Vanity Fair Italy - 28.08.2019

(Dana P.) #1

VA N IT Y FA I R


VISIONI

28 AGOSTO 2019

VanityVisioni

PAROLA DI DAGO — di ROBERTO D’AGOSTINO

Neppure la morte ferma l’odio social. Nadia
Toffa se ne è andata a 40 anni dopo aver lotta-
to contro un tumore e appena qualche minuto
dopo, su Facebook, sono comparsi miserabili
insulti alla sua memoria. La conduttrice delle
Iene in vita era stata spesso vittima degli hater
che la rimproveravano di spettacolarizzare la
sua malattia: il male, come lo chiamava lei, non
era l’unico mostro contro cui dover combatte-
re. E adesso che non c’è più, gli hater continua-
no a imbrattare il web. Ma come è potuta
succedere così velocemente la ricon-
versione della tecnologia in strumento
di violenza personale? Perché eravamo un
Paese quasi normale, col bello e il brutto, e in
un paio d’anni siamo diventati un popolo fero-
ce che non ha rispetto neppure per la morte?
La «cultura dell’oltraggio» in cui si viene iden-
tificati e umiliati in rete per la propria identità
o per le proprie opinioni costituisce un proble-
ma sociale che è difficile contrastare perché
questi hater non dispongono di evidenti centri
organizzativi.
Nel gergo del web, chiamano «troll»
l’utente che interagisce con gli altri tra-
mite messaggi provocatori, irritanti,
insultanti con il solo obbiettivo di fo-
mentare gli animi e di causare dolore.
Il «trolling» è in realtà una forma di guerriglia
civile dove chi non ha alcuno status o pote-
re riconosciuto formalmente esercita l’unico
potere che ha, ovvero il «character assassina-
tion», distruggere la reputazione di una perso-
na, sabotarla e umiliarla tramite l’ingiuria più
gratuita e volgare in base a rancori e fobie e
paranoie. Le parole diventano così un’arma,
strumenti di violenza che evidenziano le debo-
lezze umane per sfruttarle. L’offesa, che i troll
perseguono con godimento sadico, è spesso

considerata una forma di vittoria, che arriva a
sfociare nell’illegalità nei minacciosi messaggi
di odio ormai costantemente inviati alle figu-
re pubbliche, soprattutto donne (vedi il caso
dell’attivista Greta Thunberg).
Al posto della società reale, Internet ci of-
fre una selezione di giochi di guerra virtuali da
fare per divertimento, amicizia, convenienza
o per sfogare l’emotività. Il limite tra «libertà
di parola» e violenza però si confonde,
mentre lo scopo finale è causare dolo-
re e danni psicologici ad personam (del
resto, i computer sono in origine strumenti di
guerra, così come le reti che li collegano).
Questi troll cercano di fare più male possi-
bile (trattando le parole come armi), per poi
ritirarsi immediatamente sulla posizione oppo-
sta, dichiarando cioè che è solo uno «scherzo»
o invocando la «libertà di parola» (trattando le
parole come simboli innocui).
Non basta. L’arma fondamentale nell’arse-
nale dei troll è spesso l’anonimato. Piattaforme
come Twitter e Instagram agevolano la possi-
bilità di partecipare alla discussione pubblica
senza rivelare la propria identità. Il nemico
è reso più trasparente possibile mentre il col-
pevole resta all’oscuro. Pura vigliaccheria.
Secondo una delle interpretazioni, perché le
ambizioni tecnologiche di Zuckerberg si rea-
lizzino, Facebook e Instagram hanno bisogno
che i loro utenti siano sempre più espressivi e
infiammabili dal punto di vista emotivo. Così
la nostra rabbia, gioia, tristezza e orrore posso-
no fornire dei contenuti alle macchine, perché
imparino a comportarsi come umani. In secon-
do luogo, esprimendo i nostri sentimenti più
autentici o miserabili offriamo dati precisi su
di noi, tramite i quali si può vendere ulteriore
pubblicità. È questa ora la nostra realtà.

Odio social


Illustrazione Dewie Drolenga
Free download pdf