Il Sole 24 Ore - 08.09.2019

(Michael S) #1

8 Settembre


domenica


2019


Scontro campale
Louis-François
Lejeune,
«La battaglia
di Marengo»,
Versailles,
Musée National
des Chateaux
et du Trianon

Terza pagina
Jules Vallès,
un provocatore a Parigi
Giuseppe Scaraffia, P. 

Letteratura
La storia come fatto
linguistico

Francesco Sabatini, P. 

Arte
Gli splendori artistici
dell’antico Siam
Antonio Aimi, P. 

IL MITO
DI MARENGO
TRA POLLI
IN PENTOLA
E NUMISMATICA

La ricetta
del «Pollo
alla Marengo»
secondo
l’Artusi
La battaglia di
Marengo del
giugno 1800, tra
francesi (guidati
dal Primo Console
Bonaparte) e
austriaci, divenne
un mito. Tanto
che lasciò tracce
con “Il pollo alla
Marengo”: il
cuoco di
Napoleone lo creò
per festeggiare la
vittoria, ricorda
Pellegrino Artusi
ne “La scienza in
cucina e l’arte di
mangiar bene”
(1891). Egli parla
di “galline rubate”,
alle quali si
aggiungono
questi
ingredienti:
scalogno, funghi,
passata di
pomodoro,
prezzemolo, olio,
burro, farina,
brodo e vino
bianco. Inoltre nel
1801 la
Repubblica
Subalpina,
sempre per
festeggiare la
vittoria, coniò il
marengo (o
napoleone), una
moneta d’oro
(nella foto). Il
nome rimase per
le auree da 20
franchi o lire,
anche dopo la
caduta di
Napoleone, in
Francia, Svizzera,
Belgio e Italia. Da
noi, tra il 1803 e il
1815, l’effigie di
Console fu presto
sostituita da
quella imperiale

Grandi battaglie. Una nuova ricostruzione dello scontro svela il ruolo


dell’enigmatico agente segreto italiano, «fedele» ad Austria e Francia,


non estraneo alla grande incertezza che quel giorno regnò sul terreno


Napoleone e la spia:


doppio gioco a Marengo


Luigi Mascilli Migliorini


L’


uniforme, una giacca
blu a coda di rondine
e i bottoni dorati, era
piuttosto logora.
Qualcuno, più atten-
to, giura anche che ci
si potevano vedere i piccoli buchi
fatti dalle tarme. Nonostante tutto,
quel  maggio del , tornando
sul campo di battaglia di Marengo,
dove lo aspettavano trentamila
soldati pronti a salutare il loro ge-
nerale che di lì a qualche giorno sa-
rebbe stato incoronato, a Milano,
re d’Italia, Napoleone aveva scelto
di indossarla. E non aveva mancato
di aggiungervi una feluca scolorita
dal tempo, anzi dal cattivo tempo
dei giorni in cui, per arrivare in
quella afosa pianura, aveva dovuto
attraversare le Alpi coperte ancora
di neve. Non era solo nostalgia. La
guerra con le grandi monarchie
europee era ormai imminente e bi-
sognava ravvivare lo spirito guer-
resco di una Francia che stava
prendendo troppo sul serio quella
espressione fortunata “il più civile
dei militari” con la quale essa aveva
salutato la sua ascesa al potere. I
cinque anni trascorsi dai giorni di
Marengo sono, del resto, anche
quelli che gli storici considerano i
più positivi della effimera epopea
napoleonica. Sono gli anni del
“Grande Consolato”, nel quale si
rincorrono la istituzione della

Banca di Francia e l’organizzazio-
ne dei prefetti, il superbo Codice
civile e la pace religiosa finalmente
raggiunta con il Concordato. Anni
senza guerre e dunque anche sen-
za vittorie, e di queste ultime Na-
poleone ha urgente bisogno, ora
che la guerra sta per ricominciare,
ora che, forse, egli assapora già il
gusto di un altro piccolo villaggio
che egli renderà celebre, non Italia,
stavolta, ma in Moravia, e che si
chiama Austerlitz.
Vale la pena, dunque, per riani-
mare simboli di una gloria militare
appannatasi nei giorni di una sag-
gia amministrazione, indossare
quella giacca troppo calda e la felu-
ca un po’ troppo pesante sulla testa.
A Marengo, d’altronde, cinque anni
prima pioveva e c’era il freddo di
un’estate che stentava ad arrivare,
non come ora che una bella prima-
vera accoglie i ventidue battaglioni
di fanteria e i quattro reggimenti di
cavalleria venuti a rendergli omag-
gio. Pioveva come pioverà a Water-
loo, battaglia che sarebbe facile im-
maginare come una medaglia ro-
vesciata di Marengo: una vittoria
sicura fino alle quattro del pome-
riggio e che poi si trasforma nella
più dolente delle sconfitte. Maren-
go era stata, invece, e così tutti la
ricordavano quel giorno di maggio,
una battaglia persa fino alle due del
pomeriggio e vinta inaspettata-

