Il Sole 24 Ore - 01.09.2019

(Jacob Rumans) #1

Il Sole 24 Ore Domenica 1 Settembre 2019 31


In scena


In gara
Da sinistra,
«Joker» di Todd
Phillips, «Ema»
di Pablo Larraín
e «La verità»
di Kore-eda
Hirokazu

A MILANO
LA RASSEGNA
DEI FILM
SUI
PRERAFFAELLITI

In occasione
della mostra
a Palazzo
Reale,
«Preraffaelliti.
Amore e
Desiderio»
(Palazzo Reale,
fino al 6 ottobre),
il MIC - Museo
Interattivo del
Cinema (Viale
Fulvio Testi, 121,
Milano) organizza
fino
all’8 settembre
una rassegna
cinematografica
sul movimento
pittorico inglese.
Sei titoli, fra cui
la preziosa
pellicola muta
del 1913 «Dante
e Beatrice» e la
proiezione della
serie televisiva,
finalmente
al cinema,
«Desperate
Romantics»,
prodotta dalla
BBC, che offre
un quadro storico
sulla
confraternita dei
Preraffaelliti, in
particolare sulla
storia personale e
artistica dei
fondatori Dante
Gabriel Rossetti,
John Everett
Millais e William
Holman Hunt. In
calendario inoltre
«The Young
Victoria», di Jean
Marc Vallée
(2009), che
racconta il
contesto storico
dell’epoca in cui
il movimento
Preraffaellita
nasce e si
afferma, il regno
della regina
Vittoria (1837-
1901).
Il calendario
delle proiezioni
su http://www.cineteca-
milano.it

Venezia ’76. L’interpretazione da Oscar di Phoenix, il De Filippo contemporaneo di Martone,


il bel «J’accuse» di Polanski. Ma alla Giuria potrebbe piacere lo psichedelico film di Larraín


Il gioco umanissimo di Joker


C


hissà se - dopo Roma,
La forma dell’acqua, La
la land, Gravity - anche
quest’anno a Venezia
riuscirà la magia di
spianare la strada ver-
so gli Oscar a qualche candidato. Si-
curamente il trucco potrebbe funzio-
nare per Joker di Todd Phillips grazie
a Joaquin Phoenix, che ha dimostra-
to di saper giocare il dolore su infini-
te tonalità e tutte maledettamente
vere, dal ragazzo allo sbando coopta-
to da Scientology in The master
() di Paul Thomas Anderson al-
l’alienazione postumana di Lei
() di Spike Jonze.
Phoenix ha iniettato nel più cele-
bre clown psicopatico dei fumetti,
troppe volte maschera frusta in ver-
sioni di serie b, la sofferenza pura di
Arthur Fleck, stand-up comedian per
aspirazione, pagliaccio on demand
nella realtà, buono per segnalare i sal-
di di un negozio in fallimento, o a far
ridere i bimbi malati all’ospedale. Il
film di Phillips racconta una storia di
emarginazione più che plausibile, ag-
gravata dall’assenza di paracadute
sociali. E Gotham city, la città di Bat-
man, è trasformata nello specchio di
una delle tante piazze, da Atene a Pa-
rigi, in cui in questi anni si è riversata
la tensione con cassonetti bruciati e
risse con la polizia.
Il fuoco c’è anche in Ema di Pablo
Larraín, acceso da un lanciafiamme
azionato da una ragazza biondo ce-
nere, Ema (Mariana Di Girolamo), ar-
tefice di complicate architetture emo-
tive. Un bambino adottato e poi resti-
tuito, una coppia che si tortura, una
compagnia di ballo d’avanguardia,
sono le tesserine di un puzzle che po-
trebbe molto piacere alla presidente
di Giuria, Lucrecia Martel. Ema è un
film solo apparentemente sconnesso
e disassato, perché sottesa vi è una

