Il Sole 24 Ore - 08.09.2019

(Michael S) #1

10 Domenica 8 Settembre 2019 Il Sole 24 Ore


Commenti


IL NUOVO ESECUTIVO ITALIANO

UN GOVERNO


EUROPEO,


NON FATTO


IN EUROPA


—Continua da pagina 

Q


uella governance produce effetti asimme-
trici tra Paesi del nord e del sud e soprattut-
to è divenuta (per via della sfiducia prodot-
ta dalla crisi dell’euro) un sistema di cre-
scente centralizzazione regolativa delle
politiche economiche nazionali. È qui che
bisognerà intervenire, non solamente rivendicare una
maggiore flessibilità nell’interpretazione del Patto di
stabilità e crescita. Un intervento, però, che sarà tanto più
credibile quanto più sarà accompagnato da scelte coe-
renti al nostro interno, capaci di favorire insieme crescita
economica e sostenibilità del debito pubblico. Altroché le
chiacchiere di Borghi e Bagnai.
Secondo. Se è vero che l’Ue fa parte della nostra politi-
ca interna, è anche vero che quest’ultima deve far parte
della politica europea. Ciò significa che l’Eurozona, in
particolare, dovrà avviare una riforma per superare il
modello univoco di convergenza che si è imposto nel
corso della crisi dell’euro. Modello coerente con le strut-
ture di alcuni Paesi ma non di altri. È bene che Bruxelles
si aspetti riforme da parte di Roma, ma è bene che anche
quest’ultima chieda a Bruxelles di fare altrettanto. La
presenza di Paolo Gentiloni nella Commissione europea
non è una garanzia per ottenere più flessibilità per l’Ita-
lia, bensì per fare avanzare la riforma della governance
europea (i commissari, ricordiamolo, rappresentano l’Ue
e non già i loro Paesi di provenienza). I due processi
riformatori (interno ed esterno) debbono andare avanti
insieme. Soprattutto debbono essere reciprocamente
coerenti. L’Eurozona deve avviare politiche di investi-
mento infrastrutturale e di protezione sociale (oltre che
concludere l’unione bancaria e dei capitali), dotandosi di
un’autorità politica e fiscale indipendente dai suoi stati
membri. Il nuovo governo italiano dovrà aiutare la
riforma dell’Eurozona convergendo necessariamente
con il governo francese di Macron, così da spingere la
Germania ad uscire dalla logica difensivista in cui si è
imprigionata (e ha imprigionato l’intera Eurozona).
Altroché governo (quello nuovo) al servizio di Berlino.
Terzo. La compenetrazione tra Italia e Ue non riguar-
da solamente le politiche economiche, ma anche la
struttura degli interessi. Dal punto di vista di quelli
geopolitici, l’approccio sovranista del governo preceden-
te aveva portato all’allontanamento dell’Italia dai nostri
partner naturali (i Paesi dell’Europa occidentale-conti-
nentale insieme a cui abbiamo avviato il processo di
integrazione), avvicinandoci a Paesi (come l’Ungheria e
la Polonia) con una visione dichiaratamente anti-inte-
grazionista. Ciò in nome di un’ideologia sovranista (che
ha le sue radici nel nazionalismo) che ritiene inconcilia-
bile la sovranità nazionale e quella europea. Una conver-
genza ideologica difficile da giustificare in un Paese,
come il nostro, che ha inventato il fascismo. Dal punto di
vista degli interessi geoeconomici, il sovranismo del
precedente governo aveva messo in discussione sia
l’integrazione monetaria (con minacce periodiche ad
uscire dall’euro) che quella economica (presentando il
mercato unico come un complotto franco-tedesco per
condizionare la nostra libertà). Come poteva conciliarsi
questa visione con gli interessi economici, finanziari,
sociali, culturali del nostro Paese, da decenni intrecciati
con quelli degli altri Paesi europei? Una gran parte della
struttura produttiva del nostro Paese (non solo del
centro-nord) è collegata alle catene di valore dell’indu-
stria europea (non solo tedesca), il nostro potenziale di
sviluppo è correlato allo sviluppo degli altri Paesi euro-
pei. E viceversa. Altroché governo (quello nuovo) che
tradisce gli interessi dell’Italia.
Insomma, il nuovo governo Conte, se vuole essere
discontinuo con il vecchio governo Conte, non può
che essere un governo europeo. Un governo europeo
è tale se riconosce le interdipendenze strutturali tra
l'Italia e gli altri Paesi europei, interdipendenze che a
loro volta possono (e debbono) essere diversamente
governate. Per fare questo ci vogliono nuove idee,
oltre che un nuovo esecutivo e nuovi ministri. E
soprattutto ci vuole una nuova narrativa che convin-
ca i cittadini italiani a considerare la complessità
come un'opportunità, non solo come un vincolo. E'
bene che i mercati abbiano salutato positivamente il
nuovo governo (ci fa risparmiare parecchi miliardi),
ma non è un bene che la maggioranza dei cittadini
non la pensi altrettanto. A questo serve la politica
(italiana ed europea). Dovrebbe far capire subito di
aver capito bene.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

