La Stampa - 13.09.2019

(Romina) #1
.

T

assi a zero o negativi aiuta-
no chi s’indebita e penaliz-
zano chi presta denaro.
Chi sono, un po’ ovunque, i
maggiori debitori? Gli Sta-
ti, ovviamente. Solo in un
contesto come questo è immaginabile
che lo Stato italiano, nonostante un de-
bito pubblico che supera il 130% del
Pil, riesca a collocare titoli con interes-
se negativo.
È per questo che le classi politiche fe-
steggiano la scelta di Draghi. Ma, come
ha scritto questo giornale, nel nuovo
contesto la politica fiscale non potrà
più solo fare assegnamento sul bazoo-
ka monetario. È una sfida sia per i Paesi
del Nord che per quelli del Sud. È chia-
ro che per il governo Conte la mossa del-
la Bce è preziosa. Significa che almeno
parte delle nuove spese potranno esse-
re finanziate a debito, continuando a
procrastinare interventi di controllo
della spesa, che sono sempre costosi sot-
to il profilo del consenso.
Questo protrarsi delle politiche mone-
tarie espansive si spiega in virtù dell’in-
flazione, ancora contenuta, che segnale-
rebbe una debolezza dell’economia
dell’Eurozona. Ma i prezzi non stanno
scendendo (come sottolineava Daniel
Gros alcuni giorni fa): semplicemente
salgono a passo più contenuto dell’obiet-
tivo di inflazione del 2%. Ciò può essere
dovuto a diversi fattori: la concorrenza
internazionale, ad esempio, o l’innova-
zione tecnologica.
Quando ragioniamo della debolezza
dell’economia, tendiamo a pensare che
tutta l’area dell’euro somigli all’Italia.
Ma in buona parte dell’Eurozona i salari
reali crescono del 2,5% l’anno e in un con-
testo di bassi tassi di disoccupazione.
Nello stesso tempo, è abbastanza evi-
dente che si stanno gonfiando i prezzi de-
gli asset: dagli immobili alle attività fi-
nanziarie, basti pensare alla cavalcata in-
finita dei corsi di borsa. In alcune città eu-
ropee ci sono già avvisaglie di forte disa-
gio: i “locali” mal digeriscono le scorrerie
immobiliari di ricchi e super-ricchi, che

rendono gli acquisti impraticabili per tut-
ti gli altri. Tassi permanentemente bassi
o negativi influenzano l'assunzione dei ri-
schi. Impieghi “tranquilli” non possono
produrre rendimenti rilevanti e per que-
sto si cercano strategie più rischiose.
Gli effetti, insomma, non sono solo di
sostegno dell’economia. Banche e assicu-
razioni non hanno vita facile. In Italia, il
Movimento Cinque Stelle continua a par-
lare di separare banche d’affari e banche
commerciali: con questi tassi, però, ciò
significherebbe condannare queste ulti-
me all’estinzione. L’effetto forse più pre-
occupante è sulla stessa idea di rispar-
mio. Per rinunciare al proverbiale uovo
oggi è necessario avere la ragionevole
aspettativa che possa diventare una galli-
na domani: è improbabile lo si faccia, se
invece ci si ritrova con tre quarti di uovo.
Gli effetti sociali di un risparmio perma-
nentemente non remunerato sono una
grande incognita, con ripercussioni sulla
stessa tenuta sociale delle nostre società.
La scelta di Draghi e della Bce non è cer-
to fatta a cuor leggero. Ma nel lungo perio-
do potrebbe avere conseguenze inaspet-
tate. Dieci anni di politiche monetarie
espansive ci hanno portato in acque ine-
splorate. Oggi sorridono i politici, qual-
cun altro potrebbe piangere domani. —
c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

