La Stampa - 08.09.2019

(lily) #1
.

MIRELLA SERRI

«F

iume è
diventa-
ta un po-
stribo-
lo, ricet-
to di ma-
lavita e di prostitute più o me-
no high life», sosteneva indi-
gnato il presidente del Consi-
glio Francesco Saverio Nitti al-
la fine del 1919. Gli arditi, gli
anarco-sindacalisti, i sociali-
sti, i nazionalisti che avevano
invaso Fiume, denunciava Nit-
ti, ne avevano fatto un teatro
di orge e festini a base di sesso
e di cocaina. E responsabili era-
no soprattutto le donne di faci-
li costumi. Il 12 settembre
1919, al seguito legionari di
D’Annunzio arrivarono anche
centinaia di signore e signori-
ne la cui avventura fiumana
non è mai stata raccontata:
adesso viene ricostruita da
Claudia Salaris nel volume
Donne d’avanguardia (uscirà
dal Mulino, che ora manda in
libreria una nuova edizione
ampliata di Alla festa della rivo-
luzione dedicato dalla Salaris
all’impresa di Fiume).
Le fanciulle che occuparono
la città adriatica insieme con le
milizie capeggiate da Guido
Keller riflettevano le aspirazio-
ni delle ultime generazioni
femminili. Durante il conflitto
mondiale le donne avevano so-
stituito in molti lavori gli uomi-
ni che si trovavano al fronte. E
adesso si rifiutavano di rientra-
re tra le pareti domestiche. A
Fiume arrivò un esercito di
maestre, di crocerossine, di
giornaliste, di scrittrici che

crearono una «Città di vita»,
come la chiamò D’Annunzio ,
una «controsocietà» alimenta-
ta da progetti di ugualitarismo
e di libertà.
Ma chi erano le legionarie?
Erano donne spinte dal deside-
rio di indipendenza e di ricono-
scimenti, come la tredicenne
Nada Bosich che lavorava ala-
cremente per confezionare mo-
strine e indumenti per l’inver-
no, come la giornalista Bianca
Flury Nencini che si occupava
dei bambini fiumani, come
Ebe Romano, autrice dell’Inno
a Fiume, che preparava agli esa-
mi i giovanissimi soldati, o co-
me la pianista Luisa Baccara
che teneva concerti in piazza e
che sviluppò con D’Annunzio
la dipendenza dalle piste di
«neve». O come la marchesa
Margherita Incisa di Camera-
na che militava nei reparti di as-
salto. Le sostenitrici dell’impre-

sa fiumana erano disseminate
in tutta la Penisola, come la ge-
niale Enif Robert, autrice con
Filippo Tommaso Marinetti di
Un ventre di donna in cui rac-
conta la sua (immaginaria?) re-
lazione saffica con Eleonora
Duse. A Rapallo, dove il 12 no-
vembre 1920 venne firmato il
trattato internazionale che po-
se termine in modo drammati-
co alla vicenda fiumana, la Ro-
bert gettava volantini e compi-
va azioni provocatorie.
La legionarie volevano var-
care nuovi confini anche
nell’ambito più intimo e priva-
to. L’aristocratica Margherita
Keller Besozzi, con lo pseudoni-
mo di Fiammetta, fu la porta-
bandiera delle richieste femmi-
nili in ambito erotico. «Avere il
coraggio della propria sessuali-
tà e del proprio desiderio / Sa-
per trovare l’UOMO», predica-
va, «prenderselo, avvincerlo,