«R

icordo
perfetta-
mente il
brivido e
la vertigi-
ne che ho
provato in quel momento. Erano il
brivido e la vertigine del romanzie-
re che si accorge che c’è una mate-
ria narrativa inedita. Mi trovavo a
casa. Stavo lavorando a Il tempo mi-
gliore della nostra vita, il libro che
ho dedicato a Leone Ginzburg, l’in-
tellettuale arrestato per la prima
volta nel  dal regime fascista,
mandato nel  al confino e mor-
to nel  nel carcere di Regina
Coeli per le torture subite dai nazi-
sti. Stavo guardando al computer
un filmato dell’Istituto Luce su Be-
nito Mussolini che parlava dal bal-
cone di Piazza Venezia. E, all’im-
provviso, mi sono detto: ma que-
sto, ma tutto questo, nessuno lo ha
mai raccontato dal punto di vista,
con il linguaggio e con le logiche
del romanzo».
Antonio Scurati è l’autore di M. Il
figlio del secolo, romanzo di forma-
zione su Benito Mussolini, il socia-
lista direttore dell’Avanti! che -
passando attraverso la Prima guer-
ra mondiale e la divisione fra neu-
tralisti e interventisti, il liquefarsi
delle classi dirigenti liberal-giolit-
tiane e la crisi economica, gli im-
pulsi generati dalla Rivoluzione
d’Ottobre e la violenza del Biennio
Rosso - abbandona il socialismo
per fondare il Fascismo o, meglio,
per catalizzarlo e dare a esso un or-
dine politico e ideologico. Con que-
sto libro, Scurati ha ottenuto il ri-
scontro della critica letteraria - che
ha riconosciuto in lui una voce ori-
ginale e mimetica, in grado di adat-
tarsi e di dare vita a una personalità
tragica e polimorfa come Mussolini


  • e che ha avuto il successo del pub-
    blico, con mila copie vendute e
    traduzioni in corso in  Paesi. Due
    linee che si sono intersecate con la
    vittoria al premio Strega.
    Siamo alla Belle Aurore, in via
    Giuseppe Abamonti, non lontano
    da Porta Venezia a Milano. La Belle
    Aurore è stata modellata su un gu-
    sto francese, alla fine degli anni
    Settanta, da esponenti della sini-
    stra extraparlamentare milanese.
    «Ti ho proposto di venire qui per-
    ché è un locale che frequento sia a
    pranzo sia prima di cena: da vene-
    ziano non rinuncio, nel tardo po-
    meriggio, a bere una cosa. E, poi,
    perché si trova a poche centinaia di
    metri dalla prima casa di Benito
    Mussolini, in Via Castel Morrone,
    dove lui venne ad abitare nel ,
    appena nominato direttore del-
    l’Avanti!». Quando, finito il nostro
    pranzo, faremo due passi fino a Via
    Castel Morrone, il portiere ci indi-
    cherà l’esatta collocazione dell’ap-
    partamento, aggiungerà che per
    lungo tempo non è che gli abitanti
    del caseggiato ne abbiano parlato
    troppo volentieri e ricorderà i rac-
    conti degli ultimi anziani su Mus-
    solini che teneva con sé in casa ani-
    mali di campagna, per farli uscire
    ogni tanto a razzolare nel cortile e
    nei prati qui intorno.
    Scurati, alla Belle Aurore, è di ca-
    sa. La cameriera gli chiede: «Toni,