struttura composita, che batte al rit-
mo psichedelico del reggaeton e dei
bassi esasperati, su cui si muovono a
scatti un gruppo di ragazzi di Valpa-
raíso. Diversi spettatori, fiaccati da
pletore di orge e rapporti sessuali,
hanno abbandonato la presa. Ma solo
alla fine si capisce che il film ha una
sua coerenza, un linguaggio tutt’altro
che irrazionale. Larraín è un grande
narratore per immagini e lo ha dimo-
strato toccando tutti i generi, dall’hol-
lywodiano Jackie () all’iperlati-
noamericano Post mortem (), dal
biografico Neruda () allo scabro-
so ai limiti della sopportabilità El club
(). Ma in Ema non c’è l’urgenza di
Toni Manero (), la disperazione
è fredda, cerebrale. Però le sue atmo-
sfere sono vicine a quelle della presi-
dente argentina.
Un’altra pellicola che potrebbe fi-
nire nel palmares è La candidata idea-
le di Haifaa al-Mansour, prima regista
donna dell’Arabia Saudita. Probabil-
mente questo primato è stato deter-
minante per instradare la pellicola nel
concorso, perché il film ha una natu-
ra un po’ semplicistica e televisiva. Ma
ha la grazia e lo humor dei perdenti, su
cui si poggia una giovane dottoressa,
Maryam (Mila Al Zahrani), per con-
trastare la misoginia dei suoi pazienti
e che la spingerà ad accettare una
candidatura alle elezioni municipali.
Forse è nata per essere spezzata in
due episodi televisivi (non a caso uno
dei produttori è Netflix) Storia di un
matrimonio di Noah Baumbach, la cui
sceneggiatura, scritta dallo stesso re-
gista (con l’aiuto ufficioso della com-
pagna Greta Gerwig), è una lettura,
comica e tragica, di rara intelligenza,
di ciò che accade a una coppia con
prole quando l’amore si sgretola. Lui
è Adam Driver, drammaturgo d’avan-
guardia, lei è Scarlett Johansson, at-
trice schiacciata dall’egocentrismo di

lui e trascinata nell’agone legale da
una diavolessa di avvocato (strepito-
sa Laura Dern).
Un velo di pietà si stende su tutto
e su tutti rimane impresso il calco di
ciò che è stato, nel bene e nel male. Le
grandi prove attoriali e l’esordio ca-
noro di Adam Driver (con sala in visi-
bilio) hanno fatto impallidire lo sfor-
zo di Brad Pitt di interiorizzare in or-
bita un legame irrisolto tra un figlio
e un padre scomparso in una missio-
ne spaziale. Ad astra di James Gray,
infatti, si svolge tra la Luna e Marte,
altitudini in cui l’astronauta Roy in-
frangerà la parte algida e controllata
di se stesso per scoprire fragilità e per
preoccuparsi del destino della terra.
I film brutti sono altri, ma forse ci so-
no troppi temi sul piatto, con una
strizzatina d’occhio a Kubrick,
Tarkovskij e Malick.
Un doloroso legame genitorial-

filiale è anche la chiave de La verità
di Kore-eda Hirokazu, per la prima
volta in interni europei e borghesi.
Sarà per quello che la pur bella sce-
neggiatura, tratta da una pièce tea-
trale, non ha la forza delle preceden-
ti. L’ironia sottile, lo sguardo morbi-
do ma implacabile sono il pepe di
una resa dei conti tra una figlia (Ju-
liette Binoche) e la madre (Catherine
Deneuve), attrice sul viale del tra-
monto. Il meccanismo a orologio del
pluripremiato regista giapponese
svela a poco a poco segreti e bugie,
da cui emerge un legame più forte di
quanto entrambe volessero.
Mario Martone, primo degli italia-
ni in gara, ha contemporaneizzato Il
sindaco del rione sanità di Eduardo De
Filippo (applausi appena il nome
compare sullo schermo). Sarà anche
vero che la sceneggiatura è un capola-
voro, ma i piccoli cambiamenti ap-
portati dal regista napoletano e la re-
citazione dei protagonisti, da France-
sco Di Leva a Massimiliano Gallo, la
rendono una storia vivida. Chapeau.
Infine è passato Polanski che non
tradisce mai. È bellissimo il suo J’ac-
cuse sul caso Dreyfus, il più noto
scandalo di ingiustizia del XIX secolo
francese, in cui un capitano ebreo
venne condannato per alto tradi-
mento secondo un’accusa poi rivela-
tasi falsa. Le larghe spalle di Jean
Dujardin (quello di The artist), hanno
retto il ruolo dell’ufficiale Picquart, il
grimaldello della verità. Il regista
franco polacco ci mette in guardia sul
pericolo sempre attuale dell’antise-
mitismo e offre il suo manifesto con-
tro l’ingiustizia, mettendosi nel pen-
tolone dei perseguitati. Sicuramente
Martel non è d’accordo. Dura che si
porti a casa dei premi, salvo che la
presidente non voglia dimostrare di
essere super partes.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Cristina Battocletti