stordirlo, tenerselo... / La don-
na di Fiume è la MADRE della
donna moderna...». Da vera
provocatrice aggiungeva: «So-
no giovane. / Fumo molte siga-
rette. / Me ne frego della crocia-
ta contro il lusso e porto sottove-
sti di seta. / [...] Sono stata di
molti uomini. / Lo confesso sen-
za arrossire».
Anche nell’abbigliamento
le legionarie volevano egua-
gliare i maschi: indossavano
casacche militari e portava-
no spadini sotto la giubba do-
ve avevano ricamato: «O Fiu-
me o morte». Le truppe del
Comandante furono il labora-
torio politico del Ventennio
nero. Sperimentarono la poli-
tica di massa, il mito della ro-
manità, il braccio teso e i salu-
ti come «Eia, eia alalà», la can-
zone Giovinezza, il legame
mistico tra la folla e il Capo.
Lo spirito femminile, deside-
roso di libertà e di nuove re-
gole, si rifletteva nella Carta
del Carnaro, la costituzione
dello Stato indipendente pro-
clamato in attesa del ricon-
giungimento alla madrepa-
tria, in cui era sancito il dirit-
to di voto delle donne e il suf-
fragio universale.
Le legionarie pagarono an-
che con la vita la loro baldan-
za. Nel dicembre 1920, quan-
do Fiume fu espugnata dall’e-
sercito regolare italiano, pure
le giacchette femminili si intri-
sero di sangue e tra le fanciul-
le vi furono vittime e mutila-
te. Ma della vicenda si perse
la memoria. Non quella del
gran circo fiumano che, se-
condo la Salaris, con la rivol-
ta giovanile, le droghe, gli
amori omo ed etero, e soprat-
tutto con la richiesta femmi-
nile di emancipazione, antici-
pò la fantasmagoria ribelle
degli anni Settanta. —
c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

Spinte dal desiderio
di indipendenza,
tra rivendicazioni
politiche e sessuali

In un Paese intossicato dai veleni della guerra
sembrava che tutti i nodi politici si potessero
sciogliere con l’uso della forza. Ma la rivoluzione
che tutti si aspettavano da sinistra di lì a tre anni
sarebbe venuta dai nazionalisti e dai fascisti

Gastone Canziani (secondo da sinistra)

NICOLA MARANESI

G


iovani ribelli guida-
ti da un poeta alla
conquista militare
di una città, contro
il volere del potere
costituito. L’occu-
pazione di Fiume condotta da
Gabriele d’Annunzio e da alcu-
ne migliaia di «legionari» av-
venne in un clima di rivoluzio-
narismo giovanile senza prece-
denti nella storia d’Italia. Gra-

zie alle memorie scritte da al-
cuni dei protagonisti di quella
impresa - conservate all’Archi-
vio di Pieve Santo Stefano - è
possibile rievocare gli stati d’a-
nimo e le motivazioni che spin-
sero migliaia di ragazzi, molti
dei quali ex combattenti della
Prima guerra mondiale anco-
ra in servizio nel Regio eserci-
to, ad arruolarsi volontari tra
gli irregolari dannunziani.
«Non si scorgeva una fine-

stra libera. Bandiere tricolori
dappertutto. Fiori per ogni do-
ve, manifesti con la scritta: Ita-
lia o morte; o Fiume o morte.
Quello spettacolo fece gioire il
mio cuore di gioia. In giro, tro-
vavo soldati di tutte le armi. Uf-
ficiali e gruppi di signorine fiu-
mane cantavano inni patriotti-
ci. Pareva rivivere una vecchia
pagina di storia del Risorgimen-
to. Dovunque si gridava morte
al Croato, la città non era altro

che bianco, rosso e verde. Ogni
sera conferenze, dimostrazio-
ni, cortei e canti patriottici...».
A descrivere il momento del
suo ingresso a Fiume è Giovan-
ni Bartoli, ex Ardito di vent’an-
ni proveniente da una modesta
famiglia del ceto medio roma-
no, veterano del fronte del Pia-
ve. Con lui, con i reduci, arriva-
no a Fiume anche i ragazzi nati
dopo il 1900, che non hanno
combattuto la Grande Guerra
ma sono cresciuti sotto il bom-
bardamento della propaganda
patriottica negli anni del con-
flitto, impazienti di ritagliarsi
un ruolo nella storia degno di
chi li aveva preceduti.
Tra questi c’è Gastone Can-
ziani, nato a Trieste nel 1904,
quindicenne animato da ideali
irredentisti, ammiratore di
D’Annunzio nei giorni in cui de-