che cosa prendiamo?». Entrambi
scegliamo fusilli con ricotta e ori-
gano. Vicino a noi c’è un frigo rosso
Philco, di quelli non alti ma panciu-
ti, con sopra scritto a caratteri di
metallo “Ice cold”. Alle pareti sono
appese affiche pubblicitarie stori-
che: Bitter e Cordial Campari, grap-
pa Piave, Coca Cola. Bottiglie vuote
di vini francesi e italiani sono ap-
poggiate alle mensole. I tavolini so-
no semplici, le tovaglie di carta. A
fianco a noi operai sono in pausa
dal lavoro. Una coppia di amiche
scherza, ride e coccola un cucciolo
di barboncino. Una ragazza finisce
il pranzo con un gelato.
Scurati è vestito con una cami-
cia blu e un paio di jeans. In lui,
sarà la figura allungata e gli occhi
chiarissimi, c’è qualcosa di otto-
centesco. Fa venire in mente un
ufficiale settentrionale del regio
esercito sabaudo nella interpreta-
zione che Luchino Visconti diede
del Gattopardo di Giuseppe Toma-
si di Lampedusa. Potrebbe, per
estetica e portamento, spuntare a

fianco di Alain Delon che inter-
preta Tancredi.
«Per voi niente vino, Toni?»,
chiede la cameriera. No, niente vi-
no. Acqua minerale per entrambi.
«Scrivere M è stata una sfida narra-
tiva e anche metodologica. Ho scel-
to di lavorare su fonti di secondo
grado. A parte la memorialistica del
tempo, mi sono appoggiato alla
storiografia classica. Da Angelo Ta-
sca, già membro del Partito Comu-
nista che scrisse quasi in preda di-
retta, a Renzo De Felice, che dagli
anni Sessanta con la sua opera pub-
blicata da Einaudi ha cambiato lo
sguardo di tutti su quell’epoca, da
Claudio Pavone che all’inizio degli
anni Novanta ha fissato il codice
della “guerra civile” al meno noto
Matteo Millan, con i suoi lavori sul-
lo squadrismo e sugli squadristi».
Il problema del metodo, che nel
caso di una questione scabrosa per
la identità italiana come il Fascismo
è tanto più delicato, assume una
valenza solo in apparenza astratta


  • ma in realtà concretissima - nel
    momento in cui si compone un ro-
    manzo storico come M. Soprattutto
    perché M è il primo libro di una tri-
    logia che ricostruirà l’intera para-
    bola del Fascismo, fino alla sua ca-
    duta. «Per il secondo volume, che
    sto già scrivendo - spiega Scurati -
    utilizzerò anche fonti di primo gra-
    do, come alcuni fondi conservati al-
    l’Archivio Centrale dello Stato. Per
    esempio, i carteggi fra Mussolini e
    i suoi collaboratori. Fonti note a
    una ristretta cerchia di studiosi, che
    io inserirò nell’affresco narrativo in


cui il Fascismo si fa regime».
La luce dello scrittore che si ac-
cende, con il tema della racconta-
bilità romanzesca del fondatore
del Fascismo. Il confronto da ro-
manziere con gli storici, con tutte
le incomprensioni e le ambiguità,
le critiche e le diffidenze che sorgo-
no sistematicamente, non soltanto
in Italia, quando le due professioni
culturali si misurano e si confron-
tano sullo stesso tema, adoperan-
do ciascuna i propri differenti stru-
menti. E, poi, il sottostante, insie-
me personale e intellettuale, alla
intera operazione di M: la fine della
«pregiudiziale antifascista», nel
senso - secondo Scurati, che usa
proprio questa espressione - del
raggiungimento di un distacco se-
reno e convinto dall’idea che no,
quegli argomenti siano tabù e che
dunque non siano degni di essere
raccontanti, se non con una patina
di moralismo giudicante. Una
«pregiudiziale antifascista» che, se
nel perimetro della storiografia
non era mai esistita concettual-
mente per Renzo De Felice e i suoi
allievi e che invece è caduta per gli
studiosi di sinistra nel  con la
pubblicazione di Una Guerra Civile.
Saggio sulla moralità della Resisten-
za di Claudio Pavone, nel campo
della narrativa - per l’autore di M -
ha continuato a persistere fino a
ora. «Io sono sempre stato di sini-
stra. E lo sono tutt’ora. Sono nato
a Napoli e sono cresciuto a Vene-
zia. Mio padre Luigi è ragioniere e
ha lavorato come dirigente alla
Coin. Mia madre Rosaria proviene