S


i c’est fichu entre nous, la vie
continue malgré tout... Così
cantava a metà degli anni 
del secolo scorso Michel
Delpeche: Se è finita tra noi, la vita
continua nonostante tutto... Ora
queste parole della sua Les Divorcés
tornano in apertura di una piccola
commedia dolceamara con il titolo
gentile e ammiccante di L’amour
flou, che per gli spettatori italiani
viene prolungato con l’aggiunta di
un ben più prosaico Come separarsi
e restare amici (Francia, , ’).
Romane e Philippe hanno una
casa, anni di vita insieme, due figlie
ancora piccole. Il loro amore non

solo non è più fou, pazzo, ma è
proprio morto. Il divorzio è inevita-
bile. Ne sono certi, tranquillamente
e civilmente certi. D’altra parte,
come si può disfare quanto di
buono e di bello si è comunque
costruito? Niente li divide davvero,
se non la fine del desiderio, quello
potente dell’eros e anche quello più
dimesso di svegliarsi ogni mattina
nello stesso letto, nonostante la
prospettiva di sopportarsi fino a
sera. Sono cose che capitano, e di
cui talvolta, e magari spesso, nessu-
no porta la responsabilità. Il re-
sponsabile è piuttosto il succedersi
quotidiano di abitudini e pigrizie.

Per dirla con i due protagonisti, il
responsabile è il diavolo che, al suo
solito, si nasconde nei dettagli, ora
dopo ora, anno dopo anno.
In ogni caso, del matrimonio di
Romane e Philippe – di  e  anni


  • non restano che malinconiche
    macerie. Potrebbero fare come i
    genitori di lei, tristemente fieri di
    aver “resistito” per trent’anni alla
    tentazione della libertà. Oppure
    potrebbero fare come quasi sempre
    si fa: disputarsi la casa e i figli,
    rischiando di perdere questi e
    quella. Come possono uscire dai
    loro guai, senza combinarne altri? A
    raccontarcelo sono loro stessi,


scrivendo e girando L’amour flou. Di
cognome Bohringer lei e Rebbot lui,
sono entrambi attori ed entrambi
esordienti alla regia di un lungome-
traggio. Ed entrambi hanno il co-
raggio di mostrarsi nelle loro debo-
lezze, difesi solo da una buona dose
di saggia autoironia.
Il loro problema è come ricomin-
ciare una vita, pur non rinunciando
a quella già vissuta. Ricominciare
significa anche ritrovare con altri e
altre il desiderio, dimenticato in un
passato non ancora remoto, ma già
lontano. Incallito adolescente,
nonostante i capelli radi, Philippe
prova a risalire sul suo vecchio

skateboard, e quello che ne guada-
gna è di portarsi a letto una venten-
ne teneramente incuriosita, ma non
entusiasta. Meglio che niente, si
dirà. Eppure l’impressione è che
sarebbe stato meglio niente. In ogni
caso lui insiste, da quell’adolescente
che non sa smettere di essere.
Quanto a lei, più equilibrata, ma
non meno disorientata, ogni nuovo
incontro con giovani maschi le pare
l’esordio di una storia d’amore e
passione. E se i maschi sono una
delusione, le può capitare di provare
in un’altra direzione. Insomma, i
due ci provano, e ci riprovano. Nel
frattempo, contro ogni aspettativa