mente prima di sera.
Carponi sulla carta d’Italia dise-
gnata dal capitano Jean-Baptiste
Hyppolite Chauchard, fissando
spilli variamente colorati in corri-
spondenza di strade, villaggi, pre-
sumibili concentramenti di truppe
nemiche, si racconta che Napoleo-
ne abbia così pianificato, nel mar-
zo del , la campagna militare
che avrebbe dovuto portarlo a in-
contrare l’esercito austriaco in un
luogo che egli quel giorno indicò
con precisione sulla vasta mappa:
San Giuliano, nella pianura di
Alessandria, vicino ad un paesino
chiamato Marengo. Cardine di
questa strategia era il disegno di
superare le Alpi attraverso il valico
del San Bernardo, in un’epoca del-
l’anno in cui nessuno si sarebbe
provato a far passare un esercito da
quella parte, quando i soldati sa-
rebbero stati costretti a salire con
gran pena lungo sentieri a stra-
piombo ancora innevati e i canno-
ni, trascinati sui loro fusti, avreb-
bero rischiato ad ogni momento di
precipitare nei dirupi. Impresa leg-
gendaria, che prima di allora era
stata tentata solo da Annibale, il
cui nome fa capolino in basso a si-
nistra tra le rocce, nel celebre qua-
dro di David, a significare quale
eredità avesse raccolto allora il
trentenne generale Bonaparte, il
passaggio delle Alpi sorprese in ef-

fetti i comandi austriaci, ma non
ebbe, tuttavia, quell’effetto imme-
diato sull’esito della campagna che
si è soliti immaginare.
Al contrario, utilizzando in pre-
valenza, e in maniera attenta e ori-
ginale, fonti di parte austriaca,
questo nuovo libro su Marengo
mostra la robustezza della strate-
gia elaborata dagli alti comandi
asburgici, soprattutto dal capo di
Stato maggiore Anton von Zach,
per contrastare le truppe francesi,
evitando consapevolmente di af-
frontarle all’altezza dell’imbocco
dei valichi alpini e aspettandole in
pianura, con una determinazione
non inferiore a quella che la leg-
genda attribuisce al Napoleone che
gattona sulla mappa di Chauchard.
A questa robustezza contribuisce
molto l’efficacia di un sistema di
spionaggio ricostruito assai bene
in queste pagine, dalle quali esce
come personaggio memorabile la
figura del torinese Carlo Gioelli.
Lettore di Plutarco, acceso, quindi,
da idee repubblicane in anni in cui
il Piemonte oscilla tra entusiasmi
rivoluzionari e reazione assoluti-
sta, questo giovane avvocato si de-
streggia con grande abilità tra vec-
chi e nuovi padroni, servendo con-
temporaneamente i servizi segreti
francesi e quelli asburgici. Mae-
stro, come molti altri con lui, del
doppio gioco, diventa l’arbitro di
un giro incessante di informazioni
tra le due parti, nelle quali non è
sempre facile raccapezzarsi quale
sia e a chi venga offerta volta a vol-
ta la verità delle notizie. Neppure
quando Napoleone lo incontra a
Milano, quasi alla vigilia della bat-
taglia di Marengo, durante un col-
loquio assai ben raccontato nel li-
bro, sappiamo esattamente se egli
stia tradendo Zach per Napoleone,
oppure Napoleone per Zach, oppu-
re distribuisca con sapienza ad en-
trambi informazioni che, alla fine,
li rimetteranno su un piede di pari-
tà, rimanendo egli nume imparzia-
le di un duello la cui sorte , dopo un
giro vorticoso, è tornata nelle mani
dei due contendenti.
Napoleone, del resto, non si fida
del tutto di Gioelli e i soldati au-
striaci che si avviano allegri al com-
battimento sembrano credere
piuttosto alla “cavalleria numerosa
e alla artiglieria formidabile” che li
accompagna, che alle trame spio-
nistiche di Gioelli e dei suoi compa-
gni. E infatti, la battaglia alla due
del pomeriggio è praticamente vin-
ta. Il villaggio di Marengo, chiave
dello scontro, è stato conquistato
dalle truppe asburgiche e Napoleo-
ne è costretto a inviare in gran fret-
ta a un suo generale questo mes-
saggio : «Tornate, in nome di Dio,
se potete». Farà la stessa cosa quin-
dici anni più tardi, a Waterloo,
quando, di fronte allo sparpaglia-
mento dei suoi reggimenti che ne
ha indebolito la forza d’urto, cerca
disperatamente di riportare sul
campo di battaglia una parte delle
truppe. A raccogliere il messaggio
stavolta non è però il cocciuto ma-
resciallo Grouchy, che si ostina a
rincorrere prussiani mentre nella
piana di Waterloo si consuma una
disfatta fatale. A Marengo c’è il gio-
vane generale Desaix, un uomo
“antico”, come dirà di lui Napoleo-
ne paragonandolo agli amatissimi
eroi di Plutarco. Desaix abbandona
la posizione che gli era stata ini-
zialmente affidata e torna indietro,
sconvolgendo un esercito che, no-
nostante le esortazioni di un tenace
ufficiale di nome Radetzski, si ri-
lassa per la vittoria ormai certa, re-
galando a Napoleone quell’Italia
che lo incorona re cinque anni do-
po, e alla storia una di quelle frasi
che si vorrebbero vere: «Sono ap-
pena le due del pomeriggio. Abbia-
mo perso una battaglia, c’è il tempo
di vincerne un’altra».
© RIPRODUZIONE RISERVATA

