Focus Storia - 09.2019

(Brent) #1

bastava a fiaccare i giovani sovietici: quando,
alle 21, scattava il “rito dello spegnimento”,
nei dormitori (i palata) si scatenava la guerra
fra i sessi. I ragazzi nascondevano le scarpe
delle ragazzine o lanciavano rane nei loro
dormitori; le femminucce incollavano le scarpe
dei maschietti al pavimento o mettevano
un secchio d’acqua sulla
porta d’entrata del dormitorio,
per punire chiunque si fosse
azzardato a far capolino.
«Se poi eri il primo ad
addormentarti, probabilmente ti
saresti svegliato con il dentifricio
spalmato sul petto e sulla faccia.
Vi assicuro che brucia parecchio
e, per di più, tutti i compagni
ridono di te», conclude Ernu.
La permanenza al campo si
chiudeva con la cosiddetta “notte
di Nettuno”, una serata dedicata
a un ballo in maschera e agli
scherzi. Così, per decenni, si sono
salutate generazioni di Mikhail.


Fino al 1991, quando il crollo del blocco
sovietico segnò, tra le altre cose, anche la
fine dell’Organizzazione dei Pionieri e di
molti dei loro campi estivi. Di quei luoghi,
ora, non restano che gli edifici abbandonati,
rovine divorate dalla natura di un’epoca che
non c’è più. •

La colonia di Artek era il sogno


di ogni piccolo sovietico, ma per


entrarci, oltre a voti eccellenti, ci


volevano le raccomandazioni


D


a luoghi di
cura a luoghi
di educazione, le
colonie, in Italia,
nacquero in epoca
fascista dall’evoluzione
degli “ospizi marini”
che nell’Ottocento
garantivano
gratuitamente ai
bambini poveri, malati
di tubercolosi, i benefici
del mare e del sole.
Durante tutto il primo
dopoguerra, oltre
4mila colonie marine
dalle forme futuristiche
accolsero centinaia di
migliaia di ragazzini
tra i 6 e i 13 anni, tutti
iscritti alla Gioventù
Italiana del Littorio.
L’ammissione alle
colonie era riservata
ai figli delle famiglie
bisognose o numerose,
agli orfani dei caduti,
ai figli degli italiani
residenti in altri Paesi
europei e nelle colonie
italiane, ai figli dei
mutilati e degli invalidi
di guerra.
Estate fascista. Lo
scopo di quei soggiorni
nel Ventennio?
Formare l’identità
fascista nei più
giovani. Grandi
camerate, uniforme
uguale per tutti,
regole da rispettare:
l’organizzazione era
rigorosamente di
tipo militare, perché
l’educazione dei giovani
fascisti doveva essere
“severa e inflessibile”.
Un rigore che le colonie
persero soltanto nel
secondo dopoguerra.

Colonie
all’italiana

CTK/ALAMY STOCK PHOTO

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