di genitori, parenti e amici, salvano
la loro vita passata.
Come ci riescano è bene lasciar-
lo alla curiosità degli spettatori.
Qui basterà ricordare che il tutto,
dai figli e alla loro stessa serenità, è
nelle mani di un agente immobilia-
re ben disposto e di un architetto
fantasioso. Così raccontano Roma-
ne Bohringer e Philippe Rebbot,
girando da divorziati eppure insie-
me la loro storia di un amore non
più fou, ma ancora saldo, per
quanto flou, attenuato. La vie
continue, malgré tout.
DDD DD
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RIFLESSI NEL GRANDE SCHERMO
L’AMORE ATTENUATO

Roberto Escobar


«L’amour flou» di Romane Bohringer
e Philippe Rebbot
Romane Bohringer è se stessa

MABUSE
di Giorgio Scavuzzo

http://bit.ly/1959-grande
Alberto Sordi, Vittorio
Gassman: La grande guerra
(M Monicelli), leone d’oro 1959

http://bit.ly/1962-cronaca
Tratto dall’omonimo
romanzo di Vasco Pratolini,
Cronaca familiare (V Zurlini),
leone d’oro 1962

http://bit.ly/deserto-64
Il primo lungometraggio a
colori di Michelangelo
Antonioni: Deserto rosso,
leone d’oro 1964
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CLOSE UP


AZIONE,


MUSCOLI


E SUONI


VIBRANTI


s Quando si dice “azione”.
Qui ce n’è oltre l’immaginabile,
dal vorticoso prologo a Londra
all’iperbolico finale nella remo-
ta Samoa. E, cosa rimarchevole
per non dire incredibile, questa
azione a rotta di collo è sempre
accompagnata da una massic-
cia dose di ironia. Un “under-
statement” che fa a (simpatici)
pugni con la mole impressio-
nante, a prima vista tutto mu-
scoli e niente cervello, dei due
protagonisti, i “bestioni”
Dwayne Johnson e Jason Sta-
tham. Il segreto è tutto qui:
metterli per finta l’uno contro
l’altro, e poi scatenare la loro
potenza in direzione del me-
morabile cattivo di turno. Un
essere dalle forme umane, ma
risorto dai morti e dotato di po-
teri supereroici, che lo rendono
praticamente indistruttibile.
Poi c’è lei, la sorella di uno dei
due “buoni”, bella e letale, im-
pegnata a salvare il mondo da
un virus che, nelle intenzioni di
una multinazionale del Male,
dovrebbe sterminare l’umanità
per farla rinascere rigenerata,
uomini e donne pronti ad abita-
re un futuro da incubo. Dunque
uno scontro dopo l’altro, con
continui spostamenti nel pia-
neta, da Londra a Los Angeles e
puntata finale nelle isole del Pa-
cifico. Perché è qui che si com-
batte la sfida decisiva, ed è qui
che il film acquista una inso-
spettata originalità. Un ritorno
in famiglia di uno dei due eroi,
con tanto di “mammona” dolce
e inflessibile, pronta a prendere
a ciabattate in faccia chi non se-
gue le sue ferree regole. E lo
scontro risolutivo si combatte
tra futuro e passato, con elicot-
teri e armi computerizzate da
una parte contro mazze, lance e
alabarde dall’altra. Bum bum
bum, giusto per far lavorare a
mille i sistemi audio delle sale,
con un inseguimento davvero
oltre il limite dell’immaginabi-
le. Cinema con i pop corn, ma di
quelli croccanti a puntino.
DDDDD
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FAST & FURIOUS:
HOBBS & SHAW
di David Leitch
azione, Usa,
Gran Bretagna 2019, 135’

Luigi Paini


IL RITRATTO NEGATO
Andrzej Wajda
Polonia, 2016, biografico, 98’
La vita e la persecuzione del
pittore Władysław
Strzemiński, morto nel 1953,
senza aver ceduto allo
stalinismo. È l’ultimo film di
Wajda, e vale anche come suo
autoritratto poetico e civile
DDDDD
© RIPRODUZIONE RISERVATA

