La Stampa - 13.09.2019

(Romina) #1
.

FERNANDO GENTILINI

A


ll’alba del 16 mar-
zo del 1244 i cro-
ciati costruirono
un recinto ai pie-
di della monta-
gna. Lo riempiro-
no di legna, appiccarono il
fuoco, e poi ci appoggiaro-
no delle scale perché gli ol-
tre duecento «buoni cristia-
ni» catturati saltassero nel
rogo. Fu la fine di Montség-
ur, ultima ridotta catara di
Linguadoca, l'epilogo del-
la crociata contro gli ereti-
ci Albigesi che da oltre tre
decenni insanguinava il Mi-
di francese.
Il Camp dels cremats, luo-

go del massacro, sembra un
prato come tanti. E invece è
il testamento invisibile di
una civiltà non violenta e
tollerante: quella della
Chanson de la Croisade, del-
le chiese rosse di Tolosa,
dei testi catari e del Vange-
lo di Giovanni. Una civiltà
generosa, che avrebbe riav-
vicinato Europa e Oriente
mediterraneo, e che pur-
troppo, da allora, finì per
sempre nel cestino delle oc-
casioni mancate.
Guido Ceronetti, «unico
vero cataro della letteratu-
ra italiana contempora-
nea», sosteneva che dall’a-
gonia di quell'eresia asiati-

ca fosse nata l’Italia spiritua-
le, quella gnostica, neopla-
tonica, orfica, eleusina...
Un’idea che attraversa uno
dei suoi capolavori, Un viag-
gio in Italia, il cui incipit tut-
to per Montségur («vagina
della più segreta Italia») è
all'origine di questo viaggio
a un anno dalla scomparsa.
Il castello in cima al mon-
te non è opera dei Catari,
ma dei loro sterminatori.
Della roccaforte dei buoni
cristiani che stava al suo po-
sto, resta una ricostruzione
al computer cui però Cero-
netti avrebbe guardato con
diffidenza: per lui la tecno-
logia era demoniaca, specie

l'informatica, e in ogni caso
non poteva competere con
la bellezza dei paesaggi sen-
za materia che sono uno dei
pochi antidoti al progresso.
Lungo il sentiero affiora-
no antichi gradoni scolpiti
nella roccia, e a un certo
punto, in prossimità della
vetta, s'intravedono le fon-
damenta di abitazioni cata-
re e i resti di una cisterna. Fi-
no a pochi anni fa, prima
che gli archeologi setaccias-
sero la zona, c’erano ancora
sparse tra gli anfratti le pun-
te di freccia di balestra e le
micidiali palle di pietra del-
le catapulte, segni inconfon-
dibili dell’assalto finale dei

crociati. Per Ceronetti è
uno degli «infiniti cammi-
ni della Vergine», dove
«batte il cuore dell’Occi-
dente simbolico». Un sen-
tiero da salire supplichevo-
li, «per scale e scale di pena
indicibile», fino a raggiun-
gere, a un passo dal cielo, il
punto dove si sfiorano i
due mondi del catarismo:
quello terreno e materiale,
opera del maligno, e l'altro
di spirito e luce, opera del
dio buono, dove i puri fa-
ranno infine ritorno.
È scritto nel Libro dei due
princìpi, il più potente dei
testi catari raccolti da Fran-
cesco Zambon (La cena se-

greta); e nei saggi di Simo-
ne Weil che paragonano il
destino dei Catari a quello
dei Troiani. Ma è il Cero-
netti in esilio, il «non-mor-
to di Montségur», a indica-
re il senso del pellegrinag-
gio alla «montagna sacrifi-
cale»: irrinunciabile meta
filosofico-religiosa per tut-
te le anime senza patria di
questa terra.
Mondo come Male asso-
luto, dottrina della Luce,
ricerca della Sapienza di-
vina... Sono immensi i te-
mi del catarismo, anche
se la guida parla solo dei
quattro Catari che prima
del massacro riuscirono a

