La Stampa - 21.08.2019

(C. Jardin) #1
.

Charles Dickens (Portsmouth 1812-Higham 1870)
in un disegno di David Levine

MARIO BAUDINO


U

n inquietante
messaggio in bot-
tiglia ritrovato su
un’isola non lon-
tana da Capo
Horn, un matri-
monio in Cornovaglia messo
a rischio dalle rivelazioni in
esso contenute, una breve in-
dagine condotta da un arma-
tore americano (di irresistibi-
le simpatia) tra i poveri vil-
laggi di pescatori, l’immanca-
bile lieto fine reso possibile
dall’onestà dei protagonisti
e dalla sagacia del ricercato-
re; e poi colpi di scena, ritrat-
ti buffoneschi, umorismo e
fantasmi. C’è tutto Dickens
in Un messaggio in bottiglia,
lungo racconto che, curiosa-
mente, non risulta mai esse-
re stato pubblicato in Italia.
Ora le edizioni Robin Biblio-
teca del Vascello lo propon-
gono in una bella traduzione
di Elisabetta Parri con un sag-
gio introduttivo di Marco Ca-
tucci che aggiunge diverti-
mento a divertimento, esplo-
rando in tutte le direzioni,
anche le più imprevedibili (e
secondarie: è un procedere
assai dickensiano) la storia e
le implicazioni della nascita,
rapidissima, di questo testo.
Dickens cominciò a parlar-
ne con l’amico e braccio de-
stro Wilkie Collins l’11 set-
tembre 1860; ebbero il tem-
po di andarsene a zonzo per
la Cornovaglia, di convocare
altri collaboratori, di discuter-

ne un poco e farlo uscire il
13 dicembre,
trionfalmente,
sullo speciale natali-
zio della rivista All the
Year Round, la più re-
cente impresa edito-
riale di Dickens (ere-
de della precedente,
Household Words).
I numeri natalizi avevano
un successo strepitoso (an-
che trecentomila copie), e
questi racconti sono perciò ri-
cordati come «Storie di
Natale», anche se non
hanno nulla a che ve-
dere con quelli inaugu-
rati molti anni prima dal
Canto di Natale, la celeber-
rima novella che ha per prota-
gonista l’avaro Scrooge.
Si tratta infatti di opere col-
lettive che non hanno come
tema centrale la festività. Un
messaggio in bottiglia è firma-
to da Dickens e Collins (che
intanto stava raggiungendo
la fama e la fortuna con il suo

quinto romanzo, La donna in
bianco), ma furono parecchi
gli amici e i collaboratori mes-
si al lavoro, soprattutto nel
terzo dei cinque capitoli: chi
per fornire una storia di fanta-
smi, chi una lunga poesia, chi
un racconto da incastonare
nella vicenda (tanto per non
negarsi nulla e forse per tirar-
la in lungo). Era un’abitudine
ben radicata nell’800 (si pen-
si solo a Balzac o Dumas) ma
ben viva ancora oggi, sia sul
piano commerciale (il prota-
gonista indiscusso è l’ameri-
cano James Patterson) sia su
quello più letterario, basti
pensare ai nostri Wu Ming.
Va detto però che nessuno
come Dickens è riuscito a fa-
re, del tirarla in lungo, un’ar-
te squisita, e che Wilkie Col-
lins non era da meno. La loro
solida amicizia nacque nel
1851, quando l’autore del Cir-
colo Pickwick aveva 39 anni
ed era ovviamente famosissi-
mo, e Collins ne aveva 12 di
meno. Fu un rapporto tal-
mente intenso – sia nella nar-
rativa sia nel teatro - che do-
po la morte del più anziano
(nel 1870) l’altro non superò
il trauma, si dette all’oppio,
sviluppò gravi sintomi di pa-
ranoia, si convinse di vivere
in coppia con uno spettrale al-
ter ego (forse l’amico indi-
menticabile).