SEGUE DALLA PRIMA PAGINA

P

er Ursula von der Leyen, la nuova
Commissione Europea dovrà esse-
re una Commissione “geopolitica”.
Vedremo in che modo il nuovo Alto
Rappresentante per gli Affari este-
ri, lo spagnolo Josef Borrell, inter-
preterà questo mandato.
Non sarà semplice fare scelte coerenti. Da
una parte, la rivalità fra grandi potenze si sta lar-
gamente scaricando sull’Europa. Dall’altra, i cit-
tadini europei rivendicano un’Europa più forte
sul piano globale ma non pare che abbiano un’i-
dea così chiara della posta in gioco. Guardiamo
ad esempio al risultato di un sondaggio appena
pubblicato dallo «European Council on Foreign
Relations», da cui emerge – in generale - l’aspet-
tativa che l’Ue diventi un attore internazionale
autonomo e influente. Alla domanda su “da che
parte si dovrebbe collocare il vostro paese in un
conflitto fra gli Stati Uniti e la Russia?”, una va-
sta maggioranza degli intervistati, con l’eccezio-
ne vistosa dei polacchi, sceglie la neutralità: da
nessuna delle due parti rispondono il 65% degli
italiani, il 70% dei tedeschi, il 63% dei francesi,
l’85% degli austriaci. Chi sceglie una parte sce-
glie prevalentemente gli Stati Uniti, ma si tratta
comunque di minoranze. L’Europa più forte e
più indipendente sul piano internazionale asso-
miglia, per vocazione istintiva dei suoi cittadini,
a una Grande Svizzera.
In un numero di Aspenia di qualche mese fa,
l’ambasciatore Sergio Romano argomentava
che una posizione del genere – l’Europa come
Grande Svizzera - sarebbe in effetti la scelta geo-
politica migliore per l’Ue. Non ne sono convin-
ta: il punto è che questo eventuale conflitto
Usa-Russia non si svolgerebbe altrove ma coin-
volgerebbe inevitabilmente l’Europa. La neutra-
lità, nel Vecchio Continente, è una tentazione ri-
corrente; la storia tuttavia ne ha dimostrato la
precarietà.
L’Europa può davvero mettere sullo stesso pia-
no gli Stati Uniti e la Russia? Siamo ormai abitua-
ti ad attribuire al presidente americano il ruolo
di “guastatore” del vecchio ordine liberale inter-
nazionale (abbiamo definito così, convenzional-
mente, regole e istituzioni create dopo la Secon-
da guerra mondiale), inclusa la crisi di identità
della Nato. Ed è vero che la presidenza Trump
ha generato seri dubbi in Europa (dubbi riflessi
nel sondaggio che citavo prima) sulla garanzia
di sicurezza offerta dagli Stati Uniti; ma l’opinio-
ne media europea è a questo punto ugualmente

responsabile per l’incertezza esistente sulla cre-
dibilità dell’Alleanza atlantica.
Il compito di Borrell non sarà quindi facile. E
l’Alto Rappresentante spagnolo ne è consapevo-
le: i governi nazionali porranno difficoltà ulte-
riori. In un incontro del maggio scorso allo «Eu-
ropean Council on Foreign Relations», il succes-
sore di Federica Mogherini ha paragonato il
Consiglio Affari esteri dell’Ue a una “valle di la-
crime”: i vari ministri degli Esteri degli Stati
membri lamentano crisi multiple in giro per il
mondo ma restano incapaci di azioni collettive.
Nel frattempo, i loro cittadini ritengono che l’Ue
debba diventare un attore geopolitico indipen-
dente; ma come si è appena visto, indipendente
significa, per una maggioranza di loro, capace
di non schierarsi di fronte a un conflitto fra Usa e
Russia. Con percentuali non molto diverse, la
neutralità, come opzione geopolitica preferen-
ziale, prevale anche nelle risposte alla doman-
da su “da che parte dovrebbe schierarsi il vostro
paese in un conflitto fra gli Stati Uniti e la Ci-
na?”, dove contano motivazioni economi-
co-commerciali e non solo di sicurezza.
Se la sovranità strategica europea finirà per
equivalere non solo alla più che legittima difesa
degli interessi economici globali del Vecchio
Continente ma anche a un atteggiamento neu-
trale di fronte ai potenziali conflitti fra le grandi
potenze internazionali, le conseguenze geopoli-
tiche saranno molto rilevanti: la fine dell’allean-
za occidentale è solo una questione di tempo -
mentre sfuma, nelle percezioni europee, la rile-
vanza della contrapposizione fra democrazie li-
berali e potenze autoritarie. Ma a quel punto
l’Ue-Grande Svizzera dovrà essersi dotata di
una capacità di difesa autonoma, anche in cam-
po nucleare. Difficile prevedere che ciò avven-
ga in tempi rapidi, mentre Brexit disorienta una
delle due principali potenze militari del Vec-
chio Continente e quando la difesa (punto cen-
trale, peraltro, della lettera di incarico a Josef
Borrell e oggetto di una nuova Direzione gene-
rale di politica industriale, affidata a Sylvie Gou-
lard, commissaria francese al mercato interno)
non è esattamente in cima alla lista delle priori-
tà di investimento. La Commissione geopolitica
di Ursula von der Leyen, nel tentativo di riporta-
re l’Ue più vicina alle preferenze dei suoi cittadi-
ni, dovrà spiegare con molta chiarezza i costi e i
rischi di un’Europa “potenza” soltanto in teoria
ma priva degli strumenti per esserlo. —
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H