fuggire e a mettere in sal-
vo il Graal. In realtà quel-
la del calice di Cristo è
un’altra storia, con Mon-
tségur c'entra poco... Ma
la fuga ci fu davvero, e for-
se servì a salvare il tesoro
della «Chiesa d'Amore»
per affidarlo agli eretici
lombardi in lotta contro
la «Chiesa di Roma».
Sul ruolo di provenzali e
trovatori nella diffusione in
Italia del catarismo c'è tutta
una letteratura. E sono in
molti a ritenere che il lin-
guaggio segreto degli stilno-
visti e dei poeti alla corte di
Federico II fosse un modo
per resuscitare e diffondere
l’eresia sfuggendo all’inqui-
sizione. Per Ceronetti «gli
spirituali italiani sarebbero
gli eredi del Tempio, di
Montségur... E Dante mes-
saggero, inviato, di una Pro-
venza segreta in Toscana,
la Provenza compiuta...».
Nuèch, plaça, pont,
glèisa, canso... È' sempre
cortese il dizionario occita-

no, e non bisogna essere
dei linguisti per renderse-
ne conto. Il Ceronetti
ebraista e grecista ripete-
va «dove c'è lingua c'è pa-
tria», e si considerava «cit-
tadino di Gerusatene» (Ge-
rusalemme più Atene);
ma nel richiedere in punto
di morte il sacramento ca-
taro del consolamentum,
è a Montségur che sceglie
di abitare per sempre, an-
che se da vivo, per vari mo-
tivi, non era riuscito a met-
terci piede.
Forse per questo, salen-
do il sentiero verso il ca-
stello, ho avuto la sensa-
zione di non essere solo.
Complice l'emozione, il ru-
more del vento, e soprat-
tutto Il libretto della vita
dopo la morte di Gustav
Fechner, che descrive le ra-
gioni di questo viaggio
con infallibile precisione:
«Qualsiasi cosa desti ri-
membranza dei defunti è
un mezzo adeguato a evo-
carli. A ogni festa che dedi-
chiamo loro, i morti sorgo-
no; attorno a ogni statua
che noi innalziamo loro, i
morti aleggiano; a ogni
canto che ne celebra le
azioni, essi ci affiancano
nell’ascolto».—
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UN ANNO FA MORIVA LO SCRITTORE PIÙ D’OGNI ALTRO VICINO ALLA SPIRITUALITÀ DEGLI ERETICI

Con Guido, sulle scale di Montségur

Verso la fortezza della strage dei catari

ricordando Ceronetti, “resistente albigese”

MARCELLO SORGI

Q

uella volta Togliatti
sbagliò. E se a dirlo,
anzi a scriverlo (an-
che se poi non lo di-
ce e non lo scrive
esattamente così) è
Emanuele Macaluso, l’ulti-
mo dei grandi vecchi del Pci,
togliattiano irriducibile per
scuola e per convinzione, al
punto da aver dedicato di re-
cente al Migliore un pam-
phlet in cui rivaluta anche le
pagine più critiche della sto-
ria del leader comunista, ec-
co che la polemica fa notizia.
La vicenda, ambientata
nella Sicilia post-seconda
guerra mondiale, riguarda il
famoso scontro, a colpi di let-
tere aperte pubblicate su Ri-
nascita e Il Politecnico, tra il
segretario del Pci e Elio Vitto-
rini. Scontro simbolico di
una rottura, che poi ebbe
una deflagrazione nel 1956,
in occasione dei fatti di Un-
gheria e della difesa operata
da Togliatti dell’invasione so-
vietica, tra una parte non tra-

scurabile degli intellettuali
di sinistra e il Pci. L’attacco
partì nel 1945 da Rinascita
con un duro corsivo, intitola-
to La corrente Politecnico, di
Mario Alicata, responsabile
culturale di un partito che
non ammetteva correnti,
contro la rivista di Vittorini,
rea di dar spazio a scrittori co-
me Hemingway, e non «di ri-
stabilire un contatto produt-
tivo tra la nostra cultura e gli
interessi e i problemi concre-
ti delle masse popolari».
Un pesante richiamo all’or-
dine, al quale l’autore di Con-
versazione in Sicilia e Uomini

