Il Sole 24 Ore - 01.09.2019

(Jacob Rumans) #1

20 Domenica 1 Settembre 2019 Il Sole 24 Ore


Luoghi e persone


Lettera dalla California. Grande due volte il Lago di Garda,


questo enorme specchio d’acqua poteva avere effetti benefici


sull’ecosistema: è stato sfruttato, depauperato e abbandonato


Salton Sea,


morte di un lago


per incuria


N


el gennaio , in piena
guerra fredda, arrivò in
Italia da Hollywood Il
mostro che sfidò il mondo
(film del genere erano
popolari all’epoca; il mio
preferito è L’invasione degli ultracorpi).
Racconta di un terremoto che causa
l’apertura di un crepaccio sul fondo di
un lago e di un gigantesco mollusco
preistorico che ne fuoriesce e procede
a far strage di bagnanti, marinai e para-
cadutisti, prosciugandoli di tutti i loro
fluidi corporei. Il lago è il Salton Sea, nel
deserto della California, dove oggi po-
tete essere spettatori, se non di una sfi-
da fantascientifica al mondo, di un di-
sastro ecologico tanto immane quanto,
ahimè, dimenticato.
La più profonda depressione del-
l’America Settentrionale è Badwater,
pure in California, nella Death Valley. Il
bacino del Salton Sea raggiunge una
profondità che è solo un metro e mezzo
più elevata del punto più basso di Bad-
water. È sott’acqua però, direte, quindi
non conta. Non è così semplice.

Il fiume Colorado, che scorre poco
lontano, ha ciclicamente cambiato cor-
so nella storia e ripetutamente allagato
la zona; qui dunque c’è stato e non c’è
stato un lago a seconda dei periodi.
L’ultima volta che c’è stato come conse-
guenza di un ciclo naturale fu quattro
secoli fa; gli indiani ne parlarono con i
coloni bianchi e sono state trovate nas-
se a segnalare una pesca allora piutto-
sto fiorente. Nel  il bacino era
asciutto, ma gli ingegneri della Califor-
nia Development Company progetta-
rono di canalizzarvi dentro l’acqua del
fiume per favorire l’agricoltura. La si-
tuazione sfuggì loro di mano e, prima
che si potesse correre ai ripari, il Colo-
rado si riversò nel bacino per due anni,
producendo il Salton Sea odierno.
Era il risultato di una colossale in-
capacità, ma anche una provvida
sventura. Un enorme specchio d’ac-
qua dolce (circa novecento chilometri
quadrati di superficie, più del doppio
del lago di Garda) in un’area bruciata
da un sole inclemente (la media delle
temperature massime, da queste par-

ti, varia da  gradi in gennaio a  in
luglio, e la media delle piogge è quat-
tro giorni all’anno) poteva avere effetti
benefici sul clima, sulla vegetazione,
sulla fauna. Bisognava però trattarlo
con sapienza e delicatezza: l’ecologia
del deserto è già fragile di suo, e il Sal-
ton Sea lo è in modo estremo. Deviato
definitivamente il Colorado, ha ancora
piccoli immissari ma non ha emissari:
quel che ci entra non ne esce, si depo-
sita sui fondali e, se è dannoso, conti-
nuerà per sempre a far danni.
Invece della cura, dell’attenzione e
della pazienza che sarebbero state ne-
cessarie, il lago ricevette uno sfrutta-
mento intensivo e irresponsabile. Dal
 al  la Marina militare vi im-
piantò una base, dalla quale condusse
test di lancio di missili e bombe contro
obiettivi galleggianti, addestramento
per la guida di idrovolanti e altri test
sugli effetti a lungo termine dell’im-
magazzinamento di materiali nuclea-
ri. Nel frattempo, cittadine costiere co-
me Desert Shores, Desert Beach e
Bombay Beach diventarono mete di

un nutrito turismo balneare, mentre
gli scarichi industriali e soprattutto
agricoli da un bacino di utenza di oltre
mila chilometri quadrati (per dare
un’idea, quello del lago di Garda è circa
. km) contribuivano alla deva-
stazione operata dalle manovre mili-
tari e dall’immondizia dei turisti.
Il povero lago non ha tenuto. La sa-
linità è aumentata fino a livelli inso-
stenibili: è oggi oltre il cinque per cen-
to, superiore a quella dell’acqua di
mare. L’eutrofizzazione causata dai
fertilizzanti, presenti in misura mas-
siccia negli scarichi agricoli, lo ha po-
polato di alghe e batteri. La spazzatura
lo ha violato. Quasi tutte le specie di
pesci si sono estinte, e le carcasse che
marciscono sulle spiagge esalano un
gran fetore. Se ne sono andati anche
molti uccelli, che non possono più pe-
scare. E se ne sono andati gli esseri
umani, dopo aver fatto del loro meglio
per mettere in atto uno scenario post-
apocalittico. Case, locali, scuole, edifi-
ci pubblici, teatri sono stati abbando-
nati e conferiscono a tutta l’area

l’aspetto di una zona bombardata, o
forse irradiata da quei materiali nu-
cleari di cui la Marina era tanto inte-
ressata a sperimentare l’accumulo. I
pochi abitanti rimasti (perché non sa-
prebbero dove andare) se ne stanno
chiusi in casa o vagano solitari per
strade che non sembrano andare da
nessuna parte; intorno non c’è nessun
posto dove, non dico prendere un caf-
fè, ma neanche bere un bicchiere d’ac-
qua. Dal  lo Stato ha esaminato
innumerevoli progetti di recupero (si
era dato da fare anche Sonny Bono,
quello di Sonny & Cher, eletto parla-
mentare), ma finora non si è fatto
niente e chi vive in California sa a ma-
lapena che il lago esiste.
Dal  un gruppo di artisti ha rea-
lizzato uno happening annuale chia-
mato (ironicamente) la Bombay Beach
Biennale, nella cittadina omonima.
Per  ore in marzo  installazioni,
spettacoli musicali e performance
danno una sferzata di energia ai due-
cento sonnacchiosi residenti e a quanti
sono venuti ad ammirare creatività e

talento. Le motivazioni degli organiz-
zatori sono edificanti, come è di norma
in questi casi: vogliono far vivere opere
d’arte sulle sponde di un lago morto
invece di soffocarle nel museo di una
città (presunta) viva; vogliono genera-
re comunità e non mercificazione; vo-
gliono attrarre curiosi e rilanciare
l’economia locale. Io però sono andato
a Bombay Beach quando le  ore era-
no finite da un pezzo e in giro, come
dicevo, non si vedeva nessuno. Molte
installazioni erano rimaste: non pro-
vocavano piacere estetico, anzi non
erano minimamente attraenti. Erano,
invece, tragiche testimonianze del
male atroce fatto a un ambiente natu-
rale: una porta sradicata dalla sua pa-
rete, chiusa sul nulla; una barca a vela
ridotta a un fascio di sterpi e a un telo
stracciato; il profilo di un parallelepi-
pedo di metallo, cavo, che inquadrava
lo squallore. Mancava un gigantesco
mollusco succhiasangue, o forse non
mancava. Forse era sua la responsabi-
lità di tutto questo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

I resti Dal 2016
un gruppo di
artisti cerca di
dare una scossa a
questa situazione
di degrado, ma
quando si
chiudono le
manifestazioni
nulla si muove.
Restano i segni
delle installazioni,
come questa
porta sradicata e
affacciata sul
Ermanno Bencivenga nulla

DIRETTORE RESPONSABILE
Fabio Tamburini

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