Si capivano al volo, si
compenetravano anche stili-
sticamente l’uno nell’altro.
Qui, in Un messaggio in bot-
tiglia, tutto va alla perfezio-
ne. I due si erano divisi per-
sonaggi e scene, Dickens
editava spietatamente i con-
tributi esterni piegandoli al-
le necessità del progetto, ri-
toccava, correggeva. Cop-
pia rodatissima, i due finiro-

no col giocare a imitarsi a vi-
cenda: e il risultato non è
certo un racconto «tirato a
lucido», ma una narrazione
gioiosa, efficace e implaca-
bile. Un solo personaggio
non può non essere tutto di
Dickens, ed è capitan Jor-
gan (modellato sul caratte-
re di un amico americano, il
capitano di Marina Elisha
Ely Morgan): l’estroverso si-
gnore, simpatico e chiac-
chierone, che trova la botti-
glia e la porta in Cornova-
glia per chiarirne il messag-
gio. Incarna (come il signor
Pickwick, come lo Scrooge

redento, o i fratelli Cheery-
ble in Nicholas Nickleby o an-
cora il vecchio Martin
Chuzzlewit nel romanzo
omonimo) la tipica figura
del «ricco buono» in cui Dic-
kens riponeva molte delle
sue speranze di fronte alla
durezza della rivoluzione
industriale. Una figura nien-
te affatto convenzionale.
Fa il lungo viaggio trascu-
rando i propri affari un po’
per curiosità e apertura al
mondo, ma anche perché sul-
la parte esterna della botti-
glia c’era scritto: «Chiunque
trovi questo è solennemente
pregato dal defunto di conse-
gnarlo, non letto, ad Alfred
Raybrock, Steepways, North
Devon, England». E per lui
questo, dice, è «un incarico sa-
cro». Il che forse potrebbe sug-
gerirci anche oggi qualche ul-
teriore considerazione.—
c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

ERIC GOBETTI

L


a storia di Osvaldo
Bonini ha dell’in-
credibile, ma è più
comune di quanto
ci si potrebbe aspet-
tare.
Nativo di Borgo San Loren-
zo, in provincia di Firenze,
soldato di leva, Bonini viene

trasferito nei Balcani nel


  1. Ha vent’anni e fa par-
    te di un grande esercito, im-
    pegnato in operazioni di con-
    trollo e repressione antipar-
    tigiana in un territorio vastis-
    simo, che va da Trieste fino
    alle isole del Dodecaneso, a
    un passo dalla Turchia. Du-
    rante la Seconda guerra


mondiale circa metà delle
forze terrestri italiane sono
impegnate nel teatro balca-
nico: Slovenia, Croazia,
Montenegro, Albania, Gre-
cia e addirittura Macedonia,
come nel caso di Bonini.
La Macedonia dell’epoca è
un mondo arcaico e comples-
so, un mosaico di culture, lin-
gue e religioni che non a caso
in Occidente ha dato il nome
all’insalata di frutta di varia
forma e dimensione. Nell’a-
prile del 1941 è stata spartita
tra la Bulgaria e l’Italia, che
ha annesso una fascia di terri-
torio alla Grande Albania già

appartenente al sistema im-
periale fascista dal 1939. Si
tratta di un territorio in gran
parte sconosciuto, che evoca
agli italiani dell’epoca pae-
saggi esotici alla Salgari, spie
internazionali, congiure bal-
caniche e spietati briganti.

