Vanity Fair Italy - 28.08.2019

(Dana P.) #1

VA N IT Y FA I R


STORIE

28 AGOSTO 2019

Parlare con Millie Bobby Brown è come guardare
un film a velocità doppia. «Visto come ho fatto presto?
Il tempo di uno scatto e di cambiarmi, e quando sono
tornata sul set c’era ancora la canzone che stavamo
ascoltando prima», mi dice mentre cammina verso
il fondo del van per un nuovo cambio d’abiti.
Quindici anni, tre stagioni di Stranger Things,
27 milioni e 500 mila follower su Instagram, Millie
chiacchiera, ride e gesticola, girandosi spesso verso
i genitori seduti lì vicino. Non per essere rassicurata,
al massimo per chiedere conferma di un dettaglio di cui
non è sicura al cento per cento («Quanti episodi abbiamo
girato? Otto o nove?») e, soprattutto, per scherzare,
condividere una battuta, coinvolgerli nella conversazione.
Anche la sua carriera può definirsi rapida. In queste
settimane ha iniziato le riprese del film Enola Holmes,
sulle avventure della sorella minore del detective Sherlock,
che si preannuncia il primo di una serie; mentre lo scorso
maggio è uscito il blockbuster Godzilla II - King of
the Monsters, realizzato in contemporanea con il terzo
capitolo della saga, al cinema nel 2020. «L’abbiamo girato
un paio di anni fa. È stato strano, all’inizio, trovarmi
a essere l’unica ragazzina del cast. Sul set
di Stranger Things, nelle pause, si studiava insieme
o si passava il tempo a ridere e scherzare. Lì, invece,
l’ambiente era più serioso, però io ho contribuito
a scioglierlo spargendo un po’ di infantilismo».

Dalla prima stagione di Stranger Things sono passati
quattro anni che, alla sua età, sono tantissimi.
«Essere una teenager vuol dire sentirsi diversa ogni giorno.
Il corpo cambia così rapidamente, le ciglia si allungano,
il timbro della voce si fa più basso. Quando mi guardo
nella prima stagione, non mi sembra di avere undici anni ma
due. Parlavo con una vocina (lo dice in tono acuto imitando
proprio se stessa a quell’età, ndr). Comunque, sa cosa?
È un’opportunità speciale quella di potersi rivedere
a distanza di tempo».
Ha avuto un’infanzia piuttosto movimentata, in senso
letterale: dalla Spagna, dove è nata, la sua famiglia
si è trasferita in Inghilterra, poi a Los Angeles, quindi
avete fatto un altro paio di avanti e indietro
tra Gran Bretagna e Stati Uniti.
«I miei genitori non hanno mai avuto problemi a
traslocare da un Paese o anche da un continente all’altro.
E pure quando si trattava di vacanze, abbiamo sempre
scelto posti esotici, avventurosi. Adoro viaggiare, fa parte
del Dna di famiglia. Sono stata in Sudamerica, in Australia
e presto andrò in Asia. Trasferirci negli Stati Uniti non è
stato uno shock perché lo desideravamo da tanto. Non che
non ci piacesse Londra, ma cambiare scenario fa bene, e ci
siamo ambientati subito».
Niente jet lag?
«No. Dormo quando fuori viene buio a prescindere
da dove mi trovi. E la mattina mi faccio una bella dose
di caffè: ho scoperto che mi tiene sveglia e non ne posso
più fare a meno».
Prima di Stranger Things ha raccontato di anni difficili.
Ha detto: «Ci sono state molte lacrime lungo la strada».

«Non è capitato tutto all’improvviso come potrebbe
sembrare. Quella serie è stata davvero un colpo
di fortuna, arrivato dopo due anni di lavoro senza sosta:
spot pubblicitari, audizioni su audizioni... Vivevamo a una
trentina di minuti da Los Angeles: andare avanti e indietro
con l’auto era costoso, per cui mio padre mi aiutava
a provare la scena per il provino e, se non ricordavo tutte
le battute, non mi ci accompagnava neppure, per evitare
di buttare via i soldi. In realtà, ero sempre preparata
(ride, ndr), ma mi scartavano perché ero inglese. Per
questo, a un certo punto, ho deciso che avrei fatto finta
di essere americana: appena ottenuto il ruolo, ricominciavo
a parlare con il mio accento britannico. Mi guardavano
sbalorditi e io: “Troppo tardi, il contratto è firmato!”».
Diabolica.
«È un mondo complicato. Devi imparare presto a muoverti
nel modo giusto, ognuno ha la sua opinione e un sacco di
gente mente spudoratamente: attori che sostengono di
aver studiato recitazione in scuole prestigiose
e non è vero per niente; truccatori che ti dicono: “Ho fatto
il make-up a Jennifer Lawrence”, e poi scopri che
non hanno mai lavorato un giorno della loro vita.
Devi stare molto attento. Soprattutto quando si tratta
di scegliere le persone con cui collaborare».

Essere una teenager


vuol dire sentirsi


diversa ogni giorno,


il corpo cambia in fretta


Lei ha la famiglia che l’aiuta.
«Mia sorella maggiore e un amico dei miei genitori mi
fanno da assistenti; ogni decisione di lavoro viene discussa
con mia madre, mio padre e mio fratello: le sceneggiature,
i contratti, le iniziative di beneficenza... Siamo come sei
gemelli. Capiscono al volo ciò che voglio.
Con mia mamma basta uno sguardo; anche con papà
succedono cose strane, tipo che pensiamo la stessa cosa
nello stesso esatto momento».
Ha quasi il doppio di follower del presidente Trump
e di Madonna, solo per citare un paio di esempi.
«È pazzesco, no? Sto cercando di fare del mio meglio
per promuovere la gentilezza, diffondere amore e
buonumore sui social network. Non bado tanto ai numeri,
m’importa di più che la base dei miei fan, cioè quelli che
mi seguono fin dall’inizio di Stranger Things, siano persone
adorabili. Leggo i loro commenti e li seguo a mia volta.
Una di loro andava pazza per una giacca che mi aveva
visto addosso: gliel’ho fatta avere. Era incredula.
Le ho risposto: “Te la meriti”».
A che età i suoi genitori le hanno dato il primo
smartphone?
«A otto anni, credo. Mia mamma voleva che le mandassi
un messaggio per dirle che ero uscita da scuola. Ma già
a cinque avevo uno di quei cellulari che si aprivano a

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