o capito chi sono i veri no-vax.
Sono i sì-vax che ti rendono im-
possibile vaccinare tuo figlio.
Quantomeno a Roma. Dove
già la vita è complicata quando
sei grande grosso e vaccinato,
figuriamoci da appena nato.
Il pediatra di mio figlio non ha dubbi: i vac-
cini vanno fatti, per il bene di tutti. E allora mi
metto in cerca del centro più vicino.
Sul web ce ne sono diversi, ma al telefono
nessuno risponde. Ci vado direttamente.
Esco di casa alle otto e intorno alle dieci trovo
parcheggio. Facendo lo slalom con la carroz-
zina tra crateri, macchine e cacche di cane,
mi metto in fila, sperando che me lo facciano
il giorno stesso.
«No, signora qui i vaccini non si fanno».
«Ma sul web c’è scritto centro vaccini». «Qui
può prendere appuntamento. Per la sede in
Prati la prima disponibilità è a gennaio». «Co-

me gennaio? Nel calendario c’è scritto che va
fatto entro il sesto mese e a gennaio mi com-
pie un anno». «E’ fortunata, nella sede di La-
baro si è liberato un posto tra due settimane».
«E allora, anche se fuori Roma, Labaro sia».
Ma la notte prima dell’appuntamento mio
figlio piange senza sosta e la passiamo in bian-
co. Alle sette, stremata, mando un messaggio
al pediatra. «Stamattina avremmo il vaccino,
ma non mi sembra che stia tanto bene». «Spo-
sti l’appuntamento e me lo porti».
Sul foglio che mi hanno dato c’è un numero
da chiamare. Altra mezz’ora al telefono.
«Pronto?» «Salve, dovrei spostare un appunta-
mento». «A questo numero non prendiamo
appuntamenti per i vaccini». «Ah sì? Ma sul fo-
glio che mi avete dato...». «Non per quanto ri-
guarda i vaccini». «Allora chi devo chiama-
re?». «Lo stesso numero che ha fatto per pren-
dere appuntamento». «L’ho preso direttamen-
te in una delle vostre sedi». «Bene, allora ci ri-

torni». Mentre attacco, cercando di non im-
precare, ripercorro con la mente il tempo spe-
so due settimane prima: il traffico, il parcheg-
gio, i crateri, le cacche di cane... Pietà. Chiedo
aiuto al pediatra. «Me lo può fare direttamen-
te lei?». «Glielo farei anche, ma è diventato
quasi impossibile ordinarlo». «E quindi?». «Il
bambino sta bene. Provi ad andare domani a
Labaro, spieghi che aveva appuntamento e ve-
da cosa le dicono». Scaccio dalla mente l’idea
delle due ore che perderò nel traffico e sposto
l’impegno di lavoro delle dieci.
Mi presento all’orario di apertura e già ci so-
no una quindicina di pupi che aspettano. Mi
avvicino allo sportello e spiego la situazione.
«Il prossimo appuntamento è a maggio», mi
sento rispondere. «Come a maggio? Io sono
in già in ritardo». «Faccia una cosa, bussi alla
porta e parli direttamente con il dottore».
Bene. Apre la porta un medico che ha la fac-
cia più stanca della mia. Prende il foglio che