e no prima replicò con una
sorta di «autocritica», poi de-
cise di reagire, rivendicando
che «la politica agisce sul pia-
no della cronaca. La cultura
invece non può non svolgersi
all’infuori di ogni legge tatti-
ca e di strategia, ma sul piano
diretto della storia». È a que-
sto punto, che per ristabilire
le gerarchie, interviene To-
gliatti, accusando Vittorini
di «strana tendenza a una cul-
tura enciclopedica» e ironiz-
zando velenosamente sui
concetti di «cronaca» e «sto-
ria» dello scrittore.
Il rapporto tra Vittorini e il
Pci si incrina. Nel 1948 Il Poli-
tecnico chiude, dopo una se-
rie di abbandoni di collabora-
tori eccellenti di area comuni-
sta e per forte calo di lettori.
Il 6 settembre 1951, con un
articolo sulla Stampa in cui
descrive, tra l’altro, la solitu-
dine in cui si è trovato, Vittori-
ni annuncia che lascia il Pci.
La replica di Togliatti, su Ri-

nascita», è sferzante: «Vittori-
ni se n’è ghiuto e soli ci ha la-
sciato», dove la parodia del
dialetto siciliano da parte del
leader piemontese serve an-
cora a calcare la mano contro
l’inaccettabile (per il Pci an-
cora stalinista di allora) dis-
senso dello scrittore.
Ma ora appunto Macaluso,
nella lunga prefazione a un li-
bro edito da Rubbettino (Vit-
torini nella città degli angeli,
pp. 157, € 12), scritto da
Franco Boccadutri sul padre,
Calogero, dirigente del Pci
clandestino nella Caltanisset-
ta delle zolfare e delle prime
organizzazioni sindacali e
politiche di operai e contadi-
ni, rimette il dito nella piaga
di quella frattura tra l’intellet-
tuale siciliano e il partito.
Nel libro infatti viene de-
critto un capitolo inedito del-
la vita di Vittorini: quando,
appunto, inviato dal Pci in Si-
cilia in clandestinità, si impe-
gnò insieme ai dirigenti loca-
li, rischiando molto in piena
dittatura fascista, per orga-
nizzare la resistenza dei lavo-
ratori al regime. È un Vittori-

ni militante e funzionario di
partito, del tutto diverso
dall’intellettuale distratto
dai suoi compiti rivoluziona-
ri e innamorato della lettera-
tura americana contro cui Ali-
cata aprirà una specie di pro-
cesso staliniano, quello de-
scritto da Boccadutri, sullo
sfondo di una Sicilia affama-
ta e dello sfruttamento disu-
mano dei braccianti e dei mi-
natori isolani.
E questo fa dire a Macalu-
so, alla sua maniera, che l’at-
tacco riservatogli dal parti-
to fu ingiusto, proprio per-
ché Vittorini aveva dimo-
strato con il suo personale
impegno politico e metten-
do in pericolo la sua stessa
vita, di credere negli ideali
antifascisti e di lavorare per
gli obiettivi del Pci. «L’artico-
lo di Vittorini e la replica di
Togliatti sono due documen-
ti che, letti oggi, al netto
dell’asprezza della polemi-
ca, mi fanno dire che entram-
bi avessero ragione», scrive
Macaluso. È il suo modo di
prendere le distanze, a malin-
cuore, dal Migliore. —
c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

Guido Ceronetti ci lasciava il 12
settembre di un anno fa. Era nato
a Torino il 24 agosto 1927, da
tempo risiedeva a Cetona. «Scrit-
tore e teatrante», come ha voluto
che fosse scritto sulla lapide del-
la sua tomba a Andezeno, luogo
d’origine della famiglia materna.
Ma è stato molto di più: un intel-
lettuale poliedrico e irregolare,
traduttore, giornalista, filosofo
(«Il filosofo ignoto» è il titolo di
una delle sue rubriche sulla Stam-
pa, di cui è stato a lungo collabo-
ratore; un’altra, anche queste fat-
ta di brevi pensieri fulminanti, si
chiamava «Lo stuzzicaventi»).
Una giornata di «Omaggio a Gui-
do Ceronetti» si terrà il 5 ottobre
al Circolo dei lettori di Torino.

