le ambizioni da
primo ministro del capitano leghista, mentre chi lo
contestava ora è più querulo di prima.
Salvini è insomma scivolato grazie a un semplice
ribaltone parlamentare una di quelle giravolte a cui
la nostra politica ci ha abituato. Fin qui dunque siamo
nella regola, ovvero nella tradizione del
trasformismo politico italiano, che porta
a fare il contrario di quello che si è giurato
che si farà. Nella norma rientrano anche le
inchieste che all’improvviso piovono sul
presunto dittatore dello Stato di banana,
perché quando uno cade c’è la corsa a ba-
stonarlo. Da leader massimo, il capo della
Lega si è ritrovato nel giro di poche setti-
mane leader minimo, con un’inchiesta per
l’uso dei voli di Stato, che pur non essendo
costati un euro ai contribuenti vengono
ritenuti illegittimi, e un’altra per un abuso
commesso dal figlio minorenne, reo di essere salito
a bordo di una moto d’acqua della polizia. Salvini, da
uomo forte che era, in meno di un mese si ritrova in
pratica uomo debole, anzi, debolissimo, tanto che
c’è già chi immagina che presto sarà scaricato pure
dalla stessa Lega, cioè messo in minoranza all’interno
del partito che ha fatto lievitare in cinque anni dal 4
al 34 per cento.
Francamente non sappiamo quale sarà il destino
di Capitan Padania, se cioè anche il suo nome andrà
ad aggiungersi alla collezione di leader che hanno
ballato per una sola stagione e poi sono stati co-
stretti a lasciare la balera nella speranza che fra un
po’ tocchi loro di fare ancora qualche giro di valzer.
A naso diremmo che Salvini lo rivedremo presto e, a
differenza di quelli che lo danno per morto (o forse
vorrebbero che fosse tale), noi pensiamo che la sua
vita politica sia ancora lunga.
Tuttavia, a prescindere dai destini del capo le-
ghista, non vorremmo che qualcuno scambiasse