Vanity Fair Italy - 28.08.2019

(Dana P.) #1
VanityCopertina

Volo di ritorno. Incastrato nel buio tra due corpi
ronfanti, appena sotto la Via Lattea, ripenso all’in-
contro con Monica Bellucci. Mi torna in mente la
storia del gatto con il topo. Una gattona di fata-
le bellezza e un topone in missione con l’obiettivo
decisamente ambizioso di stanarla. Metteteli nello
stesso ring, suonate il gong e fate partire le lancet-
te del tempo. Botte da orbi, truccate da sorrisi ma-
liardi e sospiri che stenderebbero il nipotino di Al
Capone. 109 minuti di corpo a corpo e indovinate
chi finisce al tappeto? Avete indovinato.
A proposito di uomini, conigli e toponi incastra-
ti. «Mi disegnano così», dice Jessica Rabbit con il
colpo di genio che la scagiona da ogni misfatto di
seduzione criminale. Lei, Monica Bellucci, somi-
glia al disegno che ne ha fatto Milo Manara. Una
statua del desiderio oltre che di cera, come si vede
nel museo di Parigi. Un’astrazione di carta e ma-
tita che, quando si anima e diventa carne, semina
il caos. Se poi ti spingi a pensare che, sotto quella
magnifica astrazione, esiste e insiste una donna ve-
ra, che non è vegana, mangia, beve, onnivora, fa
sesso e pipì, sei bello che andato. Una mongolfiera
destinazione paradiso. O inferno. Dipende dalle
tue attitudini.

È la seconda volta che rispondo «sì». L’altra vol-
ta, dodici anni fa all’Hotel Costes, il più dark di
Parigi, lei nella versione moglie di Dracula secon-
do Francis Ford Coppola. La ritrovo illesa, la sta-
tua iconica di sempre, decisamente meno dark.
Quando la vedo, mi viene da cantare l’inno di
Mameli. Si è patrioti a volte per i motivi più stra-
ni. Stavolta la Nazionale di noi tutti è dentro un
abito a fiori. «Molto semplice, di cotone. Me l’ha
regalato un uomo e non chiedermi altro, tanto
non te lo dico chi è...». Non le chiedo altro, tan-
to non me lo dice chi è, ma la curiosità mi asse-
dia. Mi gioco il vecchio trucco da repertorio. Di
solito funziona. Con Susan Sarandon aveva fun-
zionato. «Fammi un regalo. Dimmi il nome dello
spasimante, questa è la mia ultima intervista, poi
lascio...». «Non ci casco, sono sicura che è una
bugia...».
Ma quello che mi preme davvero sapere è se
va anche lei in monopattino sui boulevard di Pa-
rigi. «No, scherzi? Mi ammazzerei. Io porto quasi
sempre i tacchi, sono una donna di tacchi. Solo se
devo andare veloce metto le scarpe da ginnasti-
ca». Tra una domanda assurda e l’altra, valigie da
fare e da disfare. «...Sono appena arrivata dalla

Da giovani pensiamo in bianco e nero, siamo


conformisti e vittime di tutte le lezioni ricevute.


Finché non impariamo a darci le nostre


Tutto dall’inizio. Una panchina a Montparnas-
se. Sto lì a meditare sui boulevard di Parigi inva-
si da gente che sfreccia in monopattino e mi chie-
do, complice anche un bio-hamburger che mi sta
come un mattone nell’esofago, se il monopatti-
no non sia la soluzione, in quanto sottrazione del
corpo e dunque liberazione. Sto lì che m’immagi-
no etereo e svolazzante quando vedo, davanti al
portone dove tra cinque minuti mi affaccerò, una
bambina che più leggiadra non si può. Volteggia
e svolazza, sui pattini in questo caso, inseguita da
una probabile tata che, scopriremo poi chiamarsi
Marie Julie. Le due giocano e penso che l’affanno
della non più giovane tata alle prese con l’inaf-
ferrabile ninfa è una struggente testimonianza di
come il mondo possa avere ancora una speran-
za. Léonie, così si chiama, la svolazzante, è di una
bellezza incomprensibile. A meno che non sia la
figlia più piccola di Monica Bellucci. O la Belluc-
ci stessa, in uno sfasamento temporale scatenato
dagli effetti del bio-hamburger.
«Mettiti comodo... Sei venuto davvero a Pari-
gi apposta per me?». Monica Bellucci si fa prece-
dere dalla voce, lungo il corridoio della sua casa
a due piani. È la seconda volta che me lo chiede.

Tunisia dove ho finito di girare un film e parto
domani per le vacanze con gli amici e le mie bam-
bine». Un’isola sperduta della Grecia. Allunga le
dita affusolate sulla caraffa d’acqua per il gaudio
degli assetati: «Il film? Si chiama: L’homme qui
avait vendu sa peau, l’uomo che aveva venduto
la sua pelle. Storia di un giovane rifugiato siria-
no la cui vita è stravolta dall’incontro con un ar-
tista americano... Mi sono fatta bionda per l’oc-
casione». Bionda come ai tempi di Malèna, la dea
muta di Tornatore. Bionda, scura, vampira,
dea, lesbica, missionaria, strega, bond
girl, donna della porta accanto, Monica
è stata qualunque cosa sul set. Maddale-
na ai piedi della croce con Mel Gibson. E anche
puttana. Come in Per sesso o per amore? di Ber-
trand Blier. «...Sul set giravo scene d’amore e nel-
le pause allattavo e cambiavo i pannolini. Le put-
tane a cui ho dato vita al cinema sono sempre
sulla via della redenzione, donne che si conver-
tono per amore. Le mie prostitute sono sante».
Un’icona che ha le sue icone. «Claude Lelou-
ch. Ho così amato Un uomo, una donna. Quan-
do ho saputo che avrebbe girato cinquant’anni
dopo il sequel, ho voluto esserci in ogni modo.
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