Alla macchia
«Sul finire del giorno, ci at-
tendiamo sulla riva del lago
dove facciamo un bagno
nell’acqua limpida e fred-
da», appunta nell’agosto
del 1943 Bonini nel suo dia-
rio. Sembra quasi di essere
in vacanza, ma c’è la guerra

e gli italiani sono ancora al-
leati con l’esercito nazista,
verso il quale provano un
rapporto di amore-odio, di
invidia e soggezione al tem-
po stesso: «Nel tragitto ab-
biamo incrociato varie colon-
ne di semoventi tedeschi. I sa-
luti scambiati sono stati, da
parte nostra, abbastanza
freddi. Ci siamo sentiti umi-
liati. Loro, ordinati e puliti in
divisa estiva coloniale con sti-
valetti di pelle, trasportati su
appositi automezzi cingola-
ti, seduti comodamente su
soffici sedili. Noi, in divisa gri-
gioverde invernale con gam-

be fasciate e le pezze ai piedi,
ammassati alla rinfusa come
bestie all’interno dei cassoni
dei camion».
Come centinaia di miglia-
ia di altri commilitoni, Boni-
ni si trova ad affrontare la
crisi dell’Armistizio in un
terreno complesso e lonta-
no da casa. L’8 settembre
1943 è forse la data più cata-
strofica nella storia d’Italia:
l’apice di una gestione scon-
siderata del Paese da parte
del Re e delle gerarchie mili-
tari che, una volta liberatisi
del fascismo, non sono in
grado di apprestare un’usci-

ta onorevole dal conflitto.
Abbandonato privo di ordi-
ni in terre lontane, buona
parte dell’esercito italiano fi-
nisce con l’arrendersi ai tede-
schi senza combattere:
650.000 circa saranno gli
Imi (Internati Militari Italia-
ni, secondo la definizione da-
ta dai nazisti), che finiranno
a ingrossare le file del siste-
ma concentrazionario tede-
sco. La gran parte proviene
proprio dai Balcani, dove le
uniche opzioni alternative al-
la resa sono quelle di darsi al-
la macchia, unendosi alle for-
ze partigiane locali o nascon-
dendosi nei boschi e nelle ca-
se più appartate.
Bonini sceglie inizialmen-
te questa seconda via, trovan-
do ospitalità in Albania. Il
suo diario di quei mesi ci re-
stituisce l’immagine nitida
ed emozionante di un mon-
do arcaico quasi del tutto
scomparso. Così descrive la
casa del suo ospite: «Ciascun
piano è diviso in due grandi
saloni separati da un corrido-
io centrale. Il salone destro è
riservato alle donne e ai ra-
gazzi, mentre quello sinistro
è riservato agli uomini e
all’occasione funge da sala di
riunione, da pranzo, da sog-
giorno e da riposo per gli

ospiti maschi. In alcune abi-
tazioni, per rendere più rigo-
rosa la separazione dei sessi,
a fianco della porta d’accesso
o nella porta stessa è pratica-
to un passaggio all’altezza di
un metro e mezzo e munito
di portello per consentire al-
le donne di passare le vivan-
de senza farsi vedere».

La studentessa liceale
Il suo sguardo è straordina-
riamente moderno per la ca-
pacità di cogliere elementi
antropologici rilevanti, che
descrive con la curiosità e
l’entusiasmo della gioven-
tù: «Aggiorno il diario tra il
frastuono delle armi, fucili,
mitragliatori, bombe a ma-
no e qualche mortaio da 45.
Non è una battaglia ma un
festeggiamento in corso da
due giorni per lo sposalizio
musulmano di un giovane
con cui ho stretto amicizia.
Ieri è arrivata la sposa, vela-
ta come vuole l’usanza, in
sella al cavallo, seguita dal
corteo dei familiari e dalle
casse del corredo. È stata ac-
colta dal rullare di tamburi
e da raffiche di mitragliato-
ri. La prima notte la sposa
deve rimanere illibata e per-
tanto solo questa sera sarà

consumato il matrimonio».
Passano i mesi e nel febbra-
io del 1944 «la gran tristezza
che mi pervade» spinge Boni-
ni a tentare la fortuna, pro-
vando a rientrare in Italia.
Catturato dai tedeschi e in-
ternato, in autunno riesce pe-
rò a fuggire dal treno diretto
in Germania, e si unisce in
Serbia ai partigiani di Tito.
Anche in questo caso la vi-
cenda del soldato Bonini è
meno bizzarra di quanto
sembri. È anzi una storia em-
blematica del tipo di rappor-
to che si instaura in moltissi-
mi casi tra gli ex occupanti e