tengo in mano come se pesasse un quintale e
rientra nello studio lasciandomi intravedere
un lumicino nel buio. Subito dopo però si riaf-
faccia spazientito: «Prenda un numero e si
metta in fila». Mi guardo intorno e vedo che i
bambini nel frattempo si sono moltiplicati,
penso all’appuntamento dell’ora di pranzo e
domando: «Quanto crede che ci sarà da aspet-
tare?». Il medico scoppia a ridere: «E io che
ne so? Anche tutto il giorno». A quel punto
scoppio a ridere anche io. Ma solo per non
piangere. Penso alla noia di chi vive in quei
paesi organizzatissimi, dove non esistono co-
de e gli appuntamenti vengono presi con una
mail, guardo il medico che si rimette al lavo-
ro con la sua siringa e penso che qui in Italia i
veri no vax sono quelli come lui. Fanno parte
di un sistema che ti dice sì cosa devi fare, ma
che poi, una volta che ti ha convinto, ti impe-
disce di farlo. —
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LETTERE

Gli ultimi dati sulle morti bianche sono di
due settimane fa: li ha diffusi l'Inail e parla-
no di un tragico bilancio a 3 cifre. Le denun-
ce di infortunio sul lavoro con esito mortale
presentate entro il mese di luglio sono infat-
ti ben 599, dodici in più rispetto ai primi set-
te mesi del 2018 (+2,0%).

A livello nazionale, i dati rilevati al 31 lu-
glio evidenziano 18 denunce in più per i casi
mortali avvenuti durante il lavoro (da 414 a
432) e sei in meno per quelli occorsi in itine-
re (da 173 a 167). A livello gestionale, è l’agri-
coltura il settore dove si è registrato il mag-
gior incremento di denunce: +22 (da 56 a

78) a fronte di 10 casi in meno nell’industria
e servizi (da 522 a 512).
Dall’analisi territoriale emerge inltre un
aumento dei casi mortali solo nell’Italia cen-
trale e meridionale: 10 in più al Centro (da
110 a 120), 15 in più al Sud (da 119 a 134) e
12 in più nelle Isole (da 46 a 58).

Caro Alfonso,
prima di tutto qualche numero, per capire meglio di cosa stiamo parlando. Nei primi otto mesi del
2019 sono arrivati in Europa 46.521 migranti. Più di 23 mila sono sbarcati in Grecia. In Spagna ne
sono arrivati quasi 15 mila. In Italia 4.873, che equivale più o meno al 10% (Malta, che ha 460 mila
abitanti, ne ha accolti 2.245). Questo per dare un’idea di come è distribuito il “carico”.
È vero, l’Italia sta negoziando con alcuni governi un meccanismo di redistribuzione automatica di
chi sbarca sulle nostre coste. E ci sono già alcuni Paesi disposti a farne parte. Un successo politico?
Senza dubbio. Ma non dimentichiamoci che stiamo parlando di una soluzione temporanea “su ba-
se volontaria”. Cosa vuol dire? Vuol dire che oggi, per esempio, la Francia di Macron si dice pronta
ad accogliere il 25% dei migranti che arrivano in Italia. E sono certo che lo farà. Ma cosa succede se
domani all’Eliseo arriva, facciamo un nome a caso, Marine Le Pen? Succede che la Francia, il gior-
no successivo, esce dall’accordo perché non ha alcun vincolo giuridico. Stesso discorso per tutti gli
altri governi.
L’unica via d’uscita per risolvere la questione in modo strutturale è la riforma del regolamento di
Dublino. Ma vedo questo obiettivo ancora molto lontano. Probabilmente la Commissione di Ursu-
la von der Leyen tornerà alla carica con una nuova proposta. Come era successo nella scorsa legisla-
tura, il Parlamento europeo sarà capace di formare una maggioranza per dare il via libera a un te-
sto di riforma. Ma sono certo che il tutto si arenerà ancora una volta in Consiglio, al tavolo dei go-
verni. Perché quelli che non vogliono la redistribuzione sono ancora tanti. Abbastanza per paraliz-
zare la riforma.
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MARCO BRESOLIN

Marco Bresolin, bergamasco, 37 anni,
lavora a «La Stampa» dal 2011. Prima al Politico,
poi agli Esteri. Spesso in viaggio per scoprire e raccontare
l’Europa, dal 2016 è a Bruxelles con l'obiettivo
di capire e spiegare tutto (o quasi) quello che succede nei
palazzi dell’Ue.