MARENGO 1800
Terry Crowdy
LEG editrice, Gorizia,
pagg. 368, € 26

MARKA

L’


abitudine è l’abitudine. Non
si può sbatterla fuori dalla
finestra: bisogna invece, a
forza di persuasione, farle
scendere le scale un gradino alla volta.
Tutti ci troviamo a fare gesti
inconsapevoli, ritmati da un’abitu-
dine pluriennale. Molti sono atti
abitudinari necessari: si pensi solo
al respirare che ci viene naturale.
Altre azioni possono essere delete-
rie quando da abitudine trapassano
in vizi. Dall’opera Wilson lo zuccone
di Mark Twain abbiamo tratto la
considerazione citata. La morale da
dedurre è semplice: superare un
difetto, fisico e morale, è frutto di un
lungo esercizio. Non si perde un

vizio – come quello del fumo – con
un’unica decisione.
Devi proprio, come dice lo scrit-
tore statunitense, scendere gradino
per gradino, quasi come fanno i
bambini che prima saggiano il
terreno, poi fanno più tentativi e
solo alla fine conquistano il nuovo
spazio per riprendere da capo
l’operazione. La parola «ascesi»
nella sua genesi greca significa
«esercizio». Prima di riuscire a
volteggiare libero nell’aria l’acroba-
ta deve passare giorni e giorni in
una serie di atti modesti e ripetuti.
Altrimenti si rimane a terra, impri-
gionati nella propria gravità.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

BREVIARIO
di Gianfranco Ravasi
#L’abitudine

MEPHISTO WALTZ

s Nella formazione del nuovo Gover-
no il grande successo mediatico l’ha
ottenuto la piattaforma Rousseau. Al di
là del merito sostanziale di Renzi che,
complice Grillo, con un sulfureo colpo di
coda se l’è inventata. E senza che,
incredibile auditu, nessun tarantolato
del PD si mettesse di traverso. Rousseau
è forse sconosciuto ai più degli mila
che hanno votato, in gran parte dotati
di un Q.I. analogo a quello di chi
cade sulle domande più elemen-
tari di un quiz tv. Chissà se
l’abile Casaleggio avrà fornito
loro una preventiva quick
reference, per informarli che
Rousseau, filosofo e musicista
ginevrino (-), fu con Voltaire
tra i primi a sviluppare l’ideale illumi-
nista del “sapere aude”, firmato Kant:
osare far valere la propria intelligenza,
e non credere a fede, miti, leggende.
Tutte fanfalucche del passato. Tra i due
fu subito dissidio, umano e intellettua-
le. Voltaire (-) laico e pieno di
ironia, anticlericale al punto da addebi-
tare al Padreterno la strage - dopo il
terrificante terremoto che distrusse
Lisbona, “mentre Parigi balla” () -
accusò con un celebre pamphlet Leib-
niz, convinto di vivere “nel migliore dei

mondi possibili” (Teodicea) e difese la
necessità di un sovrano illuminato e
colto. Al contrario Rousseau credeva
nella sovranità del popolo (Contratto
Sociale, ) e nella forza della natura
bruta, tout court. Mentre Montesquieu
predicava quella separazione dei poteri,
tra legislativo, esecutivo e giudiziario
(Lo spirito delle leggi, ) ancora oggi
non raggiunta. E intanto mirava a una
monarchia costituzionale. A
fronte di tanto pensiero, che dire
della nascita di un governo
decisa da un sondaggio incosti-
tuzionale e irrituale, al quale i
vertici del Paese si sono di fatto
affidati? Se invece di dire sì gli
mila avessero detto no, cosa sarebbe
successo? Diabolica domanda binaria:
tertium non datur. Simile in tutto alla
mente del cavallo, che sceglie sempre in
modo duale: salto oppure no. Giro a
sinistra o tiro dritto. Disarcionando a
volte anche il miglior cavaliere. Rasse-
gniamoci a vivere nella semplificazione
comunicativa più assoluta, col solo
vantaggio di annullare ogni ridondan-
za. Ma allora, perché non creare una
piattaforma Voltaire, a bilanciare la
Rousseau? Il diavolo solo lo sa, semel in
anno licet insanire

ROUSSEAU E IL CAVALLO BINARIO


Tempo liberato
Quando agli eleganti
tavoli del Biffi
si tessevano le trame
di insurrezioni ispirate
all’impresa di Fiume

Francesca Milano, P. 
Free download pdf