ELZEVIRO

Raimo, se l’identità nazionale è un’invenzione

1

2

Vedeva in Dante “un

messaggero, inviato,
di una Provenza

segreta in Toscana”

Il filosofo ignoto


  1. Il castello costruito
    a Montségur sulle rovine
    della fortezza catara
    distrutta nel 1244. 2. La ste-
    le nel Camp dels cremats
    ricorda il massacro. 3. Il rogo
    dei catari a Montségur
    in una miniatura medievale


U

n libro che sembra fatto
apposta per questi mesi in
cui i leader populisti han-
no rispolverato per gli av-
versari – considerati alla
stregua di nemici – l’infau-
sta accusa di «alto tradimento». E co-
sì, mentre la politica risulta alquanto
affaccendata nella costruzione del
Conte bis (con la spaccatura profonda
di quello che era stato il fronte sovran-
populista), si può leggere il pamphlet
di Christian Raimo Contro l’identità
italiana (Einaudi, pp. 144, € 12). Che
ha una tesi forte, secondo cui la costru-
zione della nostra identità nazionale
costituisce de facto un’operazione
(una delle tante fatte nel corso della
storia) di invenzione della tradizio-
ne; e, in particolare, l’esito della «crea-

zione di un’estetica politica». Quella
che, per venire alle nostre giornate
(spesso inquietanti), viene brandita
dalla destra nazionalpopulista e dai
neofascismi che hanno tratto nuova
linfa dal fenomeno epocale delle mi-
grazioni. E non soltanto loro: merito
di Raimo (intellettuale radical, inse-
gnante, noto animatore e «agitatore
culturale», nonché assessore alla Cul-
tura del III Municipio di Roma) è quel-
lo di effettuare pure una decostruzio-
ne delle (sedicenti) «ragioni» della si-
nistra sovranista.
Lo scrittore osserva come il tema
dell’identità nazionale – fino ai tanti
parossismi del genere «Dante sovrani-
sta» (dopo essere già stato proclama-
to «fascista») – si sia riaffacciato nel di-
scorso pubblico all’indomani di Tan-

gentopoli; e gli contrappone la carica
«internazionalista» che fu del movi-
mento no global. Un uso pubblico del-
la storia, quindi, fortemente piegato
alle esigenze propagandistiche di una
destra che si è marcatamente radica-
lizzata nel corso di questi ultimissimi
anni. E che, come sottolinea, è riusci-
ta a imporsi nel dibattito avvalendosi
di categorie che rimandano diretta-
mente al nazionalismo dilagato tra
inizio Novecento e anni Quaranta.
Un’operazione riuscita in un Paese
nel quale è mancata una rielaborazio-
ne adeguata del passato colonialista,
e latita sempre la condivisione di nu-
merosi valori di fondo (scritti nella Co-
stituzione nata dalla Resistenza).
Raimo affronta il nesso tutto odier-
no tra nazionalismo e securitarismo,

come quello – invece di lunga durata



  • tra nazionalismo e virilismo, osten-
    tato nuovamente in un’epoca in cui l’e-
    strema destra ha la sfrontatezza di
    presentarsi come la «forza liberatri-
    ce» da certe gabbie del politicamente
    corretto e rivendica un modello arcai-
    co-patriarcale sconfitto dai progressi
    della società.
    Ma nella sua «coerenza interna»
    questa tesi eccede, come nella natura
    del radicalismo politico di cui Raimo
    è orgoglioso portatore. E lascia spazio
    ad alcune forzature di fondo, come
    quella per cui tra la nazione del Risor-
    gimento e l’impero esibito dal musso-
    linismo il passo risulti tutto sommato
    assai breve. Oltre che a giudizi ingene-
    rosi come quello sul tentativo, negli
    anni Novanta, di dare gambe a una re-
    ligione civile fondata sul patriottismo
    costituzionale nel quale tanto si spese
    anche Carlo Azeglio Ciampi. —
    c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI


MASSIMILIANO PANARARI

3

LA DIATRIBA SULLA LETTERATURA CHE ALLONTANÒ LO SCRITTORE DAL PCI

Macaluso “critica” Togliatti

“Nella polemica con Vittorini

avevano ragione tutti e due”

L’intervento nella
prefazione a un libro

sull’antifascismo
a Caltanisetta

L’intellettuale siciliano

era accusato di dare
spazio ad autori
come Hemingway

A sinistra, il segretario
del Partito comunista
italiano Palmiro Togliatti
(1893-1964).
Sotto, lo scrittore siciliano
Elio Vittorini (1908-1966)
che lasciò il Pci nel 1947.
Qui sopra,
Emanuele Macaluso,
95 anni, storico esponente
di spicco del Pci
e poi del Pds

VENERDÌ 13 SETTEMBRE 2019 LASTAMPA 27
TMCULTURA
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