Domani risponde il direttore Molinari
Finisce oggi il dialogo con i lettori di Marco Bresolin, invia-
to a Bruxelles, sull’Europa di Ursula von der Leyen. Domani
sarà il direttore Maurizio Molinari a rispondere alle lette-
re. Domenica, come di consueto, spazio alla «RisPosta del
cuore» di Maria Corbi.

Ieri la Banca centrale europea ha ridotto i
tassi sui depositi di dieci punti base, annun-
ciando contestualmente che da novembre
ricomincerà il suo programma di acquisto
di attività finanziarie. Mario Draghi ha indi-
cato la via a Christine Lagarde, che, del re-
sto, vuole porsi in piena continuità col pre-
decessore.
A salutare la decisione con favore sono,
inevitabilmente, i grandi debitori. Il tasso
d’interesse è il prezzo del futuro: ci dice
quanti euro di domani vale un euro di oggi.
Tassi a zero o negativi aiutano chi s’indebita
e penalizzano chi presta denaro. Chi sono,
un po’ ovunque, i maggiori debitori? Gli Sta-
ti, ovviamente. Solo in un contesto come
questo è immaginabile che lo Stato italiano,
nonostante un debito pubblico che supera il
130% del Pil, riesca a collocare titoli con in-
teresse negativo.
È per questo che le classi politiche festeg-
giano la scelta di Draghi. Ma, come ha scrit-
to questo giornale, nel nuovo contesto la po-
litica fiscale non potrà più solo fare assegna-
mento sul bazooka monetario. È una sfida
sia per i Paesi del Nord che per quelli del
Sud. È chiaro che per il governo Conte la
mossa della Bce è preziosa. Significa che al-
meno parte delle nuove spese potranno es-
sere finanziate a debito, continuando a pro-
crastinare interventi di controllo della spe-
sa, che sono sempre costosi sotto il profilo
del consenso.
Questo protrarsi delle politiche moneta-
rie espansive si spiega in virtù dell’inflazio-
ne, ancora contenuta, che segnalerebbe
una debolezza dell’economia dell’Eurozo-
na. Ma i prezzi non stanno scendendo (co-
me sottolineava Daniel Gros alcuni giorni
fa): semplicemente salgono a passo più con-
tenuto dell’obiettivo di inflazione del 2%.

Ciò può essere dovuto a diversi fattori: la
concorrenza internazionale, ad esempio, o
l’innovazione tecnologica.
Quando ragioniamo della debolezza
dell’economia, tendiamo a pensare che tut-
ta l’area dell’euro somigli all’Italia. Ma in
buona parte dell’Eurozona i salari reali cre-
scono del 2,5% l’anno e in un contesto di
bassi tassi di disoccupazione.
Nello stesso tempo, è abbastanza eviden-
te che si stanno gonfiando i prezzi degli as-
set: dagli immobili alle attività finanziarie,
basti pensare alla cavalcata infinita dei cor-
si di borsa. In alcune città europee ci sono
già avvisaglie di forte disagio: i “locali” mal
digeriscono le scorrerie immobiliari di ric-
chi e super-ricchi, che rendono gli acquisti
impraticabili per tutti gli altri. Tassi perma-
nentemente bassi o negativi influenzano
l'assunzione dei rischi. Impieghi “tranquil-
li” non possono produrre rendimenti rile-
vanti e per questo si cercano strategie più ri-
schiose.
Gli effetti, insomma, non sono solo di so-
stegno dell’economia. Banche e assicurazio-
ni non hanno vita facile. In Italia, il Movi-
mento Cinque Stelle continua a parlare di
separare banche d’affari e banche commer-
ciali: con questi tassi, però, ciò significhe-
rebbe condannare queste ultime all’estin-
zione. L’effetto forse più preoccupante è sul-
la stessa idea di risparmio. Per rinunciare al
proverbiale uovo oggi è necessario avere la
ragionevole aspettativa che possa diventa-
re una gallina domani: è improbabile lo si
faccia, se invece ci si ritrova con tre quarti di
uovo.
Gli effetti sociali di un risparmio perma-
nentemente non remunerato sono una
grande incognita, con ripercussioni sulla
stessa tenuta sociale delle nostre società.
La scelta di Draghi e della Bce non è certo
fatta a cuor leggero. Ma nel lungo periodo
potrebbe avere conseguenze inaspettate.
Dieci anni di politiche monetarie espansive
ci hanno portato in acque inesplorate. Oggi
sorridono i politici, qualcun altro potrebbe
piangere domani. —
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LI