cide di indossare il vestito della
comunione, appuntare sul pet-
to tutte le medaglie che trova in
casa e raggiungere il suo mito a
Fiume. Questa è la prima lette-
ra che spedisce alla famiglia dal
posto di blocco di Valscurigne,
uno degli accessi alla città occu-
pata, dove è impiegato in turni
di guardia: «Carissimi, Vi pos-
so finalmente scrivere per la
prima volta in pace. Noi siamo
venuti qui con la speranza che
avremo da menar le mani con
quelli svergognati che si na-
scondono alla frontiera col cap-
pello fregiato dal nostro giura-
mento: Fiume o morte. Ma se
quei tali azzarderanno avanza-
re troveranno di fronte a loro
un pugno di anime ardite soste-
nute dalla candida fede che
mai non vacilla, quella fede l’a-
limenta l’anima di mille piccoli

grandi eroi caduti ignoti sulle
rocciose colline, sognando un
sogno beato e che non fosse
lontano...».
Tutt’altro approccio è quello
di Pietro Riccobaldi, nato nel
1901 in una povera famiglia di
contadini liguri. Nel 1919 è un
ragazzo in fuga dalla miseria,
arruolato contro la sua volontà
nella Regia Marina. Ha solo
un’idea vaga di chi sia D’Annun-
zio e ignora le ragioni per cui l’I-
talia intera discute di Fiume. La
sua storia è simile a quella dei
molti che si sono uniti all’occu-
pazione un po’ per caso, un po’
per spirito d’avventura. Quan-
do il cacciatorpediniere Espero
su cui è imbarcato getta l’anco-
ra davanti alla rada di Fiume,
con l’ordine di impedire i rifor-
nimenti ai ribelli, l’idea di am-
mutinarsi e sposare la causa di

D’Annunzio si fa strada nell’e-
quipaggio. «Da quel giorno si
cominciò a complottare; era
tutto un gioco per spingerci a
passare dall’altra parte, uomini
e nave. Di notte Fiume, con tut-
te le sue luci, era una scena pie-
na di incanto; mi scoprivo a
pensarla italiana sicché l’idea
di passare dall’altra parte co-
minciava a piacermi, non per-
ché capissi le menate di D’An-
nunzio, ma così, per spirito ri-
belle, per il gusto di essere con-
tro l’autorità in genere».
E così avviene: l’Espero si am-
mutina, Riccobaldi mantiene il
suo approccio disincantato.
«Scendemmo a terra e fummo
ricevuti da D’Annunzio con
una stretta di mano, un abbrac-
cio e un bacio; anch’io fui bacia-
to dal poeta. Decidemmo di ri-
manere anche se non tutti con

le stesse convinzioni. Rimasi
per opportunismo, perché non
c’era disciplina. Di Fiume e
D’Annunzio non mi importava
un bel niente».
Nient’altro che il ribellismo
accomuna le testimonianze di
Pietro, Giovanni e Gastone. Un
sentimento che le istituzioni
dell’epoca non seppero inter-
pretare né incanalare, tanto
più al termine dell’esperienza
fiumana: dopo l’inverno del
1920, quando l’esercito regola-
re cacciò D’Annunzio e le sue
truppe, buona parte di quei ra-
gazzi e molti altri che in Italia
ne condividevano le ansie gene-
razionali trovarono ad acco-
glierli le braccia spalancate di
un movimento appena fondato
e giovanilista per definizione.
Lo squadrismo fascista. —
c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