IL FILM DEL SOLE

Teatro


Primo Levi


emerso


da terreni


fertili


N


on ero mai andato a “Terreni
Creativi”, il bel festival orga-
nizzato con intelligenza e
passione nelle serre di Al-
benga dal gruppo Kronoteatro, e mi
aspettavo, chissà perché, una piccola
iniziativa nata quasi in famiglia: sono
quindi rimasto sorpreso, un paio di
settimane fa, nel trovare una rassegna
magari non ricca ma dotata comunque
di un programma importante, capace
di attrarre mezza città, un pubblico ve-
ro, di ogni età, che in pieno agosto si
mette in fila per assistere a creazioni
tutt'altro che facili o improntate a mero
spirito balneare.
A parte il finale col dirompente Pite-
cus di Antonio Rezza, uno dei titoli clou
di quest’anno era Se questo è Levi, un
percorso in tre tappe di Luigi De Ange-
lis / Fanny & Alexander nel pensiero e
nell’opera dell’autore di Se questo è un
uomo: ho seguito la terza parte nella
sala consiliare del Comune, dove gli
spettatori potevano porre domande
cruciali - ovviamente prestabilite - al-
l’attore che lo impersonava, il quale ri-
spondeva con parole di Levi, desunte
da incontri pubblici e interviste. Ho
trovato particolarmente impressio-
nante questo dialogo ravvicinato con
un fantasma della memoria: colpiva
l’adesione dell’interprete, Andrea Ar-
gentieri, che seguendo in cuffia la voce
registrata dello stesso Levi ne ricalcava
con vivida precisione le lievi cadenze
torinesi, i gesti, gli atteggiamenti inte-
riori. Ma colpiva e sconvolgeva ancor
più la lucidità chirurgica con cui questo
testimone dell’orrore ne riportava le
matrici a un contesto più ampio, al di là
del fascismo e del nazismo, evocando
allarmanti richiami al nostro presente.
Fra gli altri protagonisti di “Terreni
Creativi”, i Quotidiana.com col Rac-
conto delle cose mai accadute, la rilettu-
ra del Cirano di Bergerac ideata per il
festival di Venezia. Dopo l’esperimen-
to, aperto ad altri tre attori, del prece-
dente lavoro, Episodi di assenza, Paola
Vannoni e Roberto Scappin tornano ai
loro stralunati duetti, recitati quasi
senza intonazioni, proponendo una
sorta di confronto fra il personaggio
teatrale di Cirano e quello cinemato-
grafico di Nikita, che potrebbe essere,
e forse è, un contrasto fra verità e fin-
zione, fra scena e schermo, fra realtà e
fantasie. Nella cerebralità sarcastica ti-
pica dei due si insinua qui un’acre nota
personale, quasi un senso di dolente
smarrimento che traspare soprattutto
dalle celebri battute con cui Cirano ri-
fiuta di sottostare alle grazie dei poten-
ti e alla loro protezione. Non ha invece
bisogno di troppi commenti l’inge-
gnoso First love in cui Marco D’Agostin,
premio Ubu  come miglior perfor-
mer under , ricostruisce la telecrona-
ca dell’impresa di un suo idolo adole-
scenziale, la sciatrice di fondo Stefania
Belmondo, medaglia d’oro alle Olim-
piadi di Salt Lake City del , intrec-
ciando il racconto orale a qualche ac-
cenno coreografico. È una curiosa let-
tera d’amore, in cui il divertimento va
di pari passo con una struggente par-
tecipazione emotiva.
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TERRENI CREATIVI
festival di Albenga, decima edizione

Renato Palazzi


È LA POESIA
IL TEMA
DEL TEATRO
SULL’ACQUA
DI ARONA

Dal 3 all’8
settembre
È la poesia il tema
di questa edizione
di Il Teatro
sull’Acqua, diretto
da Dacia Maraini
ad Arona.
Monica Maimone
mette in scena
sul lago
“Concertazione
per elementi”
ispirato
a Dickinson
e Borges
http://www.teatro-
sullacqua.it

ANSA ANSA ANSA
Free download pdf