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La Stampa
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IL BAZOOKA

NON È PIÙ SUFFICIENTE

ALBERTO MINGARDI

Il numero del giorno

599

I morti sul lavoro in Italia nei primi sette mesi del 2019

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PER L’EUROPA

LA SFIDA FRA POTENZE

MARTA DASSÙ

L’IMPRESA IMPOSSIBILE DI VACCINARE UN BAMBINO A ROMA

SIMONA SPARACO

Le elezioni anticipate sarebbero
state e sono una iattura

Caro Direttore,
Ho letto sulla Stampa un artico-
lo di Jacopo Iacoboni nel quale
mi si affianca a una schiera di
radicali critici di questa allean-
za di governo. Nulla di più sba-
gliato. Io ho scritto su vari gior-
nali online e recentemente sul
«Corriere» che le elezioni anti-
cipate sarebbero state e sono
una iattura, e che questo gover-
no ha davanti a sé solo una stra-
da: è costretto ad essere un
buon governo per non portare
acqua al mulino salviniano.
Contrariamente a molti critici
penso che solo la buona politi-
ca sia davvero alternativa al po-
pulismo e che il compromesso
tra partiti è il sale della demo-
crazia parlamentare. Non sono
mai stata renziana e ritengo
che non ci sia bisogno di esser-
lo per comprendere l'errore di
andare a elezioni anticipate.
Ovviamente Matteo Renzi pen-
sa ai suoi interessi e a me stan-
no più a cuore quelli della de-
mocrazia nel nostro paese.
NADIA URBINATI
KYRIAKOS TSAKOPOULOS
PROFESSOR OF POLITICAL THEORY
DEPARTMENT OF POLITICAL SCIENCE
COLUMBIA UNIVERSITY
Ringrazio Urbinati, e mi scuso
con lei se l’ho inclusa tra persone
che vedono più rischi che opportu-
nità in questo governo. Mentre lei
ha scritto di “Rischio e scommes-
sa”, “rischi e opportunità”.
J. IAC.

Dal sostegno ai poveri alla cultu-
ra: ecco il governo che sogno

Ho un sogno: vorrei finalmente
un governo che abbia il corag-
gio di cacciare via i politici cor-
rotti dicendo inoltre basta a
scandalosi privilegi, a malcela-
te connivenze, ad interessi di
parte. Un governo che ponesse
il massimo impegno nell’aiuta-
re sei milioni di poveri che vivo-
no ai margini della società. Un
governo che trovasse il corag-
gio di ostacolare con ogni mez-
zo lo spaccio ed il consumo di so-
stanze stupefacenti, un mal co-
stume che, soprattutto tra i gio-
vani e giovanissimi, è in conti-
nua crescita. Un governo che
fermasse la delinquenza minori-
le che dilaga sempre di più nel
nostro paese. E poi che aiutasse
gli anziani, salvaguardando la
loro dignità di esseri umani;
che affrontasse una volta per
tutte il problema della sovrap-
popolazione delle carceri e con-
cedesse adeguate risorse econo-
miche per la scuola, la cultura e
il risanamento del territorio,
elementi basilari per la buona
formazione dei giovani. Poi do-
vrebbe trovare i mezzi per com-
battere il precariato perché il la-
voratore precario è condanna-
to ad una insicurezza continua
che non gli permette di costruir-
si né una famiglia né un futuro
ma vive solo con lo sgomento di
una quotidianità senza sogni e
senza speranze. Vorrei inoltre
un governo che incrementasse
le risorse economiche per tutte