le popolazioni locali, in gran
parte dei Balcani, dopo il set-
tembre del 1943. Sono deci-
ne di migliaia gli ex soldati di
occupazione che si aggrega-
no alla Resistenza in Grecia,
in Albania e soprattutto in Ju-
goslavia. E come spesso suc-
cede si stringono rapporti di
affetto, di amicizia, talvolta
anche d’amore tra gli italiani
e le popolazioni locali. Nel
novembre del 1944 Bonini
racconta: nell’esercito parti-
giano «si arruolano anche le
ragazze. Una giovane di no-
me Lena si aggrega al nostro
reparto. È una studentes-
sa liceale, abbastanza
carina, che mi fa com-
pagnia nel tempo di ri-
poso, notte compresa
anche se Dusko ci ricorda
che è proibito amoreggiare.
Lena parla soltanto la sua lin-
gua e un poco d’inglese; ci ca-
piamo con quel poco di serbo
che ho imparato».
Il soldato Osvaldo Bonini
ha dunque una storia comu-
ne a molti, moltissimi suoi
coetanei: carne da macello
per la megalomania fasci-
sta, abbandonato dai supe-
riori nel cuore dei Balcani, è
costretto a cavarsela con le
sue sole forze. Allora eviden-
zia una capacità fuori del co-
mune, non unica certamen-
te ma rara: quella di cavarse-
la, di suscitare la simpatia e
l’accoglienza nelle persone
che incontra, al di là della
lingua con cui faticosamen-
te comunica. E soprattutto
mostra la capacità straordi-
naria di guardare e annota-
re dettagli della vita quoti-
diana dei luoghi e della gen-
te che incontra in quei mesi
terribili. Un affresco che og-
gi abbiamo la possibilità di
ritrovare nelle affascinanti
pagine del suo diario conser-
vato nell’Archivio di Pieve
Santo Stefano. —
c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

Italiani

nel mondo

L’incontro con la titina
Lena: “Mi fa compagnia

nel tempo del riposo,


notte compresa”


“Frastuono di fucili


e mortai: non è una
battaglia, ma uno

sposalizio musulmano”


Dopo l’Armistizio trova ospitalità in una famiglia
albanese di cui descrive i costumi con sguardo

da antropologo. Poi viene catturato dai tedeschi,
evade e si unisce alla Resistenza jugoslava

INEDITO IN ITALIA, ESCE IL ROMANZO COLLETTIVO “UN MESSAGGIO IN BOTTIGLIA”

Dickens & C., l’arte di tirare in lungo

dei Wu Ming dell’Ottocento

I DIARI DI
PIEVE SANTO STEFANO

TRA MACEDONIA, ALBANIA E SERBIA, UN’ODISSEA CONCLUSA NELLE FILE DEI PARTIGIANI DI TITO

L’8 settembre nei Balcani

Guerra, amori e fughe del soldato Bonini

allo sbando in un mondo arcaico

Sul diario di Osvaldo Bonini scritte anche in cirillico
oltre a disegni della falce e martello comunista
e del giglio fiorentino (l’autore era nato in provincia di Firenze)

OSVALDO BONINI
NASCITA: BORGO SAN LORENZO (FIRENZE)
NEL 1923
SCOLARIZZAZIONE:
DIPLOMA DI SCUOLA MEDIA SUPERIORE
PAESE DI EMIGRAZIONE: ALBANIA
DATA DI PARTENZA: 1943

THE NEW YORK REVIEW OF BOOKS / LA STAMPA

Wilkie Collins (Londra 1824-1889), amico e braccio destro di Dickens


MERCOLEDÌ 21 AGOSTO 2019 LASTAMPA 29
TMCULTURA
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