GIOVANNI DE LUNA

I


l 1919 è il primo anno di pa-
ce dopo una guerra enor-
memente distruttiva. Trop-
pe ferite impossibili da ar-
chiviare, troppi veleni anco-
ra a intossicare un dopo-
guerra inquieto e tumultuoso.
La situazione economica era al-
larmante. Lo sforzo bellico era
costato un forte incremento
del debito pubblico (nel
1913-1914 il deficit del bilan-
cio dello Stato era di 214 milio-
ni; nel 1918-1919 era arrivato
alla cifra record di 23.345 mi-
lioni!); l’aumento dei prezzi e il
reinserimento dei reduci - cen-
tinaia di migliaia di giovani che
tornavano a casa con scarse
prospettive di trovare un lavo-
ro - alimentavano una rabbia
sociale che sembrava inconte-
nibile. Gli scioperi contro il ca-
rovita, nel giugno-luglio di
quell’anno, con tumulti di piaz-
za e saccheggi dei negozi, die-
dero la sensazione che la prote-
sta potesse sfociare in una in-
surrezione generalizzata, ali-
mentando la «grande paura»
che il bolscevismo potesse ave-
re successo anche in Italia. Gli
avvenimenti russi del 1917 ave-
vano infatti suscitato un’attesa
«messianica» di rivolgimenti
sociali. Di contro, tra i ceti me-
di, gli ufficiali inferiori di com-
plemento, dopo aver assapora-
to l’ebbrezza dell’autorità e del
comando, lasciavano a malin-
cuore le trincee per ritornare a
una vita quotidiana fatta di pre-
carietà e incertezza.
Erano convulsioni che rim-

balzavano direttamente sulla
politica. Le formule che aveva-
no segnato l’età giolittiana era-
no tramontate e non c’era più
una coalizione di partiti in gra-
do di dare stabilità al governo,
di gestire con lucidità la diffici-
le transizione verso la pace. L’e-
secutivo presieduto da Vittorio
Emanuele Orlando, che pure
godeva del prestigio derivante
dalla vittoria sugli austriaci,
cadde a causa delle difficoltà in-
contrate dalla delegazione ita-
liana alla Conferenza di Parigi.
Gli successe Francesco Saverio
Nitti. Dopo l’approvazione di
una legge elettorale che intro-
duceva il sistema proporziona-
le, le Camere furono sciolte e si
tennero le elezioni (16 novem-
bre 1919): il vecchio blocco li-
beraldemocratico risultò anco-
ra la forza politica più votata
(con il 38,9% dei voti), conqui-
stando però appena 179 depu-
tati, quando in precedenza ne
aveva 310. Si trattava di una
perdita secca, che sanciva l’im-
possibilità di costituire una
maggioranza restando all’in-
terno del quadro politico, im-
perniato sui liberali, che aveva
guidato il Paese per più di ses-
sant’anni.
La guerra aveva stabilito un
nesso strettissimo tra la violen-
za e i comportamenti collettivi.
Sembrava che tutti i nodi politi-
ci fossero da sciogliere affidan-
dosi alle armi e all’uso della for-
za; si guardava con insofferen-
za alle formule della democra-
zia, al vecchio progetto giolit-
tiano di «controllare» il conflit-

to politico, sradicandolo dalle
piazze per riportarlo fisiologi-
camente nelle aule parlamen-
tari. La stessa sfiducia circon-
dava la possibilità che si potes-
sero ristabilire normali relazio-
ni diplomatiche tra Stati. Si co-
minciò a parlare di «vittoria
mutilata», proprio in relazio-
ne all’insoddisfazione per co-
me l’Italia veniva trattata alla
Conferenza di pace di Parigi.
La nostra delegazione si era im-
pegnata nel tentativo di ag-
giungere alle conquiste territo-
riali già promesse dagli Alleati
con il trattato di Londra anche
la città di Fiume, in Dalmazia,
abitata in prevalenza da italia-
ni. La ferma opposizione delle
altre potenze vincitrici indus-