le forze dell’ordine, assicuran-
do la certezza della pena per
non vanificarne il complesso e
pericoloso lavoro. E ancora: un
governo che tenga sempre ben
presente che l’artigianato, l’a-
gricoltura, l’adeguata acco-
glienza turistica, la valorizza-
zione delle nostre coste e dei be-
ni culturali in generale sono “il
nostro petrolio”. Altro obiettivo
importante sarebbe riqualifica-
re il servizio sanitario pubblico,
salvaguardando la professiona-
lità dei medici e la dignità degli
ammalati. Per realizzare tutto
ciò, per cambiare davvero le co-
se che non vanno e non limitar-
si solo a cambiarne il nome, oc-
corre certamente grande corag-
gio. Ma la nostra società, mala-
ta da tempo, è in grado di parto-
rire governanti che possano ri-
dare smalto ai colori della gran-
de politica, che possano opera-
re per il bene comune e non sia-
no invece continuamente schie-
rati l’uno contro l’altro con il so-
lo obiettivo di accaparrarsi i po-
sti di comando? Si realizzerà
questo mio sogno? Io voglio
continuare a crederci.
RAFFAELE PISANI

Se i nostri politici non sanno
dare il buon esempio
Obbligatorio o meno, da inse-
gnante ho sempre dedicato mol-
te ore di lezione all'educazione
civica. Soprattutto a partire dal-
la lettura dei quotidiani e conver-
sando con i ragazzi sui principali
fatti di cronaca e attualità: sono

state ore bellissime. Tra pochi
giorni, ad esempio, sarà ovvio
parlare di quanto avvenuto la
scorsa estate, crisi e formazione
del nuovo governo giallorosso
inclusi. Bello sarebbe far vedere
agli studenti spezzoni di alcune
significative sedute del Parla-
mento, ad esempio quelle in cui
il Presidente del Consiglio Giu-
seppe Conte ha presentato il pro-
gramma del suo esecutivo: per
far comprendere le dinamiche
della nostra democrazia, e per-
ché i ragazzi si rendano conto di
quanto chi ci rappresenta sta la-
vorando per il nostro e il loro fu-
turo.
C'è però un problema. In nessu-
na classe, di nessuna scuola di
nessun Istituto d'Italia, si consen-
te ai ragazzi di tenere un compor-
tamento irrispettoso, sguaiato e
insolente quanto quello tenuto
dai nostri senatori e deputati. Im-
barazzante, no?
Ora mi chiedo: davanti a sceneg-
giate del genere come si fa a colti-
vare nei giovani il rispetto delle
Istituzioni? Questi personaggi
non si rendono conto dell'inqua-
lificabile spettacolo che offrono
a tutto il Paese, non si vergogna-
no, se non altro di fronte ai loro
figli da cui certamente pretendo-
no ascolto e almeno un minimo
di buona educazione? Questi de-
putati e senatori della Repubbli-
ca sono davvero le stesse perso-
ne che poi discutono e legifera-
no sulla scuola, sulla formazio-
ne, sull'obbligatorietà dell'edu-
cazione civica?
MARINA DEL FABBRO

Illustrazione di Massimo Jatosti

LA STAMPA
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REG. TELEMATICA TRIB. DI TORINO N. 22 12/03/2018
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LA TIRATURA DI GIOVEDÌ 12 SETTEMBRE 2019
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Caro Bresolin,
finalmente sembra che qualcosa si stia muo-
vendo a Bruxelles. Finora tutti avevano volta-
to le spalle all’Italia, lasciandola sola ad acco-
gliere i migranti. E invece adesso si vedono
aperture. Si torna a parlare di redistribuzio-
ne. Di gestione condivisa dei rimpatri. Ho co-
me l’impressione che questa volta il vento

stia cambiando davvero. Che a Bruxelles si
siano accorti degli errori fatti. E che, per evi-
tare di ritrovarsi presto Matteo Salvini al ti-
mone della nostra amata Italia, abbiano deci-
so di tenderci la mano. Per liberarci da que-
sto carico che più di tutti siamo costretti a
sopportare.
ALFONSO PAGLIARI —

SECONDO ME

L’unica via d’uscita

per risolvere la questione migranti

è la riforma del regolamento di Dublino

VENERDÌ 13 SETTEMBRE 2019 LA STAMPA 23
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