dalla Napoli più popolare. Mio
nonno paterno Antonio, da cui ho
preso il nome, era un fresatore del-
l’Alfa Romeo al Portello di Milano,
aristocrazia operaia dunque. Ho
fatto il liceo classico al Foscarini in
una Venezia che, negli anni Ottan-
ta, viveva esperienze ciniche ma
divertenti, per noi ragazzi, come la
reinvenzione del carnevale per
opera dei socialisti di Gianni De
Michelis: decine di migliaia di per-
sone che ballavano in Piazza San
Marco al ritmo di musiche brasilia-
ne, tutte davanti a un palco enorme
su cui non c’era nessuno, se non un
gigantesco impianto stereofonico.
Quando sono venuto nel  a
studiare filosofia alla Statale di Mi-
lano, si viveva l’ultima occupazio-
ne delle università: la Pantera, che
mi interessava ma con ironia tanto
che già allora dicevo di fare parte
del suo zoccolo ludico, il Leonca-
vallo, i residui dell’Autonomia
Operaia, i gruppi anarchici del
Ponte della Ghisolfa. La mia radice
è in quella sfera politica e culturale.
E, in un percorso di scrittore che mi
ha portato a misurarmi più volte
con il romanzo storico, anche par-
tendo da quella mia identità ho
creduto utile raccontare Mussolini
e il Fascismo».
«Volete un dessert?», chiede la
cameriera. Lui prende una mace-
donia con limone, io scelgo un ge-
lato alla crema ricoperto di ciocco-
lato. Scurati si confronta con tre
fantasmi: il fantasma di Mussolini,
il fantasma del romanzo storico e il
fantasma della realtà. «Ho fatto un
anno di scuole superiori a Medina,
una città di mila abitanti nello
Stato di New York. Ho letto subito
in lingua originale i libri di Cormac
McCarthy. Meridiano di sangue è un
romanzo storico ambientato nel
West che ha fatto rivivere in chiave
moderna l’epica antica. Ho trovato
molto importante American Ta-
bloid, il primo dei tre romanzi della
trilogia americana di James Ellroy.
Negli Stati Uniti uscì nel . La
presentazione che Ellroy fece a Mi-
lano fu un evento sconvolgente».
Arrivati al caffè, compare nel no-
stro colloquio il terzo dei tre fanta-
smi: la realtà. Le voci e i pensieri, le
pulsioni e le paure che animano og-
gi gli italiani. «Se c’è un ritorno del
Fascismo oggi? Non credo. È vero
che riemergono pose, attitudini e
retoriche simili a quelle degli anni
della sua affermazione. Ma è altret-
tanto vero che manca, per fortuna,
la componente della violenza siste-
matica e della militarizzazione del-
la lotta politica. Semmai l’analogia,
ieri come oggi, riguarda il senti-
mento dilagante di declassamento
e di umiliazione della piccola e della
media borghesia. Allora questo si
univa alla repulsione per la leader-
ship della Italia liberale giolittiana.
Adesso capita lo stesso, con il fasti-
dio muto per una condizione ne-
gletta e peggiorata che alimenta
una avversione urlata contro le
classi dirigenti. In questo, i giorni
del Biennio Rosso, fra il  e il
, sono simili ai giorni che vivia-
mo oggi».
á@PaoloBricco
© RIPRODUZIONE RISERVATA

di Paolo Bricco


L’autore che ha vinto lo Strega con «M» e venduto mila copie,


nella via dove abitò Mussolini a Milano, ragiona sul presente


Borghesia umiliata e avversione


alle élite, le similitudini pericolose


A TAVOLA CON


Antonio Scurati


di Sergio Fabbrini


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NON CREDO
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Ritratto di
Ivan Canu
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