se i nostri rappresentanti diplo-
matici addirittura a disertare
per un breve periodo il tavolo
dei colloqui.
Per forzare la mano agli Al-
leati mettendoli di fronte a un
fatto compiuto, il 12 settembre
1919 circa duemila tra «legio-
nari» e volontari, guidati da Ga-
briele D’Annunzio occuparono
Fiume. Lo stesso D’Annunzio
assunse il comando della città,
proclamandone l’annessione
all’Italia. Era un gesto rivoluzio-
nario, un’iniziativa militare ille-
gale che lasciava presagire
quello che sarebbe accaduto
tre anni dopo, nel 1922: la rivo-
luzione che tutti si aspettavano
dai comunisti e dai socialisti sa-
rebbe venuta da destra, dai na-
zionalisti e dai fascisti.
In quella fase, le istanze rivo-
luzionarie erano ancora mag-
matiche e confuse e intreccia-
vano motivi di entrambi gli
schieramenti. A Fiume D’An-
nunzio varò una sorta di Carta
costituzionale in cui si afferma-
va, ad esempio, che «lo Stato
non riconosce la proprietà co-
me il dominio assoluto della
persona sopra la cosa, ma la
considera come la più utile del-
le funzioni sociali».
L’avventura fiumana durò
15 mesi, provocò la caduta
del governo Nitti che non era
stato capace né di evitarla, né
di reprimerla, e si concluse sol-
tanto con il Trattato di Rapal-
lo del 12 novembre 1920, che
assegnò alla città lo status di
«città libera» (diventerà pie-
namente italiana nel 1924).
D’Annunzio rifiutò di accetta-
re quella soluzione; per co-
stringerlo ad abbandonare la
città fu necessario far interve-
nire l’esercito. Fiume fu bom-
bardata e 18 gennaio 1921
D’Annunzio si arrese. —
c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

IL 12 SETTEMBRE 1919 IL BLITZ DI D’ANNUNZIO CON L’ANNESSIONE DELLA CITTÀ DALMATA

O Fiume o morte!

Nella spedizione del Vate

i primi passi

della marcia su Roma

4

D’ANNUNZIO A MUSSOLINI
ALLA VIGILIA DELLA
PARTENZA PER FIUME

Centinaia di ragazze
e signore al seguito del
poeta, la loro avventura
ricostruita in un libro
di Claudia Salaris

Una ricerca sulle donne che fecero l’impresa

E le legionarie

anticiparono

il Sessantotto

1

2 3

Mio caro compagno,
il dado è tratto.
Parto ora. Domattina
prenderò Fiume
con le armi. Il Dio
d'Italia ci assista.
Mi levo dal letto
febbricitante.
Ma non è possibile
differire


  1. Gabriele d’Annunzio a Fiume tra i suoi legionari. 2. Il poeta a colloquio con il capitano
    Pier Filippo Castelbarco, comandante del XIII Reparto d'assalto (foto del 29 maggio 1920).

  2. Anche le donne nell’impresa fiumana (questa immagine, così come la n. 2, sono tratte
    dalla mostra «La città inquieta e diversa. Documenti di una rivolta», al Vittoriale di Gardone
    Riviera fino all’inizio dell’anno prossimo). 4. Un manifesto con la parola d’ordine dei legionari


ARCHIVIO DIARISTICO NAZIONALE, PIEVE S. STEFANO
Giovanni Bartoli a Fiume nel 1919

ARCHIVIO DIARISTICO NAZIONALE, PIEVE S. STEFANO

LE MEMORIE DEI GIOVANI RIBELLI STREGATI DAL COMANDANTE

“Siamo qui con la speranza

che avremo da menar le mani”

Quando l’esercito
regolare italiano
riprese il territorio
più d’una perse la vita

22 LASTAMPADOMENICA 8 SETTEMBRE 2019